Comparing Transitions to Democracy. Law and Justice in South America and Europe | Cristiano Paixão e Massimo Mecarelli

Ce livre collectif, réunissant quatorze auteurs sous la direction de Cristiano Paixão et Massimo Meccarelli est une contribution innovante à l’étude des transitions démocratiques du XXe siècle en Amérique du Sud, en Espagne, au Portugal et en Italie étudiées sous l’angle de l’histoire du droit, plus particulièrement de l’histoire de la justice dans les périodes de sortie de la dictature et de la difficile reconnaissance des crimes commis avant le processus démocratique. En rappelant le combat récent des familles de victimes pour retrouver les corps de leurs parents disparus et le poster du président Bolsonaro (quand il était membre du Congrès) affirmant que « seuls les chiens recherchaient des os », ce livre montre, s’il en était besoin, combien est vive, chez tous ceux qui ont perdu un être cher dans les crimes des dictatures du XXe siècle, la mémoire de ces tragiques événements et la volonté de connaître la vérité, sinon de voir punis les responsables de ces atrocités. En donnant des évaluations précises du nombre des victimes, de celui (beaucoup plus faible) des actions intentées et de celles (encore moins nombreuses) ayant abouti à des condamnations, en décrivant les obstacles rencontrés par les victimes et leurs familles face aux lois d’amnistie et aux politiques fondées sur l’oubli, cet ouvrage est un salutaire rappel pour les lecteurs du monde entier sur la persistance des crimes contre l’humanité et sur leur poids dans la psychologie de millions de personnes à travers tous les continents.

Au-delà de l’émotion que peuvent ressentir les lecteurs, même ceux bien informés de ces questions dans leur pays, mais ayant eu rarement accès à une étude comparative de cette ampleur, ce livre est un très bel exemple d’histoire du droit à l’époque contemporaine, ou si l’on préfère de l’histoire du temps présent. Dans beaucoup de pays, la discipline de l’histoire du droit s’est d’abord développée pour étudier les traditions nationales, qu’elles remontent à l’Antiquité, au Moyen Âge ou aux Temps modernes. Il a fallu, au cours de ces dernières décennies, des engagements individuels et collectifs de quelques spécialistes de l’histoire du droit pour que l’étude du XIXe , puis du XXe siècle, devienne un objet de recherches et d’enseignements à part entière. Sur la période postérieure à la Seconde Guerre mondiale, il a été longtemps objecté que le recul manquait pour apprécier des événements dont les chercheurs avaient pu être des contemporains, du moins dans leur jeunesse. Depuis longtemps cette objection, qui par nature s’affaiblit d’année en année, a été réfutée par les historiens généralistes qui traitent de la seconde moitié du XXe siècle, qu’il s’agisse de l’établissement des régimes démocratiques en Europe après 1945, de la guerre froide, de la décolonisation ou de la fin de l’URSS. Il n’y a aucune raison pour qu’il en aille différemment pour l’histoire du droit : de la part d’auteurs qui sont pour la plupart séparés des événements analysés par l’espace d’une ou deux générations et qui s’efforcent à l’objectivité en travaillant sur les archives et les discours des acteurs de cette histoire contemporaine, l’on peut trouver la même « objectivité » que chez les historiens étudiant des périodes plus anciennes avec un vocabulaire et un regard qui eux sont nécessairement contemporains. De plus, le sujet traité dans ce livre concerne au plus haut point l’histoire du droit : il s’agit d’analyser le contenu et la portée de textes constitutionnels, de lois (particulièrement de lois d’amnistie), de jugements, de prises de position doctrinales qui constituent autant de pièces de dossiers pouvant être vérifiés ou discutés (« falsifiables » selon le vocabulaire de Popper). Leia Mais

Famiglia Novecento. Vita familiare, rivoluzione e dittature 1900-1950 – GINSBORG (BC)

GINSBORG, Paul. Famiglia Novecento. Vita familiare, rivoluzione e dittature 1900-1950. Torino: Einaudi, 2013. 678p. Resenha de: PERILLO, Ernesto. Il Bollettino di Clio, n.13, p.120-123, lug., 2020.

La famiglia esiste? La ricerca storica (e non solo) aiuta a dare una risposta: si incarica di dirci se la famiglia sia sempre esistita, come si sia formata, come si sia trasformata nel tempo e nelle diverse società.

Nei libri di storia generale, e non parlo solo dei manuali scolastici, la famiglia non c’è. Un po’ come, se è lecito il paragone, le donne e il genere (con cui peraltro la famiglia condivide ampi legami). Solo qualche rapida descrizio ne in alcuni momenti e periodi, senza che sia possibile per studentesse e studenti comprendere la dimensione storica della famiglia, le connessioni e le interdipend enze con i contesti sociali, economici, culturali, le trasformazioni nel tempo, le cesure essenziali, le lunghe durate di ruoli, relazioni, funzioni. La famiglia è un presupposto, si dà per scontata.

Ma nulla è più importante, lo sappiamo, che mettere in discussione i presupposti implic iti che reggono le nostre idee e i nostri pensieri. Le nostre visioni del mondo e della sua storia. Il libro di Paul Ginsborg aiuta a colmare questo vuoto.

