Il divano di Istanbul – BARBERO (BC)

BARBERO, Alessandro. Il divano di Istanbul. Palermo: Sellerio, 2015. 207p. Resenha de: GUANCI, Vicenzo. Il Bollettino di Clio, n.10, p.110-112, gen., 2019.

L’impero ottomano, iniziato nei primi decenni del Trecento da ‛Othman, un capo tribù di una regione dell’Anatolia nord-occidentale, fu portato avanti dai suoi eredi e successori fino a raggiungere la massima espansione nel XV-XVI secolo, dopo la conquista di Costantinopoli, della Grecia, dei Balcani, dell’Ungheria, delle regioni mediorientali, della penisola arabica, della Persia. Fu fermato in Europa occidentale a Lepanto nel 1571, pur continuando a dominare nelle isole mediterranee e nella costa nordafricana. L’impero durò sei secoli. Finì di fatto nel 1918 con la sconfitta nella prima guerra mondiale, e fu sciolto nel 1923 da Kemāl Atatürk, che, nel corso della sua rivoluzione e rifondazione nazionale turca, depose l’ultimo imperatore, Maometto VI, e proclamò la Repubblica di Turchia, attualmente esistente.

Alessandro Barbero racconta in 207 pagine sei secoli di storia, una storia avvincente, che si legge come un romanzo.

Barbero mette a frutto le sue ricerche immergendole nel contesto delle sue immense conoscenze storiche, rappresentando con grandissima sapienza la civiltà ottomana, in uno con la religione musulmana e l’immagine del turco ancor oggi presente nella memoria collettiva italiana ed europea.

L’autore ci presenta l’architettura istituzionale dell’impero nelle prime pagine del libro. L’imperatore è il sultano. Il governo dell’impero si chiama divan, ed è presieduto dal gran visir e composto dai pascià.

“La tradizione dei nomadi delle steppe continua a vivere nell’impero ottomano anche attraverso i simboli del potere. Il principale simbolo del potere nella gerarchia ottomana è una coda di cavallo, come quella che i capitribù nomadi piantavano su un palo davanti alle loro tende per far riconoscere la loro autorità. Davanti al padiglione del sultano, quando è in marcia alla testa dell’esercito, si piantano sette pali con sette code di cavallo, e soltanto il sultano può averne così tante; il gran visir ha diritto a quattro code di cavallo, per marcare bene la differenza; gli altri pascià, membri del governo ma inferiori al gran visir, possono inalberare tre code.” (p. 16)

Come tutte le storie, specialmente quelle di grandi e longevi imperi, anche questa ha i suoi protagonisti. Sono grandi condottieri militari, conquistatori di terre e di popoli, ma anche grandi politici e governanti, come Solimano il Magnifico, che Barbero ci ricorda contemporaneo del Rinascimento italiano, della Riforma protestante e della Controriforma cattolica, di Michelangelo e di Lutero, di Machiavelli e Calvino.

Ecco una caratteristica fondante della scrittura di Barbero: il continuo richiamo alle conoscenze storiche che si presumono nel lettore acculturato dai manuali scolastici; ciò gli consente di situare nel tempo le narrazioni del suo libro cogliendone le contemporaneità. E non si sottrae al confronto, anzi. Sottolinea le differenze tra Roma e Bisanzio-Istanbul al tempo di Solimano.

“Siamo dunque in un’epoca in cui con il senno di poi, pensando alla conquista dell’America, pensando alla diffusione delle armi da fuoco, noi vediamo un’Europa già lanciata alla conquista del mondo, un Occidente straordinariamente vitale, pieno di energie; i contemporanei non ne erano così convinti, loro vedevano le lacerazioni spaventose, le atrocità delle guerre di religione, una cristianità spaccata tra cattolici e protestanti, e perciò orrori, sofferenze, guerre incessanti. E di fronte a questa Europa insanguinata, a questa Cristianità lacerata vedevano un impero ottomano governato da un nuovo Salomone, da un uomo che era al tempo stesso un grande legislatore e un grande guerriero.” (p. 61)

Barbero non si limita al confronto coevo; per farci meglio comprendere le specificità dell’impero ottomano nello svolgersi dei secoli, spesso ci ricorda che gli avvenimenti nel tempo modificano spazi, istituzioni, modi di vivere. Sono frequenti interruzioni della narrazione introdotte da “noi siamo abituati a pensare che…” e via con precisazioni e messe a punto.

Il divano di Istanbul ci consegna un affresco dell’impero e della civiltà ottomana che ci fa capire molto della Turchia e della civiltà islamica odierna, dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, l’importanza della conoscenza del passato per capire il presente. Gli storici bravi come Barbero ricostruiscono un pezzo di passato che ci fa comprendere il mondo in cui stiamo vivendo e lo raccontano a noi, uomini e donne europee del ventunesimo secolo in modo a noi comprensibile. È la semplicità che, come dice il poeta, è difficile a farsi.

