La svolta culturale. Come è cambiata la pratica storiografica | Carlotta Sorba e Federico Mazzini

Il sapere storico è stato a lungo concepito come un sapere unicamente empirico e artigianale, basato su rigorose ricerche documentarie volte a ricostruire il passato nella maniera più accurata e oggettiva possibile. Eppure, tale concretezza della pratica storiografica ha sempre dialogato, più o meno consapevolmente, con un quadro teorico e filosofico di riferimento, atto a indagare e comprendere il reale tramite riflessioni e interpretazioni soggettive, ma non per questo inattendibili. La storia senza teorizzazione, infatti, non può sussistere e le narrazioni del passato non possono prescindere da congetture e ipotesi circa le relazioni tra i fatti e il significato che essi assumono agli occhi di chi li studia. Tale è l’assunto di partenza del volume in esame, scritto a quattro mani da Carlotta Sorba e Federico Mazzini, docenti rispettivamente di Storia e teoria culturale e di Digital History e Storia dei media e della comunicazione presso l’Università degli Studi di Padova.

Come si evince dal titolo, il perimetro temporale che i due autori hanno selezionato quale cornice della loro opera è quello delineato dalla cosiddetta svolta culturale, dirimente e destabilizzante spartiacque che, negli ultimi decenni, ha dimostrato quanto le rappresentazioni e le interpretazioni siano parte integrante degli studi storici e quanto innegabili siano le diverse forme di mediazione esistenti fra la realtà e il pubblico. L’inarrestabile processo di globalizzazione, il tramonto delle bipolari dinamiche della guerra fredda e l’incessante sviluppo della tecnologia, infatti, hanno determinato rilevanti trasformazioni nel mondo della ricerca storica dagli anni Settanta ad oggi, con conseguenti ripensamenti circa il ruolo e le risorse degli storiografi. Parallelamente ad un ampliamento della conoscenza storica, sempre più indirizzata verso ambiti e oggetti d’esame un tempo marginali – ricerche sul postcolonialismo e sulle differenze di genere, studi sulla nascita e circolazione di idee, emozioni, mentalità, comportamenti, sulle forme del consenso o del dissenso, sulle prassi sociali, civili, religiose e sulla cultura materiale – si è assistito ad un costante moltiplicarsi di risorse documentarie, di aree disciplinari e di linguaggi comunicativi in grado di approfondire la riflessione critica del passato e del presente. Inevitabilmente, però, tali conseguenze dalla svolta culturale, per quanto abbiano incrementato e rinnovato il quadro di ciò che può essere studiato storicamente, hanno anche sollevato preoccupazioni, cautele e polemiche: la monolitica centralità della storia evenemenziale è stata progressivamente intaccata dalla frammentazione e specializzazione delle discipline storiche e la produzione storiografica si è via via tradotta in un comune bene di consumo, fruibile “edonisticamente” dal grande pubblico alfabetizzato della società di massa attraverso canali editoriali, radiofonici, televisivi o cinematografici. A partire da questo fenomeno di diffusa commercializzazione, è stata messa in discussione la “scientificità” della storia, ritenuta in costante declino proprio a causa della caduta delle onnicomprensive grandi narrazioni, soppiantate da una generalizzata e instabile dispersione disciplinare. Sulla base di ciò, molti sono gli studiosi che, soprattutto negli ultimi anni, hanno ritenuto indiscutibile la crisi di identità che la storia ha mostrato di sperimentare nella comunità accademica; a detta di altri, però, – e fra questi vi sono gli autori del saggio in questione – le fluttuazioni che la ricerca storica ha manifestato, lungi dall’essere considerate motivo di disfacimento, possono qualificarsi come indicatori della dinamicità e molteplicità delle sue prospettive di indagine e di studio. Come si legge nell’introduzione del volume, quindi, obiettivo da perseguire è quello di rilanciare il ruolo pubblico ed educativo che la storia – in quanto sapere scientifico – ha, ma che nella società attuale è stato ripetutamente minacciato. Per ottenere questo risultato, è necessaria una preliminare comprensione di ciò che il cultural turn e lo sviluppo della storia culturale hanno significato1.