Il progetto originario era quello di analizzare il tema della famiglia lungo tutto il Novecento, con uno spartiacque collocato dopo la fine del secondo conflitto mondia le, quando la sconfitta delle dittature e dei fascismi inaugurò anche per la famiglia una nuova epoca. La quantità di materia le accumulato e la ricchezza dei temi hanno orientato l’autore a prendere un’altra decisione: la pubblicazione di un volume relativo alla prima metà del secolo scorso. Un secondo libro avrebbe poi raccontato il seguito della storia fino agli ultimi anni del Novecento.

Un progetto ambizioso, dunque, importante e innovativo: tematizzare la famiglia non solo come oggetto dell’indagine storica ma come soggetto di questo racconto, scritto assumendo quel punto di vista.

La scelta nasce da lontano. Nel 1993, facendo un bilancio della storia della famiglia in età contemporanea (cfr. Famiglia, società civile e stato nella storia contemporanea: alcune considerazioni metodologiche, in “Meridiana”, 1997, n.17, pp. 179-208), Ginsborg denunciava già il sostanziale silenzio della storiografia sulla connessione tra famiglia e politica.

«C’è il rischio, dunque, che la storia della famiglia venga rinchiusa in un ghetto metodologico, in parte per sua stessa colpa, che rimanga uno «studio di area» invece di una parte essenziale di ogni ragionamento storiografico che tenti di legare le istituzio ni sociali, tra le quali la famiglia deve essere considerata la più importante, alle istituzio ni dello stato. La marginalizzazione della dimensione politica nella storia della famiglia comporta la marginalizzazione della famiglia dalla grande storia.» (p.180).

E nel suo libro L’Italia del tempo presente (Einaudi, 1998) il sottotitolo Famiglia, società civile, Stato evidenzia la volontà di assicurare alla famiglia un’attenzione specifica. In questo volume la connessione tra famiglia e storia politica è al centro, occupa tutta la scena.

La necessità è quella di non separare la storia della famiglia dalla storia politica, o la storia sociale da entrambe, ma di cercare come priorità metodologica la relazione tra di esse. E di raccontare, dunque, la storia del Novecento attraverso la lente della vita familiare per rileggere quel periodo.

Da qui, l’attenzione non solo alla politica per la famiglia (le diverse iniziative degli Stati in questo ambito), ma soprattutto alla politica della famiglia, tramite le molteplici e variegate interconnessioni tra individui, famiglia, società civile, Stato. Un rovesciamento di prospettiva che non solo mette in evidenza l’istituzio ne famiglia, ma modifica, arricchendolo, il significato di storia politica.

Il tempo, lo abbiamo detto, è quello della prima metà del Novecento. Sullo sfondo la grande guerra, le rivoluzioni, il primo dopoguerra e l’affermazione dei regimi dittatoriali. Anni di profonde trasformazio ni che l’autore attraversa esaminando in chiave comparativa la storia della famiglia in vari Stati-Nazione: la Russia, prima e dopo la rivoluzione sovietica; la Turchia, dall’Impe ro Ottomano alla Repubblica kemalista; l’Italia fascista; la Spagna prima e durante il regime franchista; la Germania, dalla Repubblica di Weimar al nazionalsocialismo; l’Unio ne sovietica staliniana. A ciascuno di questi stati è dedicato un capitolo (un centinaio di pagine circa) del libro.

Tre sono gli elementi metodologicame nte interessanti del volume di Ginsborg. Il primo è dato dalla pluralità dei temi messi in campo, delle angolature e delle tessere utilizzate per ricostruire il mosaico della famiglia: l’uso originale delle biografie di personaggi esemplari (Alexandra Kollontaj per la Russia rivoluzionaria, la scrittrice nazionalista Halide Edib per la Turchia del primo Novecento, Il futurista Filippo Marinetti per l’Italia fascista, la femminista Margarita Nelken per la Spagna e per la Germania Joseph Goebbels come modello archetipico della famiglia nazista); la ricostruzione della vita delle famiglie comuni, con particolare attenzione a quelle contadine e operaie; la focalizzazione sulle diseguaglianze di genere e le lotte delle femministe; il controllo spesso violento e repressivo della grandi dittature verso le famiglie e allo stesso tempo i sogni e le proposte rivoluzionarie e utopiche maturate in quegli anni; la legislazione e i codici che ne hanno definito ruoli, regole, diritti e doveri e le teorie politic he che ne hanno tentato letture e interpretazio ni complessive.

Con questa tavolozza l’autore disegna il suo racconto che procede ricostruendo ampi quadri descrittivi degli Stati esaminati, all’interno dei quali si possono cogliere la ricchezza e la complessità dell’universo familiare e il ruolo della famiglia come istituzione politica e civile, non riducibile alla sola dimensio ne privata.

La chiave comparativa è l’altra importante ossatura del libro: la prima metà del Novecento è un’epoca di grandi e radicali trasformazio ni che sconvolgono l’assetto geopolitico dell’Europa, le strutture economiche, le società e anche le mentalità collettive. Rivoluzioni e dittature sono messe a confronto con la vita familiare.

