Performance docente na (co)autoria de Recursos Educacionais Abertos (REA) no ensino superior: atos éticos e estéticos | Juliana Sales Jacques

Os Recursos Educacionais Abertos (REA) são composições éticas e estéticas que alicerçam a educação aberta ao democratizarem o acesso ao conhecimento e considerarem a pluralidade de ideias e contextos educacionais por meio da (co)autoria e do compartilhamento aberto em rede. Partindo dessa concepção, o foco da tese de doutorado “Performance docente na (co)autoria de Recursos Educacionais Abertos (REA) no ensino superior: atos éticos e estéticos”, de autoria de Juliana Sales Jacques, vinculada ao Programa de Pós-Graduação em Educação da Universidade Federal de Santa Maria, é o movimento de abertura através da realização de REA, visando à superação da consciência ingênua e à formação da consciência crítica dos sujeitos ao por em pauta as distorções da cultura copyright nos contextos educacionais.

Nesse sentido, em movimento cíclico espiralado de pesquisa-ação, a autora dialoga sobre em que medida a performance docente, na (co)autoria de REA no ensino Superior, potencializa atos éticos e estéticos. Para tanto, sustentada na dialética teórica e prática potencializada pela pesquisa-ação, a produção tem, no dialogismo bakhtiniano e na educação libertadora freireana, as bases teórico-metodológicas. Leia Mais

In territorio nemico – Romanzo –

SANTONI, Vanni; MAGINI, Santoni. In territorio nemico – Romanzo. Minimum fax, 2013. Resenha de: MENCARELLI, Paolo. Novecento.org – Didattica dela storia in rete, n.2, giugno, 2014.

Introduzione

Nel risvolto di copertina di In territorio nemico, edito dalla vivace Minimum fax, il romanzo collettivo viene presentato nientemeno che come “una nuova epica della Resistenza. Un’epopea corale resa possibile dal lavoro di oltre cento scrittori e ispirata alle testimonianze di chi la guerra l’ha vissuta e non ha cessato di raccontarla”. In effetti le 308 pagine compresi i “titoli di coda” con gli elenchi nominativi degli scrittori, dei revisori, di coloro che si sono prestati per la consulenza storica, per quella dei dialetti e di chi ha collaborato alla composizione del soggetto attraverso testimonianze personali ecc., non deludono le alte e impegnative promesse del paratesto arricchito anche da un’originale copertina. Frutto al momento più riuscito e impegnativo di un metodo di scrittura, quello appunto denominato Scrittura Industriale Collettiva (SIC) ideato da due giovani scrittori fiorentini, Vanni Santoni e Gregorio Magini e su cui varrà la pena soffermarsi per i possibili usi didattici, il libro ha raggiunto rapidamente le tre edizioni in pochi mesi e si è imposto all’attenzione della critica con recensioni nei principali quotidiani, partecipate trasmissioni radiofoniche, interviste e ovviamente un ampio risalto sul web.

