Da Trieste all’Europa. Manlio Cecovini politico/massone/scrittore | Luca Manenti

Curato da Luca G. Manenti, direttore scientifico della rivista «Qualestoria», il volume raccoglie gli atti del convegno organizzato il 5 giugno 2021 dal “Centro Studi Scipio Slataper” di Trieste. Obiettivo dell’incontro è mettere a fuoco e ricondurre ad unità analitica la poliedrica figura di Manlio Cecovini (1914-2010), avvocato, reduce di guerra, massone, romanziere, rotariano, membro fondatore della Lista per Trieste (popolarmente detta Il Melone), sindaco della città giuliana (1978-1983) e parlamentare europeo.

L’indice degli interventi riflette la versatilità di un intellettuale su cui molto è stato detto, ma poco è stato scritto da un punto di vista scientifico1. Nell’ordine, alla breve Introduzione seguono: La lista e la Loggia. Manlio Cecovini fra politica e massoneria, di Luca G. Manenti; Il tramonto del secolo breve nel pensiero politico di Cecovini, di Ravel Kodrič; Manlio Cecovini sindaco dello scetticismo: una politica antipedagogica, di Andrea Dessardo; Manlio Cecovini e il Rito Scozzese, di Luigi Milazzo; Giordano Gamberini e Manlio Cecovini, di Aldo A. Mola; Cecovini e Rebula. Il ‘Carteggio scazonte’, di Jadranka Cergol; Manlio Cecovini dalla critica alla storiografia letteraria, di Roberto Norbedo; e, infine, Manlio Cecovini narratore, di Fulvio Senardi.

Nato nel gennaio del 1914, ultimo anno di pace per il mondo asburgico, Cecovini proviene da una famiglia d’origine slovena (Cechovin) approdata col nonno Bortolo a Trieste dall’area carsica. Dinamica non irrituale, innescata da trasformazioni di tipo marcatamente capitalistico2 . Dalla seconda metà dell’Ottocento, sono migliaia i contadini della Carnia, del Friuli, della Carniola e dell’Istria, protagonisti di quel grandioso fenomeno d’inurbamento che concorre a costituire il tessuto artigianale ed il proletariato industriale e commerciale di una Trieste destinata ad affiancare Vienna, Praga e Budapest, come grande polo economico della Duplice monarchia.

Analogamente a quanto avviene per migliaia di nuovi immigrati, è il dialetto triestino parlato in famiglia3 il primo vettore di assimilazione al genius loci. Un vettore intrinsecamente predisposto a favorire anche la successiva identificazione con l’italianità giuliana, scelta regolarmente rivendicata da Cecovini nel corso del proprio itinerario intellettuale nonché tratto tematico caratterizzante del corpus di scrittore.

Educato negli anni del soffocante fascismo di frontiera4, Cecovini si laurea a Bologna in Giurisprudenza nel 1936. Entrato nei ranghi della magistratura, inizia la carriera presso la Procura di Milano, cui seguirà, nel 1952, la decisione di transitare nei ruoli dell’Avvocatura dello Stato.

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, come tenente d’artiglieria alpina, è richiamato ed inviato a combattere nelle fallimentari campagne d’Albania e Grecia. L’esperienza bellica – narrata in uno dei primi e migliori lavori: Ritorno da Poggio Boschetto5 – segna un punto importante nella maturazione politica dell’uomo, ormai scettico circa le illusioni patriottiche6, e disincantato verso la roboante retorica mussoliniana.

Questa embrionale presa di distanza abbinata, sul polo ideologico opposto, al dichiarato anticomunismo, si consolida nel dopoguerra quando Cecovini, distaccato come consulente legale presso il Governo Militare Alleato di Trieste, aderisce a quella fratellanza massonica già duramente colpita e ope legis soppressa dal fascismo nel 1925 7. Al 20 marzo 1949 data la sua iniziazione.

