Una guerra di nervi. Soldati e medici nel manicomio di Racconigi (1909-1919) | Fabio Milazzo

Il lavoro di Fabio Milazzo – docente e ricercatore per l’Istituto storico della Resistenza di Cuneo, oltre che collaboratore di diverse riviste storiche e autore di svariate pubblicazioni sul tema della devianza ma non solo1 –, si inserisce come un ulteriore e prezioso tassello nel mosaico delle storie che stanno emergendo dagli archivi degli ospedali psichiatrici, e che via via contribuiscono a illuminare di una luce sempre più vivida le diverse vicende della Grande guerra, un momento cruciale per la storia italiana, ma anche per quella, più specifica, della psichiatria.

Dal punto di vista storiografico, sul tema in questione oggi disponiamo di una serie corposa di studi sui manicomi, sulle condizioni dei soldati ricoverati e sull’atteggiamento di medici e psichiatri nei loro confronti durante il primo conflitto mondiale. Nel suo pionieristico lavoro del 1991 Antonio Gibelli ha intrecciato le testimonianze scritte dei soldati con fonti psichiatriche2; ad esso è seguito, dieci anni dopo, l’altrettanto importante studio di Bruna Bianchi3 sulle ribellioni, consapevoli o inconsce, di soldati e ufficiali dell’esercito italiano coinvolti nella Grande guerra.

A quei primi studi se ne sono aggiunti altri nel corso degli anni, grazie soprattutto alla progressiva apertura degli archivi degli ospedali psichiatrici (conseguente alla progressiva chiusura dei manicomi, avvenuta in modo definitivo nella seconda metà degli anni Novanta del Novecento) e alla progressiva consultabilità della documentazione. Queste “aperture” hanno consentito l’accesso di storici e sociologi a carte fino a quel momento per loro inaccessibili. Dopo una prima fase, nella quale è stata prevalente la lettura dell’internamento legata alle categorie di “devianza” e “controllo sociale”, storici e storiche hanno cominciato ad utilizzare anche altri modelli interpretativi, basati ad esempio sull’analisi dell’evoluzione dell’assistenza psichiatrica o delle tecniche terapeutiche, allontanandosi dalla storia della psichiatria per rivolgersi ad un’analisi della società nel suo complesso4.

Accanto a lavori di carattere più generale, in questi ultimi decenni le cartelle cliniche e le altre carte – tutte, comprese quelle amministrative – conservate negli archivi degli ospedali psichiatrici hanno dunque costituito la fonte primaria indispensabile per analizzare i casi concreti, vale a dire i manicomi che costellavano la penisola e nei quali venivano ricoverati soprattutto «gli alienati poveri della provincia», come recitava anche la legge n. 36 del 1904 che regolamentò le istituzioni manicomiali locali dopo l’Unità d’Italia5 . Grazie all’accessibilità di quegli archivi hanno potuto così affiorare numerose storie sommerse, legate alle vicende di quelle istituzioni totali di cui per tanto tempo si è sempre sussurrato ma mai parlato apertamente, perché troppo scarse e frammentarie erano le notizie o le informazioni. La produzione di storie dei manicomi provinciali si è così diffusa, e ad oggi disponiamo di numerose monografie o saggi che ci aiutano a ricostruire il panorama manicomiale nazionale6.

Ed è da questo che emergono continuità e differenze specifiche: se da un lato possiamo dire che tutti i manicomi si assomigliano per la gestione dei ricoverati, per le carenze di spazio e di strumenti a disposizione o per la cronica mancanza di personale, dall’altro lato emergono alcune peculiarità, legate perlopiù alla loro collocazione territoriale e, soprattutto, alle persone che li hanno attraversati.

In otto densi capitoli Milazzo ci accompagna dunque nella specificità del manicomio di Racconigi, in provincia di Cuneo, nel periodo della Grande guerra per farci conoscere da vicino le persone che ci lavorarono o quelle che vi furono internate per periodi più o meno lunghi. L’obiettivo è sempre quello di uscire dalle generalizzazioni e cercare, come scrive lo stesso autore nell’introduzione, di «restituire la parola ai soggetti che la storia ha condannato al silenzio»7 , tenendo sempre presente che nelle cartelle cliniche o nella documentazione prodotta dalle istituzioni manicomiali le parole dei soggetti ricoverati sono da cercare soprattutto tra le righe, perché riportate – quando non travisate o mal interpretate – da una psichiatria che per moltissimi anni ha sempre guardato più alla malattia che al malato. Storie frammentate di testimoni spesso silenziosi o inascoltati ma, come ha scritto Foucault a proposito degli «uomini infami» rinchiusi all’Hôpital général di Parigi o alla Bastiglia, pur sempre persone in carne ed ossa, le cui storie sono giunte fino a noi solo perché brevemente illuminate da «un fascio di luce», gettato da chi le aveva raccontate8.