Si scoprono analogie: ad esempio il predominio della struttura patriarcale, tratto largamente dominante e trasversale ai differenti contesti; il sostegno, la difesa e la regolamentazione della famiglia riconosciuta dai diversi regimi assieme alla repressione di massa di determinate categorie di famiglie, su base etnica, razziale, nazionale, di classe, religiosa o politica, al là dei contenuti ideologici differenti che li caratterizzano; il ruolo della società civile che fu sostanzialmente soffocata dall’oppressione dei diversi regimi che eliminarono qualsiasi forma di pluralismo, dall’Impero ottomano, alla Russia rivoluzionaria, alla stessa esperienza degli anarchici spagnoli.

E anche significative differenze: per esempio comparando l’effettivo potere sulle famiglie è possibile allineare i diversi regimi lungo un continuum che va dal relativo lassismo di Mussolini in Italia al più alto controllo del nazisti che adottano una politica eugenetica contro i membri più deboli della loro stessa comunità nazionale. O relativamente ai rapporti di genere e al ripensamento stesso della vita familia re, particolarmente significativa è stata l’esperienza rivoluzionaria russa che si distingue per la lotta al patriarcato e i diversi tentativi di emancipazione femminile. Le proposte di Alexandra Kollontaj, unica donna a far parte del Consiglio dei commissari del popolo guidato da Lenin, di una grande società famiglia nella quale si superasse definitivamente il modello della famiglia, fallirono ma decisive e importanti furono le ricadute di quella riflessione sui codici di famiglia che ne derivarono così come fu essenziale l’aver affermato il ruolo centrale dei rapporti sessuali e sentimentali nella lotta per la liberazione.

Ma, mentre in Russia dopo la rivoluzione la famiglia borghese era da superare e abbattere, nella Turchia di Mustafa Kemal rappresentava una prospettiva rivoluzionaria: “applicare nel 1926 il Codice civile svizzero a una società prevalentemente rurale e musulmana fu un atto straordinario di rivoluzione dall’alto” (p. 614) Un ruolo particolare fu quello della Chiesa cattolica che di fronte alle dittature “non difese la vita familiare in sé, ma piuttosto la civiltà cattolica” (p.620). L’integralismo di Pio XI e Pio XII era più preoccupato di affermare il primato dell’ ecclesia che i valori del pluralismo, della libertà e della democrazia.

C’è inoltre un altro aspetto che qualifica questo libro di storia: i documenti iconogra fic i e la rappresentazione visuale della famiglia. Le complessive 135 illustrazioni ne sono parte integrante, fornendo ulteriori chiavi di lettura del tema assieme ai dipinti di alcuni grandi artisti della prima metà del Novecento – Archile Gorky, Pablo Picasso, Mario Sironi, Max Beckman, Kazimir Malevic e altri ancora – le cui opere sono presentate in 18 tavole fuori testo.

L’appendice statistica sugli aspetti demografici della storia della famiglia in chiave comparativa, curata dall’autore insieme a Giambattista Salinari, tematizza tre aspetti: la transizione demografica, le catastrofi demografiche e le politiche eugenetiche.

Nelle considerazioni finali, P. Ginsborg tirando le fila del suo lungo percorso di analisi mette in discussione la categoria di totalitarismo con cui tradizionalmente si legge la prima metà del secolo scorso: la storia delle famiglie mostra anche zone di antagonismo, certamente minoritarie e marginali, che però sono tracce di un ruolo che l’istituzio ne famiglia seppe agire pur di fronte a un potere dittatoriale e “totalitario”. Lo spazio privato della casa è stato anche il luogo di reti di solidarietà, di comportamenti e codici di opposizione e di resistenza. È la storia di Victor Klemperer, uno dei 198 ebrei rimasti a Dresda nel febbraio del 1945 (erano 1265 alla fine del 1941), il quale, grazie all’aiuto della moglie Eva Schlemmer, sopravvisse anche ai bombardamenti alleati della città: si strappa la stella gialla di David dal cappotto e con documenti falsi fugge verso la Baviera e la salvezza. O di Pepa López « madre cattolica e borghese che riuscì a salvare la sua famiglia dalle “orde rosse” a Malaga nel luglio 1936, travestendosi da venditrice di frutta e verdura (…)». (p. 612).

Non c’è solo una relazione diretta tra individui atomizzati e stato totalitario, in grado di controllare comportamenti, pensieri e azioni: se prendiamo in considerazione anche la famiglia e le storie delle famiglie il quadro si modifica e obbliga a valutazioni più articolate e complesse.

Il ruolo interpretato dalle famiglie nel nuovo contesto democratico che si affermerà dopo il 1945 sarà poi del tutto diverso. Ma questa, come si dice, è un’altra storia. Ancora da raccontare.

Ernesto Perillo Acessar publicação original

[IF]

Storia della famiglia in Europa – BARBAGLI; KERTZER (BC)

BARBAGLI, Marzio; KERTZER, David I. (a cura di). Storia della famiglia in Europa. Roma: Il Novecento; Bari: Laterza, 2005. Resenha de: RABUITI, Saura. Il Bollettino di Clio, n.13, p.127-130, lug., 2020.

Questo volume sul Novecento, è l’ultimo dei tre volumi della Storia della famiglia in Europa, la fortunata opera curata da Marzio Barbagli e David I. Kertzer. Nel 2002 e nel 2003 erano usciti i due precedenti volumi: Dal Cinquecento alla Rivoluzione francese e Il lungo Ottocento.

