Migrazioni, colonie agricole e città di fondazione in Sardegna | Sandro Ruju

Il volume curato da Sandro Ruju1, edito all’interno della collana “Sardegna contemporanea” diretta dall’Istituto sardo per la storia dell’antifascismo e della società contemporanea, ospita quindici contributi di studiose e studiosi che affrontano temi ancora poco indagati dalla storiografia: l’immigrazione in Sardegna, le migrazioni interne, il ruolo dello Stato, l’integrazione tra chi arriva e le popolazioni locali. I quindici saggi si prestano a più chiavi analitiche e interpretative, delle quali prenderemo in considerazione alcune che ci appaiono maggiormente rilevanti.

In primo luogo, i contributi possono essere letti in una dimensione “macro”, inquadrandoli in una scala di osservazione non solo nazionale, bensì mediterranea2. Questo punto di vista abbraccia un segmento evenemenziale, che attraversa la tarda età moderna fino agli ultimi anni del Novecento, all’interno del quale sono ricostruiti gli effetti sull’Isola delle migrazioni di maltesi, greci, liguri, corsi, dell’esodo istriano-dalmata, del rientro in Italia degli emigrati in Tunisia nel periodo della decolonizzazione. La Sardegna è dunque inserita all’interno di una rete di connessioni che si estende a tutti i territori delle sponde del Mediterraneo, inteso non solo fisicamente ma come appartenenza culturale e storica3. Gli effetti sono contrastanti, talvolta conflittuali, altre volte con maggiore fortuna sociale ed economica.

Restando su questo livello, è fondamentale sottolineare come i contributi pongano l’accento sul ruolo dello Stato, quello moderno e quello contemporaneo, che avoca a sé il ruolo di creatore di “luoghi”, con o senza la collaborazione dei privati o delle comunità, fino a tutto il XX secolo. La questione non è ovviamente una prerogativa sarda: il fenomeno è infatti inquadrato in una dimensione europea e mediterranea4.

Nel caso della Sardegna, emerge storicamente una differenziazione tra la percezione “interna” e quella “esterna” del territorio, del paesaggio, della stratificazione giuridica e sociale. In particolare, la dimensione del “pieno” e del “vuoto”, delle comunità di villaggio, degli spazi agrari dell’openfield, delle aree pabulari e boschive, alimentano una visione esterna in cui i tratti dominanti sono lo spopolamento e la pastorizia errante. Tralasciando, in questo contesto, la ciclicità del rapporto tra agricoltura e pastorizia5, dai saggi emerge una periodica volontà, da parte statale, di riempire i vuoti con bonifiche, colonizzazioni agricole, trasferimento di gruppi esterni. Come ben evidenziato nei contributi, questi momenti non sono quasi mai indolori e pacifici, anzi le comunità locali sono spesso ostili a tali progetti. Una spiegazione a questa contrarietà può essere rintracciata nel plurisecolare deposito di diritti condivisi sulla terra, che sta a fondamento della sopravvivenza stessa delle comunità almeno fino all’Ottocento inoltrato6.

Se riduciamo la scala di osservazione, i saggi di questo volume assumono una loro preziosa valenza anche dal punto di vista microstorico. In diversi passaggi, l’utilizzo della corrispondenza privata, delle testimonianze orali, della memoria come “oggetto” storico, permette una definizione di maggior dettaglio degli avvenimenti, delle strategie individuali e comunitarie, con una concentrazione proprio sui nodi di quella rete di relazioni che lega i luoghi dell’Isola agli altri luoghi del Mediterraneo. Questa prospettiva assume caratteri di particolare interesse e garantisce ulteriori sviluppi per le ricerche proposte, in un’ottica di ricostruzione delle storie di comunità e delle vicende familiari, che oggi possono rivestire un importante significato nel supporto a percorsi di sviluppo locale.

Il libro si apre con la presentazione di Sandro Ruju che, prendendo spunto dai contributi, offre la ricostruzione di una parte della storia economica e sociale sarda, osservata attraverso la prospettiva delle migrazioni e dei tentativi di colonizzazione. Proprio su questi tentativi in età moderna, si concentra una parte del saggio di Giampaolo Salice, che trattando di popolamento «forestiero» della Sardegna tra Settecento e Ottocento, ci invita a pensare la colonizzazione come un gioco a tre, tra il sovrano, la popolazione nativa e i coloni che si insediano nel territorio. Giampaolo Atzei si concentra sulle trasformazioni economiche e sociali durante l’epopea mineraria dell’iglesiente, che nella seconda metà del XIX secolo attira capitali e famiglie imprenditoriali, come quelle dei Modigliani e dei Boldetti. Nell’ambiente minerario convergono e si formano politicamente anche i dirigenti dei movimenti e dei partiti dei lavoratori, come il piemontese Giuseppe Cavallera e l’abruzzese Angelo Corsi.

