L’età del disordine. Storia del mondo attuale 1968-2017 – DETTI; GOZZINI (BC)

DETTI, T.; GOZZINI, G. L’età del disordine. Storia del mondo attuale 1968-2017. Bari-Roma: Laterza, 2018. 210p. Resenha de: PERILLO, Ernesto. Il Bollettino di Clio, n.11/12, p.190-192, giu./nov., 2019.

Cinque anni nel cuore del Novecento trasformano il XX secolo: dal 1968 al 1973 si manifestano o accelerano in modo significativo mutamenti strutturali che, spesso in modo graduale e in parte inavvertito, danno forma al mondo attuale. Questa è la tesi dei due autori: in quegli anni si sono poste le radici di uno stravolgimento economico, sociale e culturale che ha generato un grande disordine planetario, vissuto spesso con ansia e paura; una congiuntura che richiede l’elaborazione di coordinate orientative, al fine di affrontare le sfide globali che ci sovrastano: migrazioni, disuguaglianze, clima, finanza, povertà.

Lo shock petrolifero del ’73 pone per la prima volta in modo drammatico l’Occcidente di fronte al problema delle fonti di energia; il ciclo economico innescato determina un lungo periodo di stagnazione e di inflazione, accelerando processi ancora in atto. La globalizzazione acutizza fenomeni capaci di trasformare radicalmente gli equilibri mondiali. È l’”incubo dei nostri tempi”? Forse sì, se pensiamo alla finanza, quella “bolla di carta” sempre più svincolata e distante dalla ricchezza tangibile. Ma la globalizzazione, scrivono Detti e Gozzini, non è un complotto, è l’insieme dei movimenti internazionali di merci, persone, capitali e informazioni ed è tanto velleitario pensare di annullarla quanto necessario provare a controllarla. Certamente, tra le sue conseguenze ci sono l’approfondirsi del dislivello di ricchezza tra le parti del mondo industrializzato e le altre, così come disoccupazione e sotto-occupazione nei Paesi ricchi, migrazioni, sfruttamento incontrollato e distruzione dell’ambiente in quelli poveri. Tuttavia, i dati evidenziano che è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per un possibile processo di convergenza. Riforme agrarie, scolarizzazione di massa, qualificazione, innovazione tecnologica hanno una forte potenzialità nell’aumento del reddito e nell’uscita dalla povertà: in Asia le grandi carestie sono state sconfitte; dal 1980 in poi i poveri di tutto il mondo sono considerevolmente calati. Permangono, però, forti fragilità nell’Africa subsahariana ed equilibri instabili sul piano sociale ed economico sia all’interno di un Paese, sia fra Paesi diversi. Ne sono emergenze ben visibili le tragedie umanitarie del Terzo mondo, la povertà persistente fra gli anziani e nelle famiglie numerose dell’Occidente avanzato, ma anche quel mutamento antropologico, indotto dai media e dai consumi, che si manifesta nell’individualismo acquisitivo di massa e nel prevalere delle ragioni della libertà economica sulla giustizia.

Nel ’68 si accesero i riflettori internazionali sulla prima grande crisi umanitaria nella regione nigeriana del Biafra, a seguito di una guerra civile. Migrazioni, carestie e profughi si sono drammaticamente replicati con andamento altalenante: segno che la politica e la diplomazia possono fare molto per contenerli e per indirizzare verso la pace, ma anche che raramente questa volontà si manifesta in maniera concorde nelle nazioni più potenti.