Trama

Se il metodo di scrittura è sicuramente innovativo, pur riprendendo un’idea non nuova quella della “scrittura collettiva” che ha attraversato con le più varie declinazioni la storia delle avanguardie artistico-letterarie novecentesche a partire dal Futurismo, tradizionale appare subito la forma della narrazione con il classico narratore esterno e uno stile di scrittura semplice e piano di larga fruibilità, pensato per un pubblico popolare. L’arco temporale in cui si sviluppa la storia è quello canonico strettamente resistenziale, tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 e le citazioni indirette dai classici resistenziali sono numerose. Le tormentate vicende di Matteo, della sorella Adele e di suo marito Aldo si svolgono parallelamente senza incontrarsi mai fino ai giorni della Liberazione quando si riuniscono, anche se per poco, i diversi percorsi personali dei tre giovani. Matteo ufficiale di marina che diserta dopo l’8 settembre 1943 e che da Napoli risale la penisola intraprendendo un picaresco viaggio verso nord in cerca della sorella vivrà anche un personale viaggio di formazione destinato a cambiarlo profondamente. Come del resto, pur nella diversità delle vicende, la sorella Adele a Milano è costretta a cambiare radicalmente abitudini di vita, lei di buona famiglia borghese dovrà infatti per fame cercare lavoro in fabbrica e affrontare le popolane nelle file per il pane mentre suo marito Aldo, ingegnere sceglierà di nascondersi in campagna presso l’anziana madre, all’insaputa della stessa giovane moglie, finendo per rincorrere ossessivamente un progetto di un fantomatico aereo da combattimento destinato nella sua fantasia a cambiare le sorti del conflitto. Per Matteo e Adele l’incontro con la Resistenza, casuale e nato dalle vicende stesse più che da una decisione subito consapevole o immediatamente politica, significherà un allargamento della propria umanità, una partecipazione intensa agli eventi collettivi, attraverso una scelta etica e politica gradualmente sempre più chiara e intransigente mentre l’isolamento di Aldo, nascosto nella casa di campagna della madre, animato dall’ossessione per la progettazione di un invincibile prototipo di aereo da combattimento non sarà altro che l’entrata in un cono d’ombra di angoscia e paura. Matteo diventerà “Destro” in un percorso di iniziazione alla resistenza che lo vedrà lettore attento di “Italia libera” e di Socialismo liberale di Carlo Rosselli fino a definirsi timidamente “azionista a vocazione libertaria” e i partigiani avranno per lui i volti segnati dalla fatica delle formazioni dei cavatori anarchici, con il loro millenarismo o la tranquilla determinazione di Gregorio Testa che in una palestra di box della periferia romana lo introdurrà al gruppo azionista, ma saranno altrettanto importanti personaggi che sembrano prodotti essi stessi dal disfacimento del paese eppure così attaccati alla vita da trasmettergli nuova forza di fronte agli ostacoli: dal contrabbandiere Zumpata alla giovanissima contadina Luisa a Jolanda che lo accoglie e lo cura. La giovane borghese Adele dal sogno di una vita agiata da “moglie dell’ingegnere” si trasformerà nell’ “Attrice”, da staffetta arriverà presto a misurarsi con le più audaci imprese gappiste, dopo aver sperimentato prima l’istintiva diffidenza poi la solidarietà personale e di classe delle proletarie del Comitato di agitazione della OLAP di Milano. Contrabbandieri, gappisti, massoni, anarchici, fascisti, operaie, preti si alterneranno nelle vicende narrate dando sempre un quadro mosso e avventuroso, pur nel contesto drammatico della guerra. I riferimenti storici e testimoniali sono stati ampiamente vagliati e utilizzati con un criterio di verosomiglianza rigoroso, con una resa realistica mai pedante. Forse solo la partecipazione diretta di Adele alle azioni armate dei gap milanesi pare una concessione anacronistica al ruolo delle donne nelle formazioni armate degli anni settanta. L’uso abbondante del dialetto, validato da un gruppo di esperti che ricostruito filologicamente la dizione delle varianti locali (es. il “monferrino” pressoché scomparso), è un ulteriore elemento di originalità del libro. La lunga gestazione del romanzo, nato dopo almeno tre anni di sperimentazione del metodo di scrittura collettiva, si inserisce in una ripresa dei temi resistenziali sviluppati in forma narrativa o comunque scelti come sfondo storico che ha recentemente visto la comparsa di titoli significativi per l’attenzione che hanno saputo sollevare nel pubblico e nella critica. Riformulando topoi resistenziali classici, luoghi, personaggi, situazioni e facendoli interagire alla luce della sensibilità attuale per i temi della complessità, della scelta, della risposta personale o collettiva di fronte a traumi materiali e psicologici come quelli legati alle guerre, soprattutto alcuni titoli e autori recenti sembrano aver rinverdito un genere troppo spesso dato per esaurito. Mi riferisco in particolare a Paola Soriga con la piccola staffetta Ida che si muove tra i bombardamenti della capitale di Dove finisce Roma, (Einaudi Stile libero, 2012) o alla Valsesia del mitico Cino Moscatelli di Giacomo Verri in Partigiano Inverno (Nutrimenti, 2012), l’Alba fenogliana di La mia anima è ovunque tu sia di Aldo Cazzullo (Mondatori, 2011) solo per citare alcuni dei più noti.