Alla costruzione di Carbonia è dedicato il contributo di Walter Falgio, che si occupa di una migrazione tutta interna alla Sardegna raccontando la storia dell’ingegnere Giuseppe Marongiu il quale, da Nuoro, si trasferisce nel Sulcis per guidare uno dei cantieri attivati per costruzione della nuova città. Le testimonianze del tecnico nuorese aprono degli spunti di riflessione sulle tante piccole migrazioni interne e sulle enormi difficoltà che si addensano attorno all’edificazione di Carbonia, nonostante l’enfasi imposta dal regime fascista. Un uso interessante delle fonti archivistiche è sviluppato nel saggio di Flavio Conia che, nel rappresentare il caso delle migrazioni interne verso la Nurra e l’area industriale della SIR a Porto Torres, utilizza documenti del Ministero dell’Interno e della Cassa per il Mezzogiorno, fondi che meritano successivi approfondimenti per lo studio di questo tema.

Le colonie penali sono tra i più evidenti strumenti di intervento statale in alcune aree della Sardegna: su queste, Costantino Di Sante focalizza la sua analisi a proposito delle funzioni economiche e rieducative, fino alla loro cessione all’Ente Ferrarese di Colonizzazione e all’ingresso di coloni «liberi». Sempre all’ambito delle colonie penali, con riferimento particolare a quella di Tramariglio, si riferisce il saggio di Stefano A. Tedde, che studia le migrazioni e le difficoltà di detenuti, guardie di custodia e amministrativi, attraverso documenti e corrispondenza conservati nell’archivio della struttura.

Daniele Sanna, nella sua ricerca sulla mobilità di militari e funzionari pubblici, introduce un’interessante riflessione sull’idea di Sardegna nell’immaginario esterno, da luogo quasi di confino e di punizione, fino alla nuova rappresentazione legata al turismo e alle vacanze balneari, che si afferma in seguito alla nascita della Costa Smeralda.

Un’idea di colonizzazione è quella portata alla luce da Erica Luciano, che ha riscoperto la storia legata al tentativo di trasferimento in Sardegna di coloni abruzzesi provenienti dall’Altipiano di Campotosto, costretti a migrare in seguito alla costruzione di un bacino idroelettrico, che fallisce in pochi mesi nella primavera del 1947. La Fertilia dei Giuliani è al centro del profondo lavoro di Maria Luisa Molinari, nel quale sono evidenziati sia i due tempi di vita della colonia (quello fascista e quello del popolamento con i giuliano-dalmati sotto la gestione dell’EGAS), sia il complesso processo di evoluzione dell’identità collettiva e di integrazione con le comunità circostanti. Un problema storiografico e antropologico che riemerge anche nel saggio di Valeria Deplano, incentrato sul “ritorno” degli italiani emigrati in Tunisia dopo la fine del protettorato francese. Intere famiglie che, avendo ormai perso i contatti con i propri luoghi di origine, intrecciano le loro storie con il processo di riforma agraria in corso negli anni Sessanta in Italia. Alcune di queste scelgono di appoderarsi in Sardegna, proprio nei comprensori della bonifica gestiti dagli enti sardi di riforma (ETFAS e EAF), in cui possono sviluppare le loro conoscenze maturate nel campo della viticoltura.

Gli ultimi cinque saggi del volume sono dedicati ad Arborea, forse il caso storicamente più rilevante di bonifica e colonizzazione, con la persistenza di valori identitari più marcati. Luciano Marrocu spiega bene come il fascismo si inserisca in un progetto di bonifica già avviato nella tarda età liberale da Giulio Dolcetta, per appropriarsene in chiave propagandistica. L’utilizzo delle fonti orali, raccolte a più riprese, permette a Maria Luisa Di Felice, già autrice di importanti lavori sul tema7, di mettere in risalto le difficoltà delle prime famiglie coloniche giunte nella piana terralbese per abitare i poderi di Mussolinia-Arborea, dando voce soprattutto alla componente femminile, dipingendo il quadro quasi feudale dei rapporti tra i mezzadri e la Società Bonifiche Sarde. Alberto Medda Costella si sofferma sulle diverse provenienze dei coloni (Veneto, Romagna, Lombardia, Sicilia) e sul passaggio da mezzadri ad assegnatari, concretizzatosi nel secondo dopoguerra, che permette l’appoderamento anche di diverse famiglie sarde, fino ad allora quasi totalmente escluse per via dello scarso apporto in termini di braccia che potevano fornire per condurre un podere mezzadrile. Il contributo di Alessandro Mignone offre interessanti spunti sulla volontà del fascismo di «sbracciantizzare» alcune aree del Settentrione, sia per motivi economici (allentare la sottoccupazione della manodopera agricola), sia per motivi politici (evitare il rafforzamento delle organizzazioni bracciantili ostili al regime), con il trasferimento di gruppi familiari nel territorio di Arborea. Saranno gli stessi prefetti, come illustrato nel saggio, a organizzare le migrazioni verso la piana del basso oristanese.