Indipendentemente dalla reale capacità della libera muratoria di orientare le scelte politiche locali – problema storiografico ancora da sondare8 – Cecovini ritrova nella massoneria del Territorio Libero lo strumento per ridare fiato ad un neo-irredentismo di cui proprio i massoni triestini, fedeli alla tradizione e nelle more degli equilibri di potenza internazionali dei primi anni Cinquanta, sono tornati a farsi propugnatori9.

Spirito eclettico, il contributo di Cecovini alla libera muratoria è per lo meno duplice. Da un lato, la sua personalità, caratterizzata da una natura logica e razionale, lascia un’impronta non trascurabile nella fratellanza di rito scozzese10. Dall’altro, le sue indagini di carattere storico formano un repertorio lodevole per l’inquadramento delle vicende massoniche nella città alabardata11.

L’esigenza di concorrere ed orientare le scelte relative al futuro nazionale ed economico di Trieste, tema allora di grande attualità e ragione di radicali contrasti, avvicina naturaliter Cecovini alla politica, il cui debutto avviene nel 1966 nelle vesti di consigliere comunale per la formazione liberale.

Secondo la valutazione di alcuni studiosi12, sul piano ideologico egli ha incarnato la fase epigonale dello storico partito liberalnazionale irredentista reggitore del comune giuliano tra Ottocento e Grande guerra. Partito eclissatosi dalla scena proprio negli anni dell’esordio politico di Cecovini. In realtà, come mette in luce Da Trieste all’Europa, al netto della condivisa matrice borghese, l’impostazione cecoviniana vanta motivi di non trascurabile originalità, a partire da un concetto basilare quale quello di triestinità.

Arricchendo gli angusti steccati dottrinali liberalnazionali, in Cecovini si tratta del senso d’appartenenza ad una realtà urbana rivendicata sì come prettamente italiana, ma anche autosufficiente e in grado, senza il consueto richiamo ai condivisi destini con la (matrigna) madrepatria italiana, di plasmare la serena coesistenza di vari soggetti nazionali unificati dall’amalgamante idioma istro-veneto13, nel quadro delle nuove opportunità economiche offerte alla città dal contesto internazionale14. Una visione politica, economica e insieme culturale divergente rispetto ai modelli ottocenteschi, capace di riflettere alcuni elementi strettamente biografici e familiari dell’uomo Cecovini.

Politicamente, il culmine della carriera lo raggiunge negli anni Settanta, in una città profondamente mutata rispetto al passato15, con la fondazione della Lista per Trieste (LpT). Un movimento autonomista in grado sia di aprire la strada al posteriore successo nazionale delle liste civiche, sia di preannunziare alcuni esiziali passaggi politico-culturali vissuti dallo Stato repubblicano nel suo lungo declino.

Nel contesto di un’opinione pubblica locale ferita dal Trattato di Osimo (10 novembre 1975), e nel quadro di una Trieste che il partito dominante della Democrazia Cristiana intende modernizzare attenuandone il sonderweg per renderla città italiana tra le altre16, il richiamo dei dirigenti della LpT ai fasti del passato serve espressamente a scardinare tale disegno. A livello di discorso pubblico, rimarcare l’unicità della vicenda triestina e riesumare la mitologia nazionalistica per decenni punto fermo della classe dirigente liberalnazionale, permette ai vertici della LpT di rilanciare più o meno tacitamente la pretesa dell’alta missione storica – antemurale latino davanti all’onda slava – toccata in sorte a Trieste nell’ambito della cultura italiana tout court17. Un’impostazione da Cecovini, forse, più subìta che promossa.

In realtà, oltre gli aspetti più propagandistici, nel successo della LpT convergono motivi eterogenei, spesso contraddittori18 e sorprendenti. Non trascurabile, per esempio, è l’aspetto emotivo che raccoglie il disappunto popolare per gli accordi di Osimo, alimentando un approccio ecumenico in apparenza a-ideologico – particolarmente consapevole in Cecovini19 – capace di unire gli elettori oltre i tradizionali steccati ideologici.