Ogni volume è aperto da una corposa introduzione dei curatori e raccoglie dieci saggi, articolati in quattro sezioni (economia e organizzazione della famiglia; lo Stato, la religione, il diritto e la famiglia; forze demografiche; relazioni familiari) che individuano gli ambiti considerati dalla ricerca, da quelli economici a quelli demografici, culturali, giuridici e sociali.

In questo terzo volume sul Novecento è particolarmente approfondita l’analisi delle politiche familiari, sia nei regimi dittatoria li (Le politiche sulla famiglia dei grandi dittatori di Paul Ginsborg e Famiglie socialiste? di Alain Blum) che democratici (Politiche sociali e famiglie di Chiara Saraceno) che in tempo di guerra (La famiglia in Europa e le due guerre mondiali di Jay Winter). Forte è anche l’attenzione al ruolo delle donne in rapporto all’economia, al lavoro, alle politic he governative e ai legami intergenerazio na li (Trasformazione economica, lavoro delle donne e vita familiare di Angélique Janssens; I legami di parentela nella famiglia europea di Martine Segalen).

Il volume si chiude fotografando il passaggio, soprattutto nell’ultima parte del secolo, dalla famiglia alle famiglie, alla varietà delle forme di famiglia (La famiglia contemporanea: riproduzione sociale e realizzazione dell’individuo di François de Singly e Vincenzo Cicchelli; Angéliq ue Janssens; I legami di parentela nella famiglia europea di Martine Segalen).

Nel suo complesso l’opera indaga le trasformazioni della famiglia nel lungo arco temporale di cinquecento anni e nel vasto spazio di tutta l’Europa, “intesa come continente di circa 10 milioni di chilometri quadrati, delimitato a ovest dall’oceano Atlantico, a est dalla dorsale degli Urali e dal fiume Ural, a nord dal mare Artico e a sud dal mare Mediterraneo, il mar Nero e il mar Caspio. Un continente che all’inizio del Cinquecento aveva circa 81 milioni di abitanti e oggi ne ha 730 milioni” (p. V) L’intento dichiarato dai curatori non è solo quello di esaminare in una prospettiva comparata “i modi in cui le famiglie si formano, si trasformano, si dividono, la frequenza dei matrimoni e l’età a cui li si celebra, le regole di residenza dopo le nozze, le relazioni fra mariti e mogli, genitori e figli, la fecondità, la frequenza delle separazioni legali e dei divorzi.” È anche quello di cercare i nessi tra i cambiamenti nella sfera domestica e le trasformazioni economiche, sociali, politiche e soprattutto di arrivare a individuare “se, e in che misura, le società europee siano diventate più simili o più dissimili riguardo alle caratteristiche della vita domestica” (pp. V-VI) nell’arco dei cinque secoli considerati.

A questo interrogativo i curatori offrono una risposta conclusiva nelle quaranta pagine dell’Introduzione ai saggi che compongono questo terzo volume, là dove individ uano processi di convergenza e di divergenza fra le società europee. A conclusione del percorso di ricerca e in estrema sintesi, Barbagli e Kertzer ritengono infatti di poter affermare che “nei primi tre secoli [considerati] siano prevalse le tendenze alla divergenza” (p. 32), ovvero che siano cresciute, alla fine del Settecento, le differenze tra i vari paesi e regioni d’Europa (volume 1); che nell’Ottocento invece si siano registrate tendenze sia divergenti che convergenti e che siano continuate ad esistere, fra le diverse aree, differenze enormi (volume 2); che Il Novecento sia da considerarsi infine “il secolo della convergenza”, un secolo che ha visto “il mondo domestico dei vari paesi europei sempre più simile” (p. 38) Forti convergenze fra i paesi europei si sono avute per tutto il Novecento per quel che riguarda le strutture degli aggregati familiari.

Da questo punto di vista infatti nel corso del secolo si è affermata la famiglia nucleare e coniugale: è diminuito ovunque e continuativamente il numero medio di persone per famiglia e il numero di persone che dopo le nozze andava ad abitare con i genitori del marito o con parenti ed è cresciuto ovunque, soprattutto nella seconda metà del secolo, il numero di quelle che vivono sole, in conseguenza del più alto livello sia del reddito che della speranza di vita.

Ancora più forte, seppur assai discontinua, è stata poi la convergenza sul declino della fecondità, un processo che ha investito, con forti oscillazioni nei periodi bellici e postbellici, la popolazione europea di tutti gli strati sociali e fedi religiose, sia delle città che delle campagne. Altrettanto forte e discontinua è stata la tendenza all’aumento delle separazioni legali e dei divorzi, che nel corso del Novecento sono diventati un fenomeno di massa, mentre nei secoli precedenti avevano riguardato un numero molto limitato di coppie.

Meno netta e ancor meno lineare è stata la convergenza su altri aspetti quali ad esempio la nuzialità (rispetto alla quale l’Europa occidentale si differenzia ancora da quella orientale) o il divorzio o la convivenza more uxorio. In questo caso è l’Europa nord occidentale che si differenzia da quella mediterranea (vedi il saggio Una transizione prolungata: aspetti demografici della famiglia europea di Theo Engelen).

