I sommersi e i salvati – LEVI (Nv)

LEVI Primo e SANVITALE Francesca I sommersi e i salvati
Primo Levi con la scrittrice Francesca Sanvitale in occasione di un’edizione del Premio Streg. Foto dii sconosciuto – http://www.corriere.it/

LEVI P I sommersi e i salvati I sommersi e i salvatiLEVI, Primo. I sommersi e i salvati. 2015. Resenha de: MENGONI, Martina. Isommersi e i salvati. Prima edizione scolastica commentata dell’opera di Primo Levi. Resenha de: MENGONI, Martina; MORI, Roberta. Novecento.org – Didattica dela storia in rete, 25 giu. 2019.

ANALISI LETTERARIA E MEDIAZIONE DIDATTICA

Obiettivo principale del lavoro di editing è stato la ricerca di risposte didatticamente soddisfacenti alle molte esigenze poste da una materia delicata e complessa come quella affrontata da Levi: come aiutare gli studenti a comprendere tutti i riferimenti presenti nel testo senza appesantire la pagina con note troppo estese? Come favorire una lettura  attiva e partecipe? Come stimolare la riflessione sui concetti-chiave? Infine, e soprattutto: come far capire ai ragazzi che I sommersi e i salvati non è un testo “imbalsamato”,  ma è capace di interrogare senza sosta il lettore, mettere in scena davanti ai suoi occhi contraddizioni insolubili, scandagliare con lucidità gli anfratti più dolorosi della storia del Novecento senza consegnare verità apodittiche?

Nel concepire la fisionomia generale del volume e il commento al testo, preziosi suggerimenti indiretti sono venuti dalle scelte compiute dall’autore in occasione dell’edizione scolastica del 1973 di Se questo è un uomo[1], curata dallo stesso Primo Levi e accolta nella collana einaudiana “Letture per la scuola media”. In quel frangente, lo scrittore aveva messo a punto, oltre alle note, una serie di strumenti allo scopo di rendere  l’opera pienamente accessibile al pubblico degli studenti delle scuole medie: una Prefazione ai giovani; due carte geografiche che mostravano rispettivamente la disposizione dei campi di concentramento nei territori occupati dalla Germania e l’insieme dei sottocampi presenti nella regione di Auschwitz; una bibliografia essenziale nella quale erano consigliate opere di carattere generale sul nazionalsocialismo e sulla persecuzione degli ebrei, insieme a documenti e testimonianze. In un’Appendice  ̶ aggiunta all’edizione scolastica nel 1976  ̶ Levi aveva raccolto le domande più frequenti che gli venivano rivolte dagli studenti durante gli incontri nelle scuole, formulando per ciascuna risposte che ancora oggi costituiscono una indicazione di metodo per quanti vogliano accostarsi alla didattica della Shoah.

L’ESEMPIO DI PRIMO LEVI: LE NOTE

Le note curate da Levi per l’edizione scolastica di Se questo è un uomo possono essere raggruppate in cinque diverse tipologie: note di traduzione delle espressioni in lingue straniere; note di spiegazione di termini tecnici desunti da lessici specialistici (medico, militare, scientifico, letterario, filosofico etc.) e dal gergo del campo; note storiche e geografiche; note che illustrano il funzionamento del Lager; note di auto-commento delle scelte lessicali e dei riferimenti intertestuali. Il programma di storia delle scuole medie degli anni Settanta si fermava alla prima guerra mondiale; l’apparato di note, la prefazione, la bibliografia dovevano quindi fornire ai giovani lettori sintetiche quanto indispensabili informazioni sulla geografia e sulla storia europee tra il 1918 e il 1945 aiutandoli nel contempo a comprendere le condizioni di vita all’interno di un Lager nazista.

L’EDIZIONE SCOLASTICA DE I SOMMERSI E I SALVATI

LE NOTE

Possono essere sussunte sotto sei diverse tipologie, alcune delle quali ricalcano quelle dell’edizione scolastica di Se questo è un uomo:

  1. note di traduzione dei termini stranieri;
  2. note di spiegazione di termini desunti da linguaggi specialistici e di vocaboli di derivazione colta e letteraria, oggi di uso raro (ad esempio “scherani”, “turpi”, “mendaci”, etc.);
  3. note storiche che coprono un arco cronologico che si estende dalla Prima Guerra Mondiale fino agli anni Ottanta del Novecento;
  4. note storico-biografiche che ricostruiscono nei tratti salienti la biografia dei tanti personaggi storici citati;
  5. note di spiegazione delle citazioni esplicite riconducibili alla cultura classica, ai testi biblici e alle fonti letterarie;
  6. note che chiariscono i diversi riferimenti culturali (libri, film, opere d’arte) cui l’autore ricorre per supportare alcuni passaggi argomentativi e per mettere in luce ulteriori sfaccettature del discorso.

Non sono state aggiunte al testo note di tipo critico-interpretativo per non sovrapporre la voce delle curatrici alla voce dello scrittore, e per non limitare le capacità interpretative degli studenti incanalandole in un’unica direzione.

L’INTRODUZIONE

Intende offrire agli studenti un resoconto accessibile delle ultime ricerche sulla genesi, la struttura, gli stili e l’impianto retorico de I sommersi e i salvati. L’ultimo libro di Levi è innanzitutto ricondotto alla sua prima gestazione, negli anni Sessanta, quando l’autore intratteneva uno rapporto vivo e diretto con i suoi lettori tedeschi. Al contempo, il libro non avrebbe visto la luce senza il dialogo ininterrotto con gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori: “Sono stato in più di centotrenta scuole” scrive Levi nel 1979. Gli studenti sono dunque il destinatario ideale de I sommersi e i salvati; l’ultimo e forse il più importante lascito analitico di Primo Levi è per loro, ed è questa la chiave per comprendere le scelte retoriche e argomentative del libro: un testo che fonde l’impianto saggistico con l’andamento narrativo, ricco di “figure” memorabili e insieme inesauribili, che rilanciano gli interrogativi filosofici, morali e storici posti dall’autore; un libro dal carattere socratico, concepito come un tentativo di ripristinare la complessità di una vicenda storica, sociale, culturale: “una segnaletica di problemi”, come lo ha definito la storica Anna Bravo.

LA BIOGRAFIA E L’APPENDICE DI APPROFONDIMENTO

Abbiamo inoltre assunto l’idea, già presente nella curatela di Levi, che per aiutare il pubblico scolastico a orientarsi nella storia dello sterminio non sia sufficiente annotare tutti i termini che richiedono un supplemento di spiegazione, ma siano indispensabili supporti specifici: per questa ragione, oltre all’introduzione e all’apparato didattico, il volume comprende una sintetica biografia di Levi ed è completato da un’appendice di approfondimento sui campi di concentramento e di sterminio. Nell’appendice è stata inserita una delle due carte geografiche comparse nell’edizione scolastica del 1973 di Se questo è un uomo, nella quale  appaiono evidenziati i  Lager citati ne I sommersi e i salvati.

GLI ESERCIZI SUL TESTO

Agli esercizi presenti nel volume è affidata la funzione interpretativo-critica, non assolta da specifiche note al testo. Suddivisi per capitoli, sono pensati per mettere a