Sotto questa luce, sarebbe riduttivo considerare la LpT una mera operazione di restaurazione culturale, oppure un movimento verticistico privo di consenso popolare. Nelle sue rivendicazioni non si identifica soltanto la classe dirigente erede della borghesia commercial-industriale; la mobilitazione tocca il nerbo stesso della cittadinanza, come certifica la vittoria nelle elezioni amministrative del 1978, preludio alla nomina di Cecovini a sindaco di una giunta monocolore di minoranza20.

Al di là dei concreti risultati raggiunti dall’amministrazione guidata da Cecovini, e malgrado il rapido declino della LpT, a livello storico resta un fatto giustamente sottolineato dal volume. Pur col rischio di eccedere qua e là nella lettura presentista del passato, la LpT, sorta di laboratorio politico21, anticipa peculiarmente alcune dinamiche più tardi capitalizzate dall’operazione ideologico-propagandistica lanciata da Silvio Berlusconi con la nascita di Forza Italia. Se hanno una presa prettamente locale le lusinghe rivolte all’antico autonomismo municipale e la mobilitazione delle mai sopite nostalgie destrorse nutrite di antislavismo22, di respiro più generale sono la condivisione dell’anti-antifascismo23, e l’iper-valorizzazione del mito antipolitico della società civile24 come chiave di volta per il superamento delle storture connaturate al consociativismo partitico. Mito antipolitico e antisistemico dirompente rispetto ai paradigmi culturali della Repubblica nata nel 194625, tuttavia in grado di incanalare, attraverso un interclassismo a bassa intensità ideologica, le spinte neofasciste latenti in una frazione non marginale della base elettorale26.

Com’è possibile intuire da quanto anticipato, centrale nell’impegno politico e nella riflessione del Cecovini intellettuale è il tema dell’italianità di Trieste. Un tema da intendere non in senso astratto, bensì come questione entro cui si annida il dovere di immaginare l’avvenire della città nel quadro di una paritetica convivenza delle comunità italiana e slovena27 dopo i lutti del Novecento.

L’argomento emerge prepotente alla lettura nelle stimolanti pagine consacrate all’epistolario corso tra Cecovini e lo scrittore sloveno Alojz Rebula (1924-2018), primo esempio del genere28 realizzatosi – osservazione che parla da sé – tra un intellettuale triestino di lingua slovena e uno di lingua italiana29.

Dalla prospettiva di Cecovini l’incontro con Rebula è un tacito pungolo a rivedere l’arretrato e partigiano copione irredentista della storia cittadina, vero mito fondativo politicamente orientato, ancora ribadito nel 1968 nel trattatello Del patriottismo di Trieste. Discorso di un triestino agli italiani30.

Nonostante l’originalità della posizione cecoviniana nell’ambito di un neo-irredentismo italiano a sua volta fenomeno proteiforme31 – in Cecovini l’avvenire giuliano non è decontestualizzato né da un disegno federativo europeo32, né da una meditata visione dei futuri rapporti politici ed economici33 tra Italia, Jugoslavia e CEE – è indubbio che la posizione dello studioso italiano di fronte alle considerazioni di Rebula sia anzitutto difensiva.

Per quanto risulti un pensatore informato del pesante lascito novecentesco della politica italiana in loco34, e onesto nel riconoscere l’esistenza di una profonda diffidenza tra le due comunità che, illuministicamente, auspica possibile neutralizzare affidando agli intellettuali il compito di appianare i malintesi passati e futuri sulla base della mutua conoscenza35, Rebula ha gioco facile nel rimproverare al suo interlocutore (e per riflesso alla componente italiana) la mancata denuncia dei crimini del fascismo, l’ambiguità circa le posizioni del radicalismo neofascista, nonché l’ignoranza della lingua, della storia e della cultura slovene, come se queste non fossero mai esistite a Trieste. Un disinteresse dalle profonde radici storiche e storiografiche che rasenta la rimozione stessa dall’orizzonte antropologico cittadino della presenza slovena e slava36.