Nel corso del secolo, le somiglianze sono cresciute anche per quel che riguarda la divisione del lavoro e la distribuzione del potere all’interno delle famiglie (fra mariti e mogli, genitori e figli), il diritto di famiglia, le norme sul matrimonio, i rapporti patrimonia li fra i coniugi, le successioni, il divorzio, lo stato dei figli un tempo “illegittimi”.

La riduzione (e non certo l’azzeramento ) delle differenze tra aree geografiche e sociali dell’Europa non è il risultato di un processo lineare. Solo alcune delle trasformazioni che sottendono le convergenze sono state continue e lineari (ad esempio la semplificazione delle strutture familiari). Altre invece (come ad esempio il declino della fecondità) hanno oscillato fra accelerazioni, rallentamenti e anche inversioni di tendenza.

Le profonde trasformazioni della vita familiare che il Novecento ha conosciuto sono state a volte precedute mentre altre volte hanno fatto seguito a cambiamenti del diritto che (vedi Il diritto di famiglia in Europa di Paola Ronfani), all’inizio del secolo, in tutti i paesi, attribuiva in ambito domestico particolari poteri al marito (capofamiglia, con potestà maritale e patria potestà, col diritto di controllare e gestire il patrimonio familia re …). Queste trasformazioni hanno intaccato ma non eliminato diseguaglianze di genere e si sono accompagnate e intrecciate con due tendenze di convergenza generalizzabili in tutta Europa: l’aumento delle donne occupate in attività extradomestica retribuita e l’invecchiamento della popolazione.

Infine va ricordato che la riduzione delle differenze fra aree geografiche e sociali non ha riguardato tutti i molteplici aspetti del mondo familiare, neppure tutti quelli indagati nei saggi che compongono il terzo volume. La fine del secolo registra insomma ancora importanti differenze nella vita familiare dei vari paesi, alcune di antichissima origine altre più recenti.

Per quel che riguarda le prime, basti ricordare ad esempio che risalgono alla seconda metà del Cinquecento i diversi atteggiamenti, basati sul credo religioso, rispetto al divorzio, ancora meno frequente nei paesi mediterranei. (Alla fine del ‘900, il numero dei divorzi/separazio ni legali andava da 10 a 20 su ogni 100 matrimo ni in Italia, Spagna, Grecia, Portogallo mentre era superiore a 40 in molti paesi dell’Europa settentrionale e orientale).

Fra le differenze di origine più recente, basti ricordare ad esempio quelle riconducibili alle nettamente diverse politiche sociali e familiari perseguite dai paesi nord occidentali e da quelli del Mediterraneo. Italia, Spagna, Grecia, Portogallo poco sostengono il costo dei figli o la cura degli anziani e poco aiutano a concilia re lavoro e famiglia, scaricando i compiti di cura e di riproduzione sociale quasi esclusivamente sulla famiglia o per essere più precisi sul lavoro domestico non pagato delle donne. Non a caso, alla fine del secolo, la quota di donne con un lavoro retribuito era nei paesi mediterranei assai più bassa che nei paesi nord occidentali.

Dalla pubblicazione del volume sul Novecento sono trascorsi quindici anni, durante i quali la ricerca sulla famiglia ha continuato a rinnovarsi. I meriti dell’inte ra opera comunque rimangono tutti e stanno innanzitutto nella ricca e chiara sintesi che offre sul tema, in una prospettiva comparata, su un lungo arco temporale e un vasto spazio territoriale. Stanno anche nell’ approccio multidisciplinare che ha visto all’opera studiosi di storia, sociologia, antropologia, demografia, economia, diritto, ambiti tutti necessari per delineare il complesso e variegato quadro delle famiglie, oggi come ieri. Stanno infine – e penso ovviamente ad un suo possibile utilizzo a scuola- nel mostrare il ‘900 non solo come il secolo delle guerre mondiali, delle crisi economiche, delle dittature, dei totalitarismi, dei genocidi, ma anche come il secolo dei diritti civili e sociali, dell’avvento dello Stato di welfare, delle profonde trasformazioni della vita familia re che hanno modificato in particolare la condizione delle donne, i loro diritti e quelli del lavoro.

Saura Rabuiti

Acessar publicação original

[IF]

The medieval invention of travel – LEGASSIE (Ge)

LEGASSIE Shayne Aaron timetoeatthedogs1 Travel

Shayne Aaron Legassie. https://timetoeatthedogs.com/

LEGASSIE S A The medieval invention of travel TravelLEGASSIE Shayne Aaron (Aut), The medieval invention of travel (T), University of Chigago Press (E), SANTOS Guilherme Maximiano Ferreira (Res), PEREIRA Luiza Souza (Res), SILVA Tainara do Carmo Lopes da (Res), Geografias (Ge), Literatura medieval, Europa (L), Século 13 (P), Século 14 (P), Século 15 (P), Viagens, Comparação

LEGASSIE, Shayne Aaron. The medieval invention of travel. [Chicago]: University of Chigago Press, 2017. Resenha de: SANTOS, Guilherme Maximiano Ferreira; PEREIRA, Luiza Souza; SILVA, Tainara do Carmo Lopes da. Revista Geografias, v.28, n.1, 2020.