Il contesto letterario

Il territorio nemico si distingue però sicuramente anche per gli spunti di metodo che offre anche per chi insegna. L’elaborazione della tecnica di scrittura collettiva SIC si definisce “industriale” perché basata su di una “divisione del lavoro” di tipo fordista per cui “chi scrive non sceglie e chi sceglie non scrive”. Infatti l’architettura rigorosa e la divisione tra chi giudica e assembla i testi e che scrive ovvero tra il gruppo ristretto che seleziona i brani da inserire e cura l’omogeneità stilistica e il gruppo di scrittori ha consentito di evitare le secche e gli insuccessi dei numerosi precedenti di romanzi collettivi. Una lunga gestazione e alcune sperimentazioni in racconti brevi hanno consentito di mettere a punto un metodo che si vuole comunque perfezionabile. La spinta a non arenarsi è stata anche forse dovuta al fatto che Vanni Santoni e Gregorio Magini sono da anni inseriti in un ampio e variegato movimento letterario e culturale d’avanguardia che negli ultimi anni ha acceso polemiche e discussioni per le proposte contenutistiche, stilistiche e soprattutto per l’uso del web come strumento di creazione artistica collaborativa. Un movimento che ha avuto un primo momento di definizione in forma cartacea nel volume New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro (Einaudi Stile libero, 2009) che a cura del collettivo bolognese Wu Ming riportava il vasto dibattito svoltosi in rete sul ruolo della letteratura e dell’autorialità nell’epoca della rete. Un movimento letterario e non solo con una forte carica di critica sociale (soprattutto in nome del precariato intellettuale) e di cultura d’opposizione, con un chiara politicità quindi, non fondata però su appartenenze ideologiche rigide ma costruita sui principi della collaborazione e cooperazione, del libero accesso al sapere, della critica radicale alla cultura dominante. Principi, metodi di lavoro, autori e gruppi artistici e letterari che hanno trovato ampia ospitalità e ricavato impulso da riviste on line e siti come www.wumingfoundation.com , www.nazioneindiana.org o www.carmillaonline.com solo per citarne alcuni.

Usi didattici

L’originalità del metodo elaborato da Gregorio Magini e Vanni Santoni, liberamente consultabile in www.scritturacollettiva.org consiste anche nella sua adattabilità ai più vari contesti, compreso un possibile uso didattico, certo ancora agli inizi ma che a mio avviso con ovvie e necessarie modifiche potrebbe riservare interessanti sviluppi e applicazioni pratiche. E’ questo il caso ad esempio di “Dachau 16.3.2012” scritto collettivamente dalla Cl. IV H del Liceo artistico statale Matteo Olivieri di Brescia che partendo dai principi della condivisione anche sul piano artistico e creativo ha sperimentato un tipo di lavoro, legato alla visita all’omonimo campo, tendente a far partecipare tutti gli studenti della classe ad un progetto sentito davvero come “proprio”. In questo caso la scrittura saggistica ha prevalso sull’intento puramente narrativo e il testo collettivo si chiude infatti con una essenziale bibliografia e sitografia utilizzata dalla classe. L’insegnante, nella veste di “direttore artistico” è intervenuta solo per la revisione linguistica del testo selezionato dagli editor, un gruppo di tre alunni che ha letto i testi (4-5) per ogni capitolo, assemblandone le parti più convincenti senza procedere inizialmente a riscritture. Per ognuno dei sette capitoli si è proceduto poi all’approvazione o alla modifica da parte degli autori. Il risultato sono stati sette capitoli, letti nella loro versione finale e infine approvati dall’intera comunità degli scrittori coincidente con l’intera classe. Un esperimento, quello del metodo SIC legato all’ambito scolastico e didattico, che Vanni Santoni e Gregorio Magini hanno intenzione di approfondire e divulgare anche nelle scuole a partire dal prossimo anno scolastico e che mi pare particolarmente degno di attenzione.