Le migrazioni sono, infatti, attualmente uno dei maggiori fattori di ‘disordine’ mondiale. Certo, è difficile e fuorviante accordare le tendenze demografiche con i tempi brevi dei cambiamenti economici e politici. Tuttavia, le legislazioni restrittive adottate l’indomani della crisi petrolifera del 1973, finalizzate a fornire risposte a un’opinione pubblica spaventata dalla recessione, hanno inciso sulle caratteristiche e sulla visione pubblica del fenomeno: da arrivo favorito dal bisogno di forza lavoro cento anni fa, a viaggi di fortuna e ingressi illegali e osteggiati, spesso sostenuti dalla delinquenza organizzata. L’andamento ondulatorio dei flussi è un segno che le crisi si possono limitare, se sono coordinate sul piano internazionale e se si elabora la complessità economica e sociale del problema: “Abbiamo di fronte esseri umani non interessati a prendere le nostre terre, ma alla ricerca di un futuro migliore. Ci si può intendere, basta che ci sia una politica con l’intento di farlo”.

Il quinquennio 1968-1973 si apre con un ciclo di mobilitazioni studentesche che, per la prima volta nella storia, assume una dimensione globale; una massa critica di giovani con aspirazioni e speranze molto maggiori di quelle dei genitori si scontra con una realtà che non corrisponde alle loro aspettative: società tradizionalista, strutture universitarie inadeguate, docenti distaccati e retrogradi. I loro sogni spesso si frantumano, ma nello stesso tempo si affermano due processi nuovi correlati: il potenziamento dei media, ancorché inegualmente distribuiti, tendenzialmente al servizio del potere e generatori di conformismo, ma dotati di dirompente potenzialità: “Ci furono foto pubblicate sui giornali che contribuirono a cambiare la storia”; la svolta sui diritti sociali e civili delle donne: sale percentualmente in modo significativo l’occupazione femminile, aumenta l’impiego in settori qualificati, crescono le iscrizioni all’Università. Negli anni Settanta, gli stessi movimenti rivendicano la parità ma chiedono il riconoscimento della differenza tra uomini e donne e la valorizzazione delle specificità. Si avvia così l’elaborazione del concetto di gender, una categoria interpretativa che supera il determinismo biologico di quella di sesso e privilegia gli aspetti sociali e culturali, storicamente variabili nello spazio e nel tempo.

Altri processi toccano il sistema politico democratico. Si afferma, in quegli anni, una forte proliferazione del numero degli Stati, ma si ridimensiona la loro sovranità a seguito dell’avvento di una governance sovranazionale. La speranza che il nuovo sistema riesca ad assicurare definitivamente una diffusione della democrazia, però, si rivela presto un’illusione: la democrazia appare un processo evolutivo, conflittuale e reversibile. Ne sono testimonianza i golpe in Uruguay e Cile, lo stato d’emergenza in India, la primavera di Praga, la rivoluzione dei garofani in Portogallo. Ma lo spirito dei tempi sembra decisamente a suo favore: molti regimi autoritari si rivelano incapaci di legittimarsi come modelli alternativi e migliori. Altrettanto lacerata è l’area mediorientale, dove, a seguito dello shock petrolifero del ’73 che rilancia il ruolo di alcuni Paesi esportatori di petrolio (in particolare l’Arabia Saudita), ha inizio un’era islamista. Nel difficile contesto della decolonizzazione, emergono gravi contraddizioni e si radica il fondamentalismo; l’11 settembre 2001 aprirà lo scenario a una serie di prolungati conflitti nel mondo musulmano, incapace di garantire benessere e libertà, che dimostrano quanto sia difficile la transizione di queste società alla democrazia.

Globalizzazione, disordine, democrazia: la dialettica fra i tre termini lancia numerosi spunti di riflessione e costituisce una buona base di partenza per comprendere il nostro tempo. Certo – scrivono Detti e Gozzini – la globalizzazione contemporanea non è molto diversa da quella di cento anni fa, quando movimenti umani, di merci e informazioni si spostavano in misure altrettanto consistenti. Allora la politica la fermò con i nazionalismi e due guerre mondiali, al prezzo di settanta milioni di morti. Per non ripercorrere quella strada c’è bisogno di una nuova politica che non ceda.

Enrica Dondero Acessar publicação original

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