Pertanto, nel primo capitolo, si prende in esame la genesi di questo nuovo terreno di indagine che, fra gli anni Settanta e Novanta, seppur con tempistiche e forme diverse a seconda dei vari contesti nazionali, ha dato il via ad una profonda trasformazione circa gli oggetti di studio, gli strumenti e le fonti del sapere storico. Apripista, in questo senso, sono state la francese scuola delle Annales e l’inglese storia del lavoro di matrice marxista. La prima, soprattutto grazie al contributo di Lucien Febvre, ha generato un serrato dialogo fra la storia e le scienze sociali – geografia, sociologia, antropologia, etnologia –, garantendo un superamento della storia politica e diplomatica, in favore di una histoire totale che conferisse centralità alla dimensione economica, sociale, culturale, mentale e perfino affettiva delle società del passato; la seconda, invece, grazie alla lezione di Edward P. Thompson, ha avvicinato la storiografia al controverso determinismo socio-economico, così da stimolare studi sulla history from below e sulle capacità dell’agency umana rispetto alle rigide strutture sociali d’impronta marxiana. Perciò, quelli che fino a quel momento erano stati gli inflessibili paradigmi dello strutturalismo e del marxismo hanno iniziato a mostrare segni di cedimento e, con la trasformazione della storia nei suoi sistemi simbolici, registri linguistici e schemi di rappresentazione, si è verificato il collasso delle master narratives e del finalismo ad esse associato. L’emergere di tali nuovi indirizzi di ricerca ha richiesto una parallela evoluzione della pratica storiografica, le cui varie declinazioni sono state presentate nei restanti sei capitoli del libro attraverso teorie storico-culturali di importanti studiosi.

Con le riflessioni di Hayden White, ad esempio, viene affrontato il fenomeno postmoderno del linguistic turn a proposito delle modalità della narrazione storica: anziché consolidare il positivistico e meccanico carattere scientifico di ogni ricostruzione del passato, secondo lo storico statunitense, occorre sostituirvi il carattere poetico, al fine di “intramare” gli eventi e dar loro significato tramite l’utilizzo di tropi, archetipi narrativi, paradigmi argomentativi e strutture ideologiche valoriali.

Illuminanti sono stati anche gli studi di Clifford Geertz sull’antropologia interpretativa e di Pierre Bourdieu sulla «scienza sociale unificata». Secondo il primo, il ricorso a metodi antropologici avrebbe offerto la possibilità di analizzare qualitativamente la realtà concretamente vissuta – senza trascurare per questo il tradizionale approccio quantitativo –, con lo scopo di delineare una «thick description» 2 del contesto culturale e degli attori sociali in esso agenti; a detta di Bourdieu, invece, la storia si sarebbe dovuta rendere una scienza atta a incorporare la dimensione storica, quella antropologica e quella sociologica, per poi individuare nel concetto di habitus l’insieme di interazioni e condizionamenti sociali determinanti il rapporto circolare esistente fra l’uomo e il mondo circostante.

Altrettanto rilevante per la nuova storia culturale è stato il percorso intellettuale di Michel Foucault, affrontato nel quarto capitolo del volume attraverso l’analisi cronologica delle sue opere. Lo studio delle malattie, della follia, delle strutture cognitive e comportamentali della mente umana ha rappresentato per il filosofo francese la base di quella che ha definito l’«archeologia del sapere», da intendersi come la ricerca di una verità celata sotto strati di linguaggi diversificati, saperi non necessariamente codificati e comportamenti sociali più o meno istituzionalizzati sul piano politico, giuridico ed economico.