Paolo Mencarelli

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 O que é um autor? Revisão de uma genealogia – CHARTIER (RBH)

CHARTIER, Roger. O que é um autor? Revisão de uma genealogia. São Carlos (SP): Ed. UFScar, 2012. 90p. Resenha de: MORAES, Kleiton de Sousa. Revista Brasileira de História, São Paulo, v.33, n.65, 2013.

Retornar aos clássicos é sempre um risco, ainda mais quando se pretende fazer uma revisão crítica do clássico. Lançar-se a essa árdua tarefa é colocar-se diante de um desafio que pode resultar, não raras vezes, frustrante. Assumindo esse risco o historiador francês Roger Chartier, professor da cátedra Écrit et cultures dans l’Europe Moderne no Collège de France desde 2007, retorna à clássica conferência do filósofo Michel Foucault, pronunciada em fevereiro de 1969 sob o título “O que é um autor?”. Na esteira dela, Roger Chartier propõe-se em O que é um autor? Revisão de uma genealogia a revisitar as reflexões do filósofo na sua análise do funcionamento do que ele chamara de ‘função autor’ no mundo da escrita ocidental.

Fruto de uma conferência realizada na Sorbonne no ano 2000, e apresentada para a mesma Société Française de Philosophie que promoveu a conferência homônima de Foucault, O que é um autor? é o desdobramento de um diálogo profícuo do historiador com o filósofo esboçado já há alguns anos. Historiador especialista na cultura escrita, Chartier, em A Ordem dos livros (publicado em 1994), já havia visitado a famosa conferência de Foucault para analisar as representações dadas à figura do autor e fazer uma primeira correção nas reflexões do filósofo francês. Já naquela ocasião, Chartier buscava dialogar com Foucault, fundamentalmente no que tange à periodicidade do aparecimento do autor em textos ‘científicos’ e ‘literários’, tema que retomará neste novo livro.

Aqui, Chartier reitera a originalidade do filósofo ao chamar atenção para a pertinência de seu questionamento sobre o funcionamento do mecanismo segundo o qual um texto ou uma obra são identificados a um nome próprio. Reafirmando a tese central da conferência de Foucault, Chartier desenvolve uma análise histórica das distintas maneiras pelas quais foi acionada a ‘função autor’ no tempo. Para tanto, inicia com uma revisão da cronologia esboçada pelo filósofo francês a fim de corrigir algumas imprecisões em suas assertivas, renovando, assim, sua força interpretativa.

Nesse empreendimento, Chartier evoca outro frequente interlocutor em seus livros, o escritor argentino Jorge Luís Borges. No conto Borges e eu, que faz parte do volume O Fazedor, Borges conta, mediante um humor profundo, da não identidade entre o indivíduo que escreve e o autor, embora reitere a complementaridade fenomenológica inescapável entre ambos: “Seria exagerado afirmar que nossas relações são hostis. Eu vivo e deixo-me viver, para que Borges possa urdir sua literatura, e essa literatura justifica-me” (p.32-33).

A citação do conto borgiano não é gratuita. Trata-se de afirmar, com Foucault, que o funcionamento da ‘função autor’ não se inscreve no momento de uma prática de escrita, mas se insere dentro de uma ordem do discurso específica que a engloba. É essa adesão à tese foucaultiana o ponto de partida do qual Chartier empreende sua revisão crítica, evocando daí a vaga cronologia em três tempos esboçada por Michel Foucault na famosa conferência.

A primeira seria a do nascimento da concepção burguesa da propriedade literária, que Foucault localiza entre o final do século XVII e o início do século XVIII. Embora reafirme a importância desse momento como fundamental na construção de uma ‘função autor’, Chartier chama atenção para o fato de que a propriedade literária do autor nasce na Inglaterra não tanto no interesse do autor, mas do livreiro-editor londrino que, na iminência de perder seus direitos sobre determinada obra – direito exclusivo de reprodução adquirido pelos velhos estatutos e revogado por nova lei –, em inícios do século XVII e não no final, cria, ou faz criar, a propriedade do autor sobre seu texto. Chartier afirma que essa conquista do autor encobriria o verdadeiro objetivo que seria dar ao autor o direito de, ao repassar sua propriedade para determinado livreiro-editor, também transmitir os mesmos direitos de perpetuidade e imprescritibilidade da obra.