The Medieval Invention of Travel é o primeiro livro publicado por Shayne Aaron Legassie que não seja em parceria com outro autor e foi lançado em 2017 pela University of Chicago Press. Legassie é professor associado ao Department of English and Comparative Literature na Universidade da Carolina do Norte (UNC). Seus interesses de pesquisa incidem, predominantemente, sobre literatura medieval, a história da Europa na Idade Média, os estudos mediterrâneos e os escritos de viagem. Tal trajetória lhe garante um forte poder comparativo dos diferentes textos literários escritos sobre viagens durante o período entre 1200 e 1500.

O livro se desenrola nesses três séculos de intensa mobilidade humana, cujos deslocamentos cosmopolitas medievais, entre a Europa, a Ásia e a África, cruzam os espaços dessa economia-mundo nascente (BRAUDEL, 1987). A partir do período selecionado, poder-se falar de uma “invenção” (p.8-9) medieval da viagem como etapa provedora de uma literatura idealizadora da subjetividade do viajante a partir do penoso trabalho físico que ele empreende nessas peregrinações.

As viagens medievais desempenharam um papel fundamental nas práticas letradas europeias e na compreensão dessas como elevadoras de status social, pelo trabalho (travail) – viagem (travel). 1 Além disso, originou novos métodos de escrita de romances baseados na investigação geo-etnográfica. É por esses motivos que o título escolhido para o livro busca atribuir um novo sentido ao significado de viagem, com a escolha da palavra “invenção” e mostrando o papel da literatura na formação e racionalização dos novos modos de viagens e subjetividades emergentes.

No decorrer da escrita, o autor aborda as diferentes intenções das viagens medievais, que se caracterizam por motivos religiosos, por razões de relações comerciais e por encontros diplomáticos. Ele também apresenta os escritores de viagens do período, que moldaram os aspectos e os valores inseridos nos relatos das viagens europeias. Por fim, discute as diferentes formas de escrita da viagem utilizadas no gênero de literatura de viagens.

Em sua metodologia, o autor se apoia na literatura comparada, tratando de realizar um esforço de estilo ensaístico a respeito das diferentes obras dos viajantes. No recorte de tempo determinado por Legassie, ocorreram inúmeros processos históricos que dão contornos ao contexto: as cruzadas na Idade Média, as tentativas de expansão dos impérios medievais dominantes, os conflitos religiosos, as peregrinações e o próprio surgimento do capitalismo. Estes processos contribuíram para uma divisão do espaço e do tempo que permite construir uma evolução e diversos estágios da viagem sem que se possa dizer que um estilo supere o outro. No primeiro período da era medieval, há uma primeira aproximação do significado de viagem como sinônimo de dor e sofrimento; no segundo momento, há a construção de um olhar sobre a viagem que a enxerga como oportunidade de ser relatada e vista, como algo a ser enaltecido; por fim, em um terceiro momento, vê-se a possibilidade de transmitir informações entre o lugar de origem do viajante e o resto do mundo.

A partir desse contexto geral, Legassie vai se aprofundar nas relações específicas que estão presentes no decorrer do livro por meio dos diferentes lugares visitados. Ele organiza a estrutura do livro em três partes: viagens ao leste da Ásia (parte I – “Subjectivity, Authority, and the Exotic”), viagens à Terra Santa (parte II – “Pilgrimage as literate work”) e àquelas que estão no caminho entre Europa e Mediterrâneo (parte III – “Discovering the proximate”). Em sua narrativa, ele traz relatos de peregrinos e viajantes diplomáticos da Idade Média, sendo alguns deles Marco Polo, Felix Fabri e Francisco Petrarca2.

A primeira parte, denominada de “Subjectivity, Authority, and the Exotic”, aborda as viagens que partem da Europa ao Leste da Ásia. Legassie debate questões geoetnográficas nas experiências dos viajantes, bem como a forma que essas experiências influenciaram na produção de escritos sobre viagens, como as descrições de Marco Polo sobre Ásia e o Império Mongol. Além disso, fala sobre o papel adquirido pela autoridade clerical e pelos escritores dessas viagens como sumos sacerdotes, que, em alguns casos, após realizarem suas viagens, voltavam como “especialistas de longa distância” (p.22) devido ao conhecimento adquirido nos destinos. Grande parte das viagens na Idade Média eram motivadas por necessidades que se relacionavam às intenções religiosas pela libertação dos pecados ou, como é reconhecido na contemporaneidade, por turismo religioso.

Diferentemente da atualidade, porém, a viagem na era medieval era árdua e penosa, com extenso caminho a percorrer e que colocava em risco a própria vida do viajante. Por isso, não era vista como um momento de lazer. Eram viagens tratadas como um trabalho, ou seja, uma negação ao ócio.

No capítulo 1, intitulado “Exoticism as the appropriation of travail”, o autor aborda os relatos de William of Rubruck (1215 – 1295) e Marco Polo (1254 – 1324). O primeiro era um monge franciscano, missionário e responsável por escritos de viagens à Ásia. O segundo era um mercador e viajante italiano que deixou registros sobre sua viagem à China e às outras regiões da Ásia. Legassie demonstra que as experiências contidas nessas obras reforçam uma posição ideológica em relação ao exotismo, que ele define como “um modo de esteticismo politicamente orientado, que na Idade Média foi fundado na apropriação simbólica do trabalho do viajante.”3 (p.13). Além disso, seus estilos revelam uma “economia de prestígio do conhecimento da longa distância” (p.22) pois é relativa ao conhecimento dos lugares distantes como expressão de um maior status ao viajante. Com efeito, essa forma de economia refere-se a um conjunto de práticas materiais e experiências subjetivas que permitiram às pessoas obter vantagens sociais, políticas e econômicas através da sua relação com o estrangeiro. Mesmo que outras abordagens compreendam que esta emergente economia de prestígio esteja posta como uma repetição excessiva (KYNAN-WILSON, 2019), se o autor o faz, é para situar ou qualificar a economia de bens simbólicos do período abordado.