Vicenzo Guanci

Acessar publicação original

[IF]

L’automobile, la nostalgia e l’infinito. Su Fernando Pessoa – TABUCCHI (A-EN)

TABUCCHI, Antonio. L’automobile, la nostalgia e l’infinito. Su Fernando Pessoa. Traduzione di BETTINI, Clelia; PARLATO,Valentina, Palermo: Editora da Sellerio, 2015. Resenha de GUERINI, Andrea. A poética pessoana segundo Antonio Tabucchi. Alea, Rio de Janeiro, v.20 n.3, sept./dec., 2018.

L’automobile, la nostalgia e l’infinito. Su Fernando Pessoa é um livro que agrupa quatro ensaios sobre o autor português, preparados por Antonio Tabucchi como aulas para serem ministradas em francês, na École des Hautes Études en Sciences Sociales de Paris, em 1994, acrescido de um Prólogo, e uma parte final intitulada “Pessoa e os seus heterônimos”, que é uma breve apresentação dos heterônimos para indicar ao leitor “quem é quem” no interior da poética do poeta português (TABUCCHI, 2015, p. 103).

Conforme descrito por Tabucchi, essas aulas foram preparadas levando em conta e privilegiando, de um lado, aspectos da poética de Fernando Pessoa e a sua adesão às vanguardas do início do século XX (futurismo, cubismo, simultaneísmo de Delaunay) e de outro, a relação com o “Tempo, la Nostalgia, la ‘riappropriazione’ del Passato attraverso la scrittura (Proust, Bergson)” (TABUCCHI, 2015, p. 10).

Vale lembrar que Fernando Pessoa foi o autor português com o qual Tabucchi estabeleceu uma relação “che va al di là della semplice fedeltà del lettore”, um tipo de “relação ativa”, que é “proprio dei traduttori e dei critici” (TABUCCHI, 2015, p. 9). Portanto, esse intenso e estreito vínculo se deu pelas traduções que Tabucchi realizou para o italiano, sozinho ou em parceria com Maria José de Lancastre, das obras de Pessoa e pelos diversos ensaios que escreveu ao longo da sua vida sobre a personalidade e a poética do autor português.

Logo, não causa estranheza que este livro resgate essas aulas em um único volume, conservando o tom oral (como desejado pelo próprio autor) e a leveza de enfoque sobre temas profundos e complexos da poética pessoana.

Na primeira aula-ensaio, “La nostalgia del possibile e la finzione della verità su Pessoa”, Tabucchi trata da universalidade de Pessoa, que segundo ele reside apenas “nei contenuti della sua opera, nell’insieme delle categorie che costellano i suoi testi […], ma anche nel modo scelto per trasmettere questo messaggio, nella forma in cui è organizzato: in ciò che lui stesso ha definito eteronimia” (TABUCCHI, 2015, p. 19). A partir disso, o autor italiano busca elementos para explicar o que viria a ser a heteronímia pessoana. Para tanto, vale-se de um “grande fantasma”, o “Outro”, responsável por alimentar as obsessões dos maiores escritores europeus (TABUCCHI, 2015, p. 19), mas também da própria voz de Fernando Pessoa, a partir de “confissões” que aparecem, por exemplo, na célebre carta de 13 de janeiro de 1935, em resposta à entrevista do crítico Adolfo Casais Monteiro, nos seus diários, ou ainda nos seus poemas, como o célebre “Autopsicografia”.

O “Outro”, ou os heterônimos, não são, como destaca Tabucchi, “semplice alter-ego; […] sono altri-da-sé, personalità indipendenti e autonome che vivono al di fuori del loro autore” (TABUCCHI, 2015, p. 25). E aqui reside a potência da invenção pessoana, pois como mostra Tabucchi, Pessoa cria personagens, mas não são personagens normais que devem viver uma história, mas personagens que devem fingir aquela história: “sono creature creatrici, sono poeti: sono creature di finzione che a loro volta generano la finzione della letteratura” (TABUCCHI, 2015, p. 29). Ainda nessa aula-ensaio, Tabucchi analisa a presença da saudade nos três maiores heterônimos, pois, conforme destaca o autor, “Se la nostalgia del presente è una caratteristica di tutti gli eteronimi, ognuno di loro vive, naturalmente, anche la sua nostalgia specifica e individuale” (TABUCCHI, 2015, p. 31).