Avançando na reflexão, o historiador observa que a justificativa para a criação do copyright ainda nesse período fundou-se tanto no direito natural – segundo o qual o homem é proprietário de seu corpo e dos produtos do seu trabalho – quanto numa justificativa estética, fundada na originalidade daquele que produz, gerando, nessa esteira, a figura do indivíduo criador único e original. Isso significa, nos alerta Chartier, não só uma reivindicação econômica do direito do autor, mas a existência de uma antiga reivindicação que se baseava numa propriedade moral, segundo a qual o controle de uma obra poderia ser pedido em nome da honra de um autor.

A outra cronologia, aquela em que o historiador segue mais de perto Foucault, relaciona-se à distinção do processo de anonimato que caracterizaria os textos literários e científicos entre os séculos XVII e XVIII. Pensa Chartier que talvez a aporia existente nas reflexões de Foucault seria resultado de três problemas: o primeiro, uma inércia linguística, criada pela impossibilidade de definir-se prudentemente uma divisão entre ciência e literatura em períodos específicos; o segundo se referia à necessidade de se pensar a evocação de autoridades (Hipócrates, Plínio etc.), procedimentos comum antes dos séculos XVII ou XVIII, e essa relação com os autores de determinada época; e o terceiro, a ausência da ‘função autor’ em textos literários anteriores ao século XVII ou XVIII e a mesma ausência para enunciados científicos após essa mesma data, hipótese que Chartier rejeita.

Embora concorde em parte com Foucault, quando este salienta a necessidade da referência a um autor bem antes do século XVII para textos identificados como ‘científicos’, Roger Chartier não concorda quando nessa distinção acusa o anonimato em textos literários. Para Foucault, entre os séculos XVII ou XVIII, há uma mudança entre o aparecimento da figura do autor em textos literários e, inversamente, o seu desaparecimento em textos científicos. Para o historiador, mesmo depois do século XVII, uma descoberta ou um enunciado científico só tinham validação pela evocação de um nome próprio, não necessariamente o erudito, técnico ou profissional. Chartier identifica esse procedimento como um método de validação aristocrático, em que vale mais, para aceitação de um enunciado, aquele que tem o poder de dizer uma verdade – um poderoso, um príncipe ou um ministro. Em contrapartida, o desinteresse de um autor, representado pela não relação de propriedade por seus enunciados, é fundamental para que o erudito seja reconhecido como o autor ou autoridade nesse regime. Tal procedimento, ao contrário do que pensava Foucault, encontrava-se presente até mesmo nos textos literários posteriores a esse momento de ruptura que teria sido o século XVII, no qual, em prólogos, prefácios ou dedicatórias, o desinteresse do autor é evocado como fator de credibilidade para textos. Por fim, Chartier afirma, diferentemente do que Foucault pensava, que alguns textos com valor de verdade circulavam em anonimato desde a Idade Média, sem necessidade da referência a uma autoridade – os livros de segredos e os manuais técnicos, por exemplo.

Se o século XVIII revela a construção do autor-proprietário, a figura do autor é bem anterior a ela. A última cronologia esboçada por Foucault remete à ligação do autor a uma função ligada à identificação de um indivíduo com determinado texto para fins punitivos, notadamente os de censura. Chartier concorda com essa proposição citando fontes inquisitoriais do século XVII, onde o anonimato de um texto impresso já era motivo de sua censura, sendo os títulos de obras vinculadas a um nome próprio uma fórmula essencial de melhor vigilância para as autoridades.

Essa investigação levou alguns historiadores a concluir que a ‘função autor’ nasce com o livro impresso, a partir do aparecimento do nome de um indivíduo no impresso, com os processos acionados por escritores que tiveram seus textos publicados sem seu consentimento desde inícios do século XVI e com o aparecimento de um retrato do indivíduo autor. Mas Chartier julga errônea essa precipitação. Em primeiro lugar, seguindo a mudança lexical que se dá com os termos auctor e actor quando ainda o regime de circulação de textos era fundamentalmente manuscrito, no século XIV e no começo do século XV, com o primeiro designando uma autoridade e o segundo um compilador. Chartier aponta a conquista progressiva da autoridade dos auctores pelos actores e, já no final do século XIV e em inícios do XV, a existência da designação acteur valendo tanto para autoridades quanto para certos textos publicados em língua vulgar, nascendo daí a figura do escritor, não apenas como aquele que copia, mas aquele que compõe e inventa.