No capítulo 2, nomeado por “Travail and authority in the forgotten age of discovery”, são analisados os escritos de John of Plano Carpini (1180 – 1252), um franciscano e explorador italiano; Odoric of Pordenone (1286 – 1331), um frade franciscano e missionário italiano; e John Mandeville (século XIV), suposto4 autor de uma coleção de histórias de viajantes. Esses escritos recorrem às dificuldades da viagem para reforçar a credibilidade autoral sobre os textos, ou seja, o peso probatório da verdade de seus escritos e de testemunho oficial da Igreja. A leitura desses escritos por outras pessoas está sujeita ao poder persuasivo da veracidade dos relatos através da personalidade impregnada e transmitida pelo autor através do texto. Paralelamente, o autor faz uma refutação da ideia de que o período medieval tem seus contornos fixos e ditados somente por autores da antiguidade, como Aristóteles, Cícero e Agostinho. Ao contrário, o autor aponta as contribuições da Idade Média aos avanços do conhecimento territorial, sendo esse um aspecto importante que deve ser ressaltado pela historiografia e que pode retirar o período do esquecimento.

De modo geral, a segunda parte do livro de Legassie intitulada “Pilgrimage as literate work” aborda o caminho percorrido pelo teólogo e padre Felix Fabri5 (1441 – 1502), que entende a peregrinação como um exercício de memória. Esse trabalho tratou-se de um exercício da memória pois, no ato do deslocamento da viagem, os viajantes que seguiram o modelo de Fabri utilizavam-se de ferramentas6 para fins de registros, que permitiam aos demais peregrinos lembrar posteriormente de suas viagens, tendo em vista que alguns viajantes que não exercitavam isso estavam sujeitos a desaprender o que a viagem os ensinou.

A peregrinação a Jerusalém era uma forma dos devotos provarem sua fé através do deslocamento. Entretanto, não bastava exercer o ato de deslocar-se para a Terra Santa, era preciso aguçar a mente com exercícios de memória e a utilização de técnicas para o registro do que os viajantes viram e sentiram. Com isso, no capítulo 3, “Memory of work and the labor of writing”, e no capitulo 4, “The Pilgrim as a investigator”, encontramos os relatos desses processos ocorridos na peregrinação. O terceiro capítulo abrange uma discussão sobre a tradição sintética, que se baseava, na época, em produzir um escrito sintético sobre as viagens realizadas, havendo a possibilidade de não deslocar-se para vivenciar a viagem, tratando-se de uma espécie de viagem em imaginação (alguns indivíduos tinham repulsa por vivenciar todos os males do deslocamento). Os escritores da tradição sintética foram responsáveis pela produção e pela formação pictórica dos locais por onde passavam os viajantes em campo. Dessa forma, seus escritos eram admirados na terra natal.

Com isso, os peregrinos, a partir da virada do século XIII, iniciam uma escrita descritiva das memórias para fins de leitura meditativa. Já no capítulo seguinte, o autor mostra como essas produções tornavam-se escritas reformuladas, uma visão crítica e um instrumento de investigação.

A terceira parte, intitulada “Discovering the proximate”, reúne os autores encarregados em viagens pela Europa e pelo Mediterrâneo, destacando-se o poeta italiano Francisco Petrarca (1304-1374) e o cavaleiro de Castela Pero Tafur (ca. 1410-ca. 1487).

Nessa sequência, ganham forma mais contundente os argumentos apresentados no prefácio do livro nos capítulos 5 e 6, questionando a posição de Joan-Pau Rubiés que sustentou a hipótese, em obra anterior7, quanto à uma relativa estagnação dos escritos de viagem no período contido entre 1350 e 1492. Ao contrário, Legassie assegura que, após 1350, surgem muitos novos relatos que são frutos de viagens de curta distância. Assim, antecedem as posteriores conquistas do “Novo Mundo” (p.167), e, ao contrário de serem desprovidas de importância, exerceram grande influência na vida intelectual e cultural para a emergência do mundo moderno europeu em formação.

Ainda nessa parte do livro, Legassie pontua as precisas descrições de Petrarca e Tafur em que eles elevam ao público europeu a condição de seus países de origem. Os largos projetos autobibliográficos e protonacionalistas dos viajantes estreitam a aproximação de territórios europeus a partir das missões políticas empreendidas por eles. Para o autor, os questionamentos levantados por Petrarca acerca dos benefícios e das dificuldades da viagem assemelhavam-se à tradição sintética. A viagem, no caso do poeta italiano, correspondia a um trabalho de construção pessoal identitária e ética8 e a um comprometimento com a descoberta geo-etnográfica. Igualmente, o sentido da viagem para Tafur era visto como uma vantagem política que ele possuía por conhecer os costumes de reinos distantes. Para Legassie, a postura desses autores foi compreensivelmente comparada aos valores inerentes ao Grand Tour9.