Attraverso le cartelle cliniche, o le lettere conservate nei fascicoli personali, Milazzo segue le tracce dei 565 soldati ricoverati a Racconigi tra il 1914 e il 1919, un numero non paragonabile a quello dei ricoverati nei manicomi posti lungo la linea del fronte, ma decisamente rilevante se confrontato a quello degli ospedali lontani da esso9. Di molti di loro sono rintracciate le motivazioni per l’internamento, i deliri, gli stati di alterazione, ma anche le situazioni per le quali lasciarono Racconigi (rimandati in caserma, riformati oppure evasi o addirittura suicidi). Casi molto simili a quelli dei ricoverati per gli stessi motivi e nello stesso periodo in altri manicomi, ma ognuno diverso, perché diversi sono i contesti e diverse – naturalmente – sono le persone che soffrirono l’internamento manicomiale.

Storie di persone, dunque, come quelle del personale sanitario e del direttore dell’ospedale nel periodo preso in considerazione: il dottor Cesare Rossi, primario al manicomio di Como, nel settembre 1908 nominato direttore in seguito alle polemiche dimissioni del direttore in carica Vitige Tirelli. Quest’ultimo aveva infatti rinunciato all’incarico per le pessime condizioni della struttura, decisamente inadeguata a fronte di un numero troppo alto di ricoverati (circa seicento, in aumento). Il neodirettore Rossi, in contatto e in relazione con altri istituti manicomiali come il San Lazzaro di Reggio Emilia, tentò di rimuovere i difetti originari della struttura e di applicare tecniche nuove e più moderne cercando di coniugare disciplina e cura, ma i suoi tentativi furono interrotti dall’irrompere della Grande guerra.

Durante il conflitto, poi, anche la struttura di Racconigi si trovò a dover affrontare problemi simili agli altri manicomi italiani: la mancanza di personale sanitario esperto per la chiamata alle armi del personale infermieristico, o l’insufficienza e l’inadeguatezza dei locali.

Forse anche per questo Rossi sembrò essere molto incline ad attuare politiche meno restrittive, di «rapide dimissioni» per restituire i soldati ai corpi d’appartenenza: forse, come segnala Milazzo, era ancora una volta una soluzione data da necessità concrete, più che dettate da una reale consapevolezza o dall’adesione a teorie sulla medicalizzazione del dissenso, come capitò anche in altri manicomi lontani dal fronte. Del resto, scrive Milazzo, «la difficoltà di inquadrare i sintomi sofferti dai soldati e il dilemma di identificare disturbi che possono presentare tanto i caratteri della simulazione quanto quelli della sofferenza reale, pongono gli alienisti – come il direttore Rossi – di fronte a tutta l’ambiguità di una tassonomia ormai logora»10.

Ragionando in generale sui traumi di guerra, Milazzo ha allargato lo sguardo e allungato l’arco cronologico di riferimento. Non limitandosi ad analizzare i ricoveri negli anni del conflitto, si è spinto un po’ oltre (1919) e soprattutto è partito prima, dal 1909. Se la scelta del 1919 è facilmente comprensibile pensando al congedo di alcuni militari o anche al più lungo periodo in cui i traumi possono esplicitarsi, molto interessante appare la scelta della data post quem per dare inizio alla ricerca. Da un lato, come abbiamo visto, il 1909 è l’anno in cui Cesare Rossi inizia a dirigere l’«ospedale caserma» di Racconigi, dall’altro il primo Novecento è il periodo in cui vengono potenziate le caserme e i presidi militari nella provincia cuneese, dal forte valore strategico per la sua posizione di confine con la Francia. Milazzo ha voluto cioè verificare l’intensità e la portata del «mal di caserma» sui moltissimi soldati di stanza nella “provincia granda”, prevalentemente contadini o ragazzi allontanati dal proprio paese e dalle proprie radici, per concludere che tra il 1909 e il 1914 la «percentuale degli alienati militari rispetto agli ingressi totali è minima, anche se in costante aumento»11, cioè 30 soldati in sei anni. Questi dati, insieme all’analisi dei casi, lo portano a riflettere, oltre che sul «silenzio della documentazione», anche sul fatto che molto probabilmente ci fu una sottostima del disagio mentale da parte delle autorità, disagio che fu sminuito o forse proprio non compreso. E in ogni caso solo un confronto con altri casi simili potrebbe corroborare o smentire l’ipotesi iniziale.