Essa forte presença da representação – palavra-chave em Chartier – do autor como criador em contraste com o decifrador, glosador ou compilador, impõe uma reflexão em torno da historicidade da identificação do nome à obra e à própria materialidade do objeto. Para Chartier, se desde a alta Idade Média a forma mais conhecida do livro era aquela da miscelânea, ou seja, de diferentes textos reunidos num objeto-livro, o que parece existir é uma suposta ‘função leitor’ – aquele que desejou que fossem reunidos textos distintos em um só objeto – e uma ‘função copista’ – o que copiou o texto num único livro. Mas, se a miscelânea é a característica desse tipo de livro, já no século XIV, quando a circulação de textos ainda se fazia em livros manuscritos, é possível identificar a ‘função autor’ a um indivíduo, ligando-o a uma obra ou livro. Aí reside para Roger Chartier a incontornável recomendação de que à genealogia da ‘função autor’ imersa na ordem do discurso deve-se acrescentar, concomitantemente, uma ordem dos livros. A consequência disso residiria na maneira de tratamento dada à investigação dos impressos, que não poderia prescindir também da investigação dos suportes que veiculam os textos como forma de identificar os seus sentidos.

Ao corrigir algumas imprecisões expostas na famosa conferência de Michel Foucault, Roger Chartier em O que é um autor? enfatiza a força interpretativa do filósofo francês incorporando alguns questionamentos advindos das pesquisas recentes sobre impressos, notadamente oriundos da História Cultural. Essa démarche não o conduz à negação da questão proposta por Foucault. O retorno visa reforçar o quanto sua reflexão crítica continua expressa em questionamentos atuais sobre o funcionamento de um determinado mecanismo de autoridade sobre os textos. Essa reflexão não finda na investigação da ordem do discurso, mas incorpora, de maneira fundamental, a dimensão da materialidade desse mesmo discurso. E isso porque, respondendo às questões ao final do livro, Chartier afirma que um leitor nunca encontra um texto a não ser por meio de uma forma específica, sendo a ordem do discurso sempre uma ordem de materialidade.

Por fim, cabe reiterar que tal visita a Michel Foucault como parte de um movimento que busca dialogar com um clássico se funda num espaço de tensão em que o interlocutor se apropria das ideias de outrem contribuindo de forma a torná-las vivas. Chartier não parece em seu O que é um autor querer cair nas armadilhas que pudessem confrontá-lo com o filósofo. Ele vai ao encontro do risco inevitável de, ao se apropriar das ideias de Foucault, tornar-se também ele um autor dessas ideias, aprofundado-as de forma crítica. Mas os sentidos que os leitores vão dar a essa apropriação respeitosa podem não ser tão compatíveis com os desejos do historiador. Esta última proposição Chartier assume como parte incontornável de uma prática de leitura que é também, sabe ele, espaço de imprevisíveis criações.

Kleiton de Sousa Moraes – Doutorando em História Social. Universidade Federal do Rio de Janeiro (UFRJ), IFCS – Programa de Pós-Graduação em História Social. Largo de São Francisco, 1, sala 205, Centro. 20051-070 Rio de Janeiro – RJ – Brasil. E-mail: [email protected]

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Interpretação: autoria, leitura e efeitos do trabalho simbólico – ORLANDI (RF)

ORLANDI, Eni P. Interpretação: autoria, leitura e efeitos do trabalho simbólico. Campinas: Pontes, 5. ed., 2007. ALMEIDA, Risonete Lima de. A leitura no ensino fundamental: um gesto simbólico situado no entremeio dos sentidos. Revista FACED, Salvador, n. 20, p. 125-126, jul./dez. 2011.