Nello slancio critico, Rebula non tace nemmeno le proprie perplessità circa la soluzione suggerita da Cecovini per dirimere i contrasti etno-nazionali della Giulia. All’ottimistica fiducia riposta dall’italiano nel ruolo degli intellettuali, egli oppone una (aleatoria?) rifondazione etica dell’uomo tendente alla giustizia e all’equità37.

Quest’ultimo, come i precedenti, è un disaccordo comprensibile se si pone mente sia alla differente orgogliosa appartenenza nazionale dei due intellettuali, sia ai divergenti punti di riferimento filosofici a monte della loro riflessione: il pensiero massonico in Cecovini, il credo cristiano in Rebula38. E non di meno, oltre i dissensi, nell’innata humanitas inscritta in tali atteggiamenti si pone un solido punto di contatto tra i due autori39, la cui proiezione migliore si scopre nella condivisa passione per i classici greco-latini40, pur permanendo il contrasto circa il valore etico-pedagogico (decisivo per Rebula, meno per Cecovini) da assegnare alla letteratura41.

Col tema della questione nazionale, per Cecovini l’incontro con lo scrittore di Šempolaj risulta un momento arricchente anche sul piano del bagaglio letterario, laddove nell’esplorazione della prosa e della poesia slovena trova le ragioni per un personale impegno di scrittura più attento ai temi del pluralismo culturale42. In questo senso, nelle ultime prove letterarie l’originaria e ricorrente enfasi patriottica cecoviniana degli esordi43 vive una parziale metamorfosi.

Studioso relativamente sensibile ai canoni interpretativi di quella chiave mitteleuropea culla del postmodernismo entro cui anche la letteratura giuliana viene progressivamente inscritta dagli anni Ottanta44, in parallelo al revival asburgico, l’impegno di Cecovini quale critico, storico della letteratura giuliana e romanziere ci pone davanti all’ennesima trasfigurazione di un intellettuale sommamente versatile. Critico propenso a contaminare analisi e invenzione letteraria45 con approdi interpretativi problematici, ma sempre stimolanti, le caratteristiche del Cecovini narratore, pur nella parabola di una produzione diseguale germogliata lungo un lasso temporale di oltre mezzo secolo, sono sinteticamente identificabili nella replicata tendenza all’autobiografia, nell’inclinazione al riuso meditato dei materiali narrativi, e nella scelta di innalzare la propria esperienza di vita a filo conduttore del racconto46

In conclusione, con Da Trieste all’Europa i tanti volti intellettuali e politici incarnati da un autore d’indubbio spessore culturale47, sono abbozzati e proposti all’interesse di una platea di lettori per i quali sembra convalidarsi l’intuizione del 2004 di Fulvio Salimbeni48: un bilancio ragionato e completo della vicenda storica giuliana del Novecento, solo colpevolmente potrà prescindere dall’indagare la caleidoscopica figura di Manlio Cecovini.


Notas

1 MANENTI, Luca G., (a cura di), Da Trieste all’Europa. Manlio Cecovini politico, massone, scrittore, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2022, p. 6.

2 CATTARUZZA, Marina, La formazione del proletariato urbano. Immigrati, operai di mestiere, donne a Trieste dalla metà del secolo XIX alla prima guerra mondiale, Torino, Musolini, 1979, p. 9.

3 MANENTI, Luca G., (a cura di), op. cit., p. 117.

4 Cfr.: VINCI, Anna Maria, Sentinelle della patria. Il fascismo al confine orientale 1918-1941, Roma-Bari, Laterza, 2011.