Na segunda aula-ensaio, “Gli oggetti di Álvaro de Campos”, Tabucchi apresenta uma lista de objetos caros a Fernando Pessoa para colocar em discussão o metafísico Álvaro de Campos e a ‘fisicidade’ banal dos simples objetos. Inicia a discussão com o monóculo, termina com a cadeira, passando pelo automóvel, o cigarro, a pasta, a Enciclopédia Britânica, os mapas, o espelho e outros. Todos são elementos/símbolos que serviram para caracterizar e vestir os personagens da “commedia umana” criados pelo escritor português (TABUCCHI, 2015, p. 46). São objetos de natureza estética, revestidos de uma forte densidade semântica, pois altamente significativos no contexto da escrita de Pessoa.

No terceiro ensaio-aula, “L’Infinito disforico di Bernardo Soares”, Tabucchi aborda o semi-heterônimo de Fernando Pessoa, autor do Livro do desassossego. Tabucchi elucida o fato de Bernardo Soares se atormentar com coisas aparentemente ‘insignificantes’, mas que são profundas. Tabucchi lembra que, ao longo desse livro de Pessoa, Bernardo Soares se pergunta: “chi sono io?” Para responder a essa pergunta, Bernardo Soares escreve um diário e, como destaca Tabucchi, “Un diario è sempre uno specchio, e quindi ogni giorno Bernardo Soares si guarda nello specchio del suo diario” (TABUCCHI, 2015, p. 69), em grande parte escrito à noite, nascido sobretudo da insônia (TABUCCHI, 2015, p. 72) de seu autor, o que o leva à disforia, porque para Tabucchi o Livro do desassossego “racconta le sue (di Bernardo Soares) depressioni quotidiane e notturne” (TABUCCHI, 2015, p. 72). Nessa aula-ensaio, Tabucchi procura, sem ser exaustivo, explicar a razão de Fernando Pessoa ser um disfórico, e a palavra-chave para compreender esse estado de ânimo é saudade, que se associa ao desassossego (TABUCCHI, 2015, p. 75).

No quarto ensaio-aula, “Pessoa, i simbolisti e Leopardi”, Tabucchi confronta Pessoa com Leopardi, não apenas para “stabilire parallelismi […], ma soprattutto per investigare la natura del dialogo che un lettore onnivoro come Pessoa ha potuto intrattenere con Leopardi” (TABUCCHI, 2015, p. 78). Para falar dessa relação, Tabucchi percorre a fortuna crítica de Leopardi em Portugal entre os séculos XIX e XX, mas também na Espanha. Ele sugere que Fernando Pessoa chegou a Leopardi pelo viés negativo de Antero de Quental e António Feijó; pelo viés simbolista-decadente, cujos autores foram seduzidos pelo binômio leopardiano amor-morte; e também pelo viés trágico do escritor espanhol Miguel de Unamuno. Além disso, Tabucchi destaca que os três temas que mais interessaram Pessoa a propósito de Leopardi foram: “1) la riflessione sul mondo fisico, o il conflitto tra natura e ragione; 2) il senso dell’infinito; 3) il concetto di tedio” (TABUCCHI, 2015, p. 82). A partir dessa constatação, Tabucchi esmiúça alguns aspectos da obra de Pessoa que se ligam aos três elementos da poética leopardiana citados acima e que culminam no “Canto a Leopardi”, poesia que Fernando Pessoa parece ter escrito em “homenagem” a Leopardi, na qual, de acordo com Tabucchi, é possível extrair uma espécie de epistolografia virtual, que teria agradado muito a Borges, já que Pessoa, nesse poema, “si rivolge al suo corrispondente in maniera interrogativa […] come qualcuno che aspetta una risposta” (TABUCCHI, 2015, p. 100). E Borges poderia ter se encarregado, segundo Tabucchi, de dar as respostas que Pessoa esperava […] Borges e, quem sabe, algum outro escritor.

Ficaremos à espera dessa resposta, assim como o leitor de língua portuguesa ficará à espera de poder ler essas aulas-ensaios em tradução, já que Tabucchi, de maneira simples, mas ao mesmo tempo sofisticada, descreve aspectos da poética de Pessoa com cumplicidade e serenidade, características próprias de quem conseguiu manter uma “relação ativa” e profunda com um dos maiores escritores europeus do século XX.

Andrea Guerini – Doutora em Literatura pela Universidade Federal de Santa Catarina (UFSC) e Pós-doutora pela Università degli Studi di Padova (Itália) e Universidade de Coimbra (Portugal). Atualmente, é professora Titular do Departamento de Língua e Literatura Estrangeiras e da Pós-Graduação em Estudos da Tradução da Universidade Federal de Santa Catarina (UFSC) e editora-chefe das revistas Cadernos de TraduçãoAppunti Leopardiani e da ANPOLL. Atua na área de Letras, com ênfase nos Estudos da Tradução, Estudos Literários e Estudos Italianos. É bolsista de Produtividade em Pesquisa, do CNPq. E-mail: [email protected].

Acessar publicação original

[IF]