O ensino de língua portuguesa na escola fundamental deve legitimar a prática da leitura e promover inovações a partir do que diz Orlandi em considerações reveladoras de nova concepção de língua e de ensino. O que se torna possível quando situa a língua como um texto que circula na instituição escolar, constituído histórico-socialmente e que permite produção de sentidos diversos.

A idéia de língua aqui situada, doravante texto, nos remete ao ensino que busca transpor a simples idéia de inteligibilidade do sujeito que o situa apenas no sistema formal, para a ideia de compreensão como condições sine qua non de produção de sentido. Compreender é, pois, “[…] explicitar os processos de significação que trabalham o texto”. (p. 88) Neste sentido, rechaça-se a concepção de interpretação que restringe aos sentidos que simulam alguns livros didáticos e práticas de ensino da língua. Defende-se a interpretação vista como gesto simbólico – a compreensão, ato que representa, que projeta sentidos através de seus mecanismos de funcionamento.

Ao gesto simbólico é dada a característica de ampla dimensão, pois o privilégio da interpretação pressupõe o sujeito e a sociedade como um todo, o que inclui suas instituições (a escola, o aluno, o professor, a família etc.). Pressupõe também os diferentes mecanismos interpretativos na relação com as diversas linguagens, nas distintas posições dos sujeitos. Sujeito histórico, social, descentrado de sua origem porque ele próprio é um lugar de significação.

Portanto, o ensino da língua portuguesa não deve ser mediado apenas pelo texto escrito. A ideia de sentidos leva a pensar os diferentes gestos de interpretação, possível apenas a partir das variadas formas de linguagem e, geralmente, de distintas materialidades (música, imagens, pintura, projeção fílmica, escrita etc.) que significam. Assim o é porque o gesto carrega a incompletude que liga língua e historia na produção de sentidos. Os sentidos não se fecham, não são evidentes em uma única dimensão.

O ensino, assim, solicita o caráter multidimensional do espaço simbólico em que o texto se insere e exige daquele que ensina e aprende o saber que “[…] há uma necessidade que rege um texto e que vem da relação com a exterioridade”. (p. 15) Ao professor cabe permitir que se desloquem os sentidos, que se desconstru¬am o já aparente, o já dito, que permitam o equivoco, pois este avança em direção a uma outra significação. Isto porque o texto não é sistema que disponibiliza sentido próprio a partir de propriedades intrínsecas.

Nessa perspectiva o lugar de conhecimento é diferente daquele da interdisciplinaridade. É o lugar do entremeio, onde linguagem e exterioridade constitutiva são indissociáveis porque prevalece a noção de discurso e que não separa linguagem e sociedade na história. Lugar onde o linguístico não é propriedade da linguística, pois os sentidos do texto não combinam com o reducionismo teórico. Se assim não o fosse os professores da educação infantil e das séries iniciais estariam excluídos do gesto simbólico quando trabalham práticas de leitura.

Situar-se no entremeio, no efeito de sentidos entre locutores, é condição de leitura. A interpretação e a legibilidade são garantidas a partir da conjugação necessária da língua com a história – o discurso, produzindo a impressão da realidade. Assim sendo, não se fala em ensinar conteúdos, em relação termo-a-termo entre pensamento/linguagem/mundo (conteudismo), mas de fato – observação de como o texto, na condição de objeto simbólico, funciona. Assim dito, o texto é o fato de linguagem e “[…] os estudos que não tratam da textualidade não alcançam a relação com a memória da língua”. (p. 58)

Ao aluno deve ser dada a oportunidade de se situar como autor dos sentidos que perpassam o ensino e a aprendizagem do texto, o que significa a oportunidade de revelar que o seu dizer historiciza, que o seu discurso é interpretável, de representar e se representar, de ser reconhecido como produtor de um evento interpretativo. Porque ele, sujeito ativo, determina a constituição dos sentidos, embora este processo escape ao seu controle con¬ciente e às suas intenções, como falha necessária.

Risonete Lima de Almeida – Pesquisadora do Grupo de Estudo e Pesquisa em Educação e Linguagem – GELING/UFBA; Supervisora do Curso de Especialização em Educação Infantil – MEC/SEB/UFBA; Professora da UNEB – Departamento de Letras – Campus II.

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