Os relatos recolhidos pelo autor, permitem demonstrar a visão europeia de mundo e os mecanismos pelos quais a Europa começa a compor e apropriar-se intelectualmente de um novo mundo que nascia das entranhas do feudalismo e da Idade Média através das viagens, com a ascensão de uma nova ordem econômica – o capitalismo.

Vale lembrar que Fernand Braudel e Immanuel Wallerstein juntos situam o nascimento do capitalismo no século XIV (BRAUDEL, 1987; WALLERSTEIN, 1979).

Ainda que este seja um processo que se desenrola em seus primórdios, é também por meio da escrita que começa a se estabelecer uma relação de mercado entre as nações e entre os diversos impérios dominantes, revelando o que possivelmente seriam os bastidores dos longos deslocamentos feitos em períodos posteriores e que passaram a incluir o Atlântico (BRAUDEL, 1987). O autor é consistente em afirmar, a partir dos relatos dos viajantes, que a dor e o trabalho árduo dessas práticas estavam relacionados a processos mais amplos e, além disso, elucida as diversas outras significações que essas viagens encarnavam, como heroísmo, superação do trabalho físico ou autodisciplina intelectual.

Ainda assim, apesar de reforçar que esse período contribuiu para formação da identidade do período pós-medieval, não nos revela com clareza os pontos impactados na posterioridade. Em algumas passagens, o autor deixa a desejar no que toca à alusão a alguns acontecimentos históricos que seriam fundamentais para melhor compreensão do leitor.

Porém, pelos seus amplos benefícios percebidos em sua abordagem, a leitura da obra do estadunidense não deve restringir-se aos especialistas da literatura e da história medieval, mas também é interessante para as áreas da Geografia e, sobretudo, para o Turismo, possibilitando o estudo da evolução e das práticas denominadas de viagem.

Agradecimentos À Pró-reitoria de Pesquisa da Universidade Federal de Minas Gerais pela oportunidade de realizar este trabalho através do Programa de Iniciação Científica Voluntária.

Referências BRAUDEL, Fernand. A dinâmica do capitalismo. Rio de Janeiro: Rocco, 1987. 94 p.

TOWNER, John. The Grand Tour: a key phase in the history of tourism. Annals Of Tourism Research, London, v. 12, n. 3, p.297-333, abr. 1985.

WALLERSTEIN, Immanuel. El Moderno Sistema Mundial I: la agricultura capitalista y los orígenes de la economía-mundo europea en el siglo XVI. Siglo Veintiuno Editores, México, 1979.

KYAN-WILSON, William. Book Review: The Medieval Invention of Travel. TRAFO Blog for Transregional Research, 14 fev. 2019. Disponível em: <https://trafo.hypotheses.org/17922>. Acesso em: 16 jul. 2020.

Notas 1 Legassie aponta que a viagem era vista como um trabalho árduo “travail” (p. 2). A palavra similar em latim é expressada como uma conotação relativa ao trabalho. O autor faz um trocadilho com a palavra “travail” e “travel” (p.2) devido às suas semelhanças ortográficas.

2 Em geral, as partes possuem proximidade em suas grandezas; a parte I contém 76 páginas, a parte II contém 70 páginas e a parte III contém 62 páginas.

3 Tradução dos autores. Original: “a politically oriented mode of aestheticism that in the Middle Ages was founded on the symbolic appropriation of the traveler’s travail.” (p. 13).

4 No prefácio de seu escrito As Viagens de Sir John Mandeville se intitulou cavaleiro e assumiu este nome, mas há uma incerteza sobre a sua verdadeira identidade devido à falta de registros comprobatórios.

5 Após umas das suas duas viagens sobre as regiões da Europa, Fabri ficou particularmente preocupado com “sua incapacidade de responder perguntas básicas sobre a disposição e as orientações relativas dos lugares que ele havia visitado” (p. 167, tradução nossa).

6 Legassie afirma que era utilizada Tábuas de Cera para o registro. As folhas de pergaminho chegam posteriormente com o intenso comércio desse produto na Itália.

7 RUBIÉS, Joan-Pau. Travel and ethnology in the Renaissance: South India through European eyes, 1250- 1625. Cambridge University Press, 2002.

8 “Petrarca coloca em primeiro plano a questão ética do tempo e do trabalho envolvidos na descoberta geográfica.” (p.178, tradução nossa). Para Petrarca e Tafur, as viagens perigosas e de longa distância devem ser deixadas para os que não as fazem por valores morais, como por exemplo, os comerciantes e armadores que as empreendem em busca duvidosa de novidade e lucro.

9 Jornada empreendida no século XVIII, “(…) that circuit of western Europe undertaken by a wealthy social elite for culture, education, and pleasure” (TOWNER, 1985, p.289).

Guilherme Maximiano Ferreira Santos – Universidade Federal de Minas Gerais – UFMG. E-mail: [email protected].

Luiza Souza Pereira – Universidade Federal de Minas Gerais – UFMG. E-mail: [email protected].

Tainara do Carmo Lopes da Silva – Universidade Federal de Minas Gerais – UFMG. E-mail: [email protected].

Acessar publicação original

[IF]