5 CECOVINI, Manlio, Ritorno da Poggio Boschetto, Firenze, La Voce, 1954.

6 MANENTI, Luca G., (a cura di), op. cit., p. 140.

7 Ibidem, p. 34.

8 Ibidem, p. 19.

9 Ibidem, p. 55.

10 Ibidem, p. 97.

11 Ibidem, p. 27.

12 PIRJEVEC, Jože, Il naso di Cecovini, in SALIMBENI, Fulvio, (a cura di), Manlio Cecovini. Da Poggio Boschetto a Padriciano: testimonianze degli amici per i suoi novant’anni, Trieste, Istituto Giuliano di Storia, 2004, pp. 127-134; ARA, Angelo, MAGRIS, Claudio, Trieste. Un’identità di frontiera, Torino, Einaudi, 2007, p. 200.

13 MANENTI, Luca G., (a cura di), op. cit., pp. 23-24.

14 Ibidem, p. 43.

15 VALDEVIT, Giampaolo, Trieste. Storia di una periferia insicura, Milano, Bruno Mondadori, 2004, p. 119 et seq.

16 MANENTI, Luca G., (a cura di), op. cit., p. 78.

17 Ibidem, p. 65.

18 Ibidem, p. 67.

19 Ibidem, pp. 36-37.

20 Ibidem, p. 37.

21 SCABAR, Francesco, «La Lista per Trieste (1975-1993). Storia di un laboratorio politico», in Quaderni del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, XXXI, 2020, pp. 410-444.

22 MANENTI, Luca G. (a cura di), op. cit., p. 51.

23 Ibidem, p. 78.

24 Ibidem, pp. 83-84.

25 Ibidem, pp. 20-21.

26 Ibidem, p. 50.

27 Ibidem, p. 106.

28 CECOVINI, Manlio, Carteggio scazonte con Alojz Rebula, Trieste, Provincia di Trieste, 2001.

29 MANENTI, Luca G. (a cura di), op. cit., p. 126.

30 Ibidem, p. 149. Vedi CECOVINI, Manlio, Del patriottismo di Trieste. Discorso di un triestino agli italiani, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1968.

31 MANENTI, Luca G. (a cura di), op. cit., p. 57.

32 Ibidem, p. 47.

33 Ibidem, p. 77.

34 Ibidem, p. 70.

35 Ibidem, p. 118.

36 Mi permetto di rinviare a SCARTABELLATI, Andrea, Poietiche nazionaliste. Un itinerario giuliano tra testi, storiografie, identità, emozioni, Cercenasco (TO), Marco Valerio, 2019, p. 473 et seq.

37 MANENTI, Luca G., (a cura di), op. cit., p. 120.

38 Ibidem, p. 109.

39 Ibidem, p. 106.

40 Ibidem, p. 121.

41 Ibidem, p. 123.

42 Ibidem, p. 136.

43 Ibidem, p. 53.

44 Ibidem, p. 138.

45 Ibidem, p. 128.

46 Ibidem, p. 150.


Resenhista

Andrea Scartabellati – Studioso di storia e antropologia, è autore e curatore di opere dedicate ai temi della follia, della follia di guerra, e della storia giuliana. Tra le recenti pubblicazioni: Poietiche nazionaliste. Un itinerario giuliano tra testi, storiografie, identità, emozioni, Cercenasco, Marcovalerio, 2019; Interno cremonese. Tra guerra fuori e conflitti dentro un manicomio modello (1916-17), in PELOSO, Paolo Francesco, BOMBARDIERI, Chiara (a cura di), Il conflitto, i traumi, Reggio Emilia, USL di Reggio Emilia, 2020, pp. 103-157. URL: http://www.studistorici.com/progett/autori/#Scartabellati


Referências desta Resenha

MANENTI, Luca G. (Ed.). Da Trieste all’Europa. Manlio Cecovini politico, massone, scrittore. Soveria Mannelli: Rubbettino, 2022. Resenha de: SCARTABELLATI, Andrea. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, v.51, n.3, p.113-121, 2022. Acessar publicação original [DR/JF]

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