Infine, Paolo Sanjust riflette sul tema del paesaggio agrario «edificato» in seguito alla bonifica di Terralba-Arborea e sulle opere necessarie alla creazione dei primi cantieri che hanno modificato il territorio e il rapporto delle popolazioni con lo stesso.

Il volume ha il merito di affrontare temi di grande complessità, come lo stesso concetto di colonizzazione, ancorandoli alle solide basi delle fonti archivistiche e documentarie (anche di tipo orale), e apre la strada a nuove indagini ad ampio spettro, dalle strutture economiche, alla ricostruzione genealogica, alla storia del paesaggio rurale.

Notas

1 Sandro Ruju è uno studioso di storia economica e sociale. Docente scolastico e universitario, i suoi studi si sono focalizzati sulle problematiche economiche, sulla storia del lavoro, dell’industria, del turismo e delle attività tradizionali della Sardegna. Tra le sue principali pubblicazioni: RUJU, Sandro, Via delle Conce. Storia e memorie dell’industria del cuoio a Sassari 1850-1970, Sassari, Dessì, 1988; ID., L’Argentiera. Storia e memorie di una borgata mineraria in Sardegna 1863-1962, Milano, Angeli, 1996; ID., Il peso del sughero. Storia e memorie dell’industria del sughero in Sardegna 1830-2000, Sassari, Dessì, 2002; ID., La parabola della petrolchimica. Ascesa e caduta di Nino Rovelli. Con sedici testimonianze a confronto, Roma. Carocci, 2003; ID., La Sardegna e il turismo. Sei testimoni raccontano l’industria delle vacanze, con prefazione di Vera ZAMAGNI, Sassari, Edes, 2014.

2 Sulle scale di osservazione dei fenomeni storici si veda REVEL, Jacques (a cura di), Giochi di scala. La microstoria alla prova dell’esperienza, Roma, Viella, 2005.

3 Su questo concetto di Mediterraneo si fa riferimento a MATVEJEVIĆ, Predrag, Breviario mediterraneo, Milano, Garzanti, 2004.

4 In proposito si vedano CASALENA, Maria Pia (a cura di), Luoghi d’Europa: spazio, genere, memoria, Bologna, Archetipo libri, 2011; SALICE, Giampaolo, Colonizzazione sabauda e diaspora greca. Viterbo, Sette Città, 2015; SALICE, Giampaolo (a cura di), La terra ai forestieri, Pisa, Pacini, 2019.

5 Per la quale si rimanda a ORTU, Gian Giacomo, Le campagne sarde tra XI e XX secolo, Cagliari, CUEC, 2017.

6 Si veda ORTU, Gian Giacomo, Villaggio e poteri signorili in Sardegna: profilo storico della comunità rurale medievale e moderna, Roma-Bari, Laterza, 1996.

7 Della stessa autrice cfr. DI FELICE, Maria Luisa, Le città di fondazione fascista, in Le città di fondazione in Sardegna, a cura di Aldo LINO, Cagliari, Cuec, 1998, pp. 98-119; ID., Terra e lavoro. Uomini e istituzioni nell’esperienza della riforma agraria in Sardegna (1950-1962), Roma, Carocci, 2005; ID., L’archivio della Società Bonifiche Sarde: storia di un’impresa e di un progetto, in «Le Carte e la Storia», VI, 1/2000, pp. 135-141; ID., «Istanze di riscatto, paradigmi produttivistici e controllo politico-sociale nella riforma agraria in Sardegna (1950-62)», in Studi e ricerche, VI, 2013, pp. 145-178.


Resenhista

Roberto Ibba – Laureato in Scienze Politiche, è Dottore di ricerca in Storia moderna e contemporanea, assegnista di ricerca nel Dipartimento di Lettere, Lingue e Beni Culturali dell’Università di Cagliari. Collabora con le cattedre di Storia moderna e Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni dell’Università di Cagliari, e con diverse amministrazioni locali. È direttore del museo “I cavalieri delle colline” a Masullas, sull’aristocrazia rurale della Sardegna. Ha in attivo collaborazioni con diversi enti pubblici e privati sui temi della storia, dello sviluppo locale e della formazione. I suoi temi di ricerca prevalenti sono la storia del paesaggio agrario, la storia dell’agricoltura, lo studio delle élites locali, con uno sguardo che parte dalla Sardegna e si allarga sul contesto Mediterraneo.


Referências desta Resenha

RUJU, Sandro (Ed). Migrazioni, colonie agricole e città di fondazione in Sardegna. Milano: Franco Angeli, 2021. Resenha de: IBBA, Roberto. Diacronie – Studi di Storia Contemporanea, v.47, n.3, p.231-236, out. 2021. Acessar publicação original [DR]

 

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