Dopo lo scoppio della guerra, invece, il nesso guerra-follia e la definizione di shell shock si fecero largo anche nei manicomi italiani, pur tra mille diffidenze e contestazioni, e anche Milazzo ci racconta simulazioni e nevrosi dei soldati a Racconigi, cercando sempre di mettere in relazione comportamenti e diagnosi con teorie e tendenze più generali elaborate dalle autorità militari e dagli psichiatri al servizio dei vari corpi d’armata impegnati nel conflitto. I traumi di guerra tra i soldati di Racconigi però non furono sostanzialmente diagnosticati perché, spiega Milazzo, i medici decisero di mantenere «un profilo basso» e non si pronunciarono ufficialmente sull’origine e sulle cause delle patologie, ponendo così le condizioni per il mancato riconoscimento della condizione di soldati traumatizzati12.

In conclusione, Milazzo segnala che tutte queste vicende particolari, «schiacciate tra disagio mentale e mancato riconoscimento sociale, tra difficoltà di adattamento alla “nuova” esistenza manicomiale e, diversamente, dimissioni a cui fecero seguito riprovazione sociale, problematiche relazioni comunitarie e lavorative, lacerazioni degli affetti, solitudini e abbandoni»13, sono alla fine state rimosse e per lunghissimo tempo avvolte nell’oblio. E invece gettare squarci di luce su queste storie di sofferenza è oltremodo necessario, sia per contestualizzarle nelle dinamiche più generali del tempo nel quale si sono dipanate, sia per contrastare le narrazioni nazionali ufficiali di storia militare e politica (realizzate per lo più da militari), nelle quali la presenza della violenza e delle atrocità di guerra si è spesso ridotta alla quantificazione delle vittime e ad un’astratta storia di battaglie, trascurando le conseguenze e le soggettività degli individui coinvolti.


Notas

1 Tra i suoi ultimi lavori mi limito a ricordare: MILAZZO, Fabio, MAMONE, Graziano (a cura di), Storia e psichiatria. Problemi, ricerche, fonti, Milano, Biblion, 2019; MILAZZO Fabio, MAMONE, Graziano, Deserti della mente. Psichiatria e combattenti nella guerra di Libia 1911-1912, Firenze, Le Monnier, 2019; MILAZZO, Fabio, Una casa di custodia per maniaci pericolosi. Storia del manicomio di Racconigi dalle origini al fascismo (1871-1930), Cuneo, Primalpe-IstoreCn, 2019.

2 GIBELLI, Antonio, L’officina della guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Torino, Bollati Boringhieri, 1991.

3 BIANCHI, Bruna, La follia e la fuga. Nevrosi di guerra, diserzione e disobbedienza nell’esercito italiano 1915-1918, Roma, Bulzoni, 2001.

4 Per fare solo qualche esempio, si veda PASTORE, Alessandro, SORCINELLI, Paolo (a cura di), Emarginazione, criminalità e devianza in Italia fra ’600 e ’900. Problemi e indicazioni di ricerca, Milano, Franco Angeli, 1990; FIORINO, Vinzia, Matti, indemoniate e vagabondi. Dinamiche di internamento manicomiale tra Otto e Novecento, Venezia, Marsilio, 2002; ROSCIONI, Lisa, Il governo della follia. Ospedali, medici e pazzi nell’età moderna, Milano, Bruno Mondadori, 2003; CASSATA, Francesco, MORAGLIO, Massimo (a cura di), Manicomio, società e politica. Storia, memoria e cultura della devianza mentale dal Piemonte all’Italia, Pisa, Bfs, 2005.