Ci si sofferma poi anche sulla nuova pratica storiografica della scuola microstorica, la cui riduzione della scala d’analisi ha condotto allo studio, citando Edoardo Grendi, dell’«eccezionale normale»: il singolo evento, straordinario nella sua marginalità, avrebbe costituito un indizio di una realtà nascosta, generalmente non deducibile dalle fonti comuni. Tramite una nuova prospettiva metodologica, basata su documentazioni secondarie e su ravvicinate indagini di fenomeni circoscritti, si sono così potute svelare la ricchezza e complessità cognitiva dell’anomalia e le velate incoerenze di un sistema sociale solo apparentemente unitario.

L’ultimo capitolo, infine, è dedicato a Michel De Certeau, la cui pragmatica e illuminante riflessione può, secondo Sorba e Mazzini, porsi a conclusione di questo percorso sulla svolta culturale e fornire, al contempo, una risposta alle già citate paure che essa ha generato nella storiografia. Gli approfondimenti del gesuita francese sulla storia delle mentalità e delle credenze del passato, uniti alle sue osservazioni sulla concretezza delle pratiche quotidiane e sugli atti di microesistenza che le pervadono, hanno effettivamente incentivato e legittimato i cultural studies e risposto alle controversie sorte in merito agli stessi: rischio di un assoluto relativismo, irreversibile decostruzione della realtà, frammentazione disciplinare, feticismo dei documenti o crollo della scientificità della storia. È stato ponendo al centro dell’indagine non solo testi, linguaggi e simboli, ma anche le esperienze comuni per mezzo delle quali gli attori sociali producono significati, infatti, che De Certeau ha saputo restituire alla pratica storiografica un ruolo centrale, pur nelle sue caleidoscopiche applicazioni. Del resto, come si sottolinea anche nella conclusione del saggio, tramite le parole di Roger Chartier, l’apporto più sostanziale della storia culturale è stato proprio quello di «obbligare gli storici a mettere in discussione le loro certezze in apparenza più consolidate» 3, per poi ottenere nuovi approcci di ricerca, criteri di prova e modelli di comprensione in grado di contrastare il temuto declino della storia stessa. Ed è stato solo grazie a un tale percorso che oggigiorno la storia è evidentemente riconosciuta nella sua intrinseca pluralità, senza che ciò ne rappresenti un invalidante elemento di debolezza.

Tale è il punto d’arrivo delle riflessioni degli autori del volume. Facendo leva su di un solido e aggiornato impianto bibliografico di riferimento, attraverso una chiara e lucida ricostruzione delle teorie storiografiche scaturite dalla svolta culturale e una puntuale analisi dei dubbi e delle criticità emerse dalla stessa, Sorba e Mazzini sono riusciti a confermare l’avvenuta emancipazione del sapere storico dallo status positivista di scienza empirica, obiettiva e unidirezionale nella narrazione dei fatti. Tramite una trasversale analisi dei contributi di White, Geertz, Bourdieu, Foucault, Grendi, De Certeau, quindi, si è dimostrato come, negli ultimi decenni, gli aspetti culturali e sociali abbiano rivendicato e ottenuto una propria autonomia e ragion d’essere, senza dubbio in stretta relazione con la tradizionale dimensione politica, ma non più ad essa subordinata. Gli autori del libro, inoltre, hanno saputo anche proporre interessanti spunti di riflessione circa le ambiguità che la svolta culturale ha inevitabilmente riversato sul più immediato presente. Il cultural turn, infatti, a causa dello smembramento disciplinare che ha comportato, si è reso indiretto promotore di quella che, nella digitalizzata società attuale, è la realtà “individualizzata” dei social network e dell’incontrollato dilagare di fake news o di teorie cospirative e complottistiche, portatrici di percezioni distorte e racconti inattendibili; del resto, dal momento che il cultural turn ha presentato la realtà come una dimensione sempre mediata da interpretazioni, emozioni, linguaggi e approcci soggettivi, si finisce oggi per giustificare il fatto che ogni narrazione storica, soprattutto se frutto dell’inarrestabile e rapidissimo sviluppo dei mezzi di comunicazione online, possa acquisire pari spessore e dignità. Eppure, non è possibile ragionare in questi termini, poiché non bisogna dimenticare che la svolta culturale ha anche insegnato che ogni interpretazione è lecita, purché non rinneghi la tradizionale ricerca documentaria di tipo scientifico. Paradossalmente, dunque, – e in ciò si racchiudono l’originalità del contributo di Sorba e Mazzini e, al contempo, suggerimenti per future ricerche sul tema – è proprio a partire da un’analisi critica del fenomeno della svolta culturale che è poi anche possibile comprendere e, almeno in parte, attenuare i processi che da essa stessa sono scaturiti e che attualmente rappresentano un pericolo per la ricerca storica. Per quanto la stabilità della storia rischi di essere minata, infatti, è solo riconoscendo la dignità scientifica degli studi sulle rappresentazioni, sulle emozioni, sulla memoria e sulla cultura materiale che si può scindere il vero dal falso storico. In definitiva, studiare e comprendere la svolta culturale degli ultimi decenni permette oggi di guardarsi dai rischi che essa stessa può implicare. Si legge nelle ultime righe del saggio:

è grazie all’influsso esercitato dalla svolta culturale che lo sguardo storico si rivela oggi più che mai insostituibile, l’unico capace di approfondire e problematizzare le altre forme possibili di rappresentazione, di nostalgia, di memoria del passato, per interrogarsi su di esse e sul loro modo di incidere sul nostro tempo. Allo stesso tempo una maggiore solidità autoriflessiva, l’abitudine costante a misurarsi con le categorie e gli strumenti del proprio fare possono sollecitare forme nuove di interazione e scambio dell’indagine storica con altri linguaggi, in primo luogo quelli artistici, capaci di mettere in relazione, con sguardi diversi, il passato, il presente e il futuro4.

Notas

1 Sorba e Mazzini sottolineano che il loro contributo nel ripercorrere le fasi della svolta culturale è estremamente sintetico e coglie solo i punti chiave del processo; per approfondimenti sul tema si segnalano: GREEN, Anna, Cultural History, New York, Palgrave MacMillan, 2008; BURKE, Peter, What is Cultural History?, Cambridge, Polity Press, 2008; ARCANGELI, Alessandro, Che cos’è la storia culturale, Roma, Carocci, 2007.

2 Con questa espressione, traducibile con “descrizione spessa e densa”, Geertz indicava una descrizione che, sulla base della consapevolezza dei molteplici significati individuabili in ogni fenomeno culturale, sapesse cogliere quelli più specifici percepiti dagli attori sociali agenti nel tal contesto.

3 CHARTIER, Roger, Postfazione a POIRRIER, Philippe, (a cura di), La storia culturale: una svolta nella storiografia mondiale?, Verona, Quiedit, 2010, cit. in SORBA, Carlotta, MAZZINI, Federico, La svolta culturale. Come è cambiata la pratica storiografica, Roma-Bari, Laterza, 2021, p. 153.

4 SORBA, Carlotta, MAZZINI, Federico, La svolta culturale, cit., p. 162.


Resenhista

Alina Binaghi – Ha conseguito con lode, presso l’Università degli Studi di Milano, la laurea triennale in Storia, nel 2019, e la laurea magistrale in Scienze storiche – precisamente in Storia delle istituzioni e del pensiero politico contemporaneo –, nel 2021, con una tesi dal titolo Nicola Chiaromonte e «Tempo presente»: politica e cultura a dialogo nell’«epoca della malafede». Suoi principali interessi di ricerca sono gli studi teorici e le applicazioni pratiche della Public History e dell’historytelling.


Referências desta Resenha

SORBA, Carlotta; MAZZINI, Federico. La svolta culturale. Come è cambiata la pratica storiografica. Roma-Bari: Laterza, 2021. Resenha de: BINAGHI, Alina. Diacronie- Studi di Storia Contemporanea, v.48, n. 4, p.50-56, dic. 2021. Acessar publicação original [DR]

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