5 «Legge 14 febbraio 1904 numero 36», in SIFO. Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici delle Aziende Sanitarie, URL:< https://www.sifoweb.it/images/pdf/attivita/attivitascientifica/aree_ scientifiche/psichiatria/LEGGE_14_FEBBRAIO_1904_N._36.pdf. [consultato il 30 novembre 2022].

6 Un elenco dei lavori prodotti sui manicomi è ormai molto lungo. Segnalo, citando solo quelli dell’ultimo decennio: BOYER, Gabriella, Appunti per una storia del manicomio di Ancona, Bologna, Clueb, 2012; BANZOLA, Matteo, Il manicomio modello. Il caso imolese. Storia dell’ospedale psichiatrico 1804-1904, Imola, La Mandragora, 2015; GIOVANNINI, Paolo, Un manicomio di provincia, il San Benedetto di Pesaro 1829-1918, Ancona, Affinità elettive, 2017; GRECO, Oscar, I demoni del Mezzogiorno. Follia, pregiudizio e marginalità nel manicomio di Girifalco 1881-1921, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2018; VANNOZZI, Francesca, Pianeta diversità. Per una memoria del manicomio di Siena, Milano, Franco Angeli, 2018; MAZZONI, Marcello, La nave dei folli: storia del manicomio di Teramo, Mosciano S. Angelo, Artemia nova, 2021.

7 MILAZZO, Fabio, Una guerra di nervi, cit., p. 21.

8 FOUCAULT, Michel, La vita degli uomini infami, Bologna, Il Mulino, 2009 [ed. orig.: La vie des hommes infâmes, in ID., Dits et écrits, Paris, Gallimard, 1994, vol. III, pp. 237-255], pp. 21-22.

9 I dati raccolti a Racconigi sono confrontati con quelli di Treviso (BETTIOL, Nicola, Destini della follia in guerra. Vivere, sopravvivere e scrivere al S. Artemio di Treviso, in SCARTABELLATI, Andrea (a cura di), Dalle trincee al manicomio. Esperienza bellica e destino di matti e psichiatri nella Grande guerra, Torino, Marco Valerio, 2008); di Verona (ADAMI, Maria Vittoria, L’esercito di S. Giacomo. Soldati e ufficiali ricoverati nel manicomio veronese 1915-1920, Padova, Il poligrafo, 2006) e, per i manicomi lontani dal fronte, con Volterra (FIORINO, Vinzia, Le officine della follia. Il frenocomio di Volterra 1888-1978, Pisa, Ets, 2011) e Parma (LA FATA, Ilaria, Follie di guerra. Medici e soldati in un manicomio lontano dal fronte 1915-1918, Milano, Unicopli, 2014).

10 MILAZZO, Fabio, Una guerra di nervi, cit., p. 122.

11 Ibidem, p. 57.

12 Ibidem, p. 165.

13 Ibidem, p. 231.


Resenhista

Ilaria la Fata – Dottoressa di ricerca in Storia contemporanea presso l’Università degli studi di Parma, archivista, è ricercatrice del Centro studi per la stagione dei movimenti di Parma, per conto del quale da anni svolge ricerche e laboratori didattici sulla storia del Novecento. Si occupa anche dell’organizzazione e accompagnamento di studenti e adulti nei “viaggi della memoria”, in collaborazione con CultureLabs e Istoreco. Dopo essersi concentrata sui temi di antifascismo, Seconda guerra mondiale e Resistenza, da diversi anni si dedica anche allo studio della storia della psichia-tria e delle istituzioni totali. In proposito ha gestito per dieci anni l’archivio dell’ex Ospedale psichiatrico provinciale di Colorno (Pr) dalla sua apertura al pubblico nel 2005 fino alla sua definitiva chiusura. Tra le sue pubblicazioni Follie di guerra. Medici e soldati in un manicomio lontano dal fronte (Milano, Unicopli, 2014). URL: http://www.studistorici.com/progett/autori/#LaFata


Referências desta Resenha

MILAZZO, Fabio. Una guerra di nervi. Soldati e medici nel manicomio di Racconigi (1909-1919). Pisa: Pacini, 2020. Resenha de: LA FATA, Ilaria. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, v.52, n.4, p.255-261, 2022. Acessar publicação original [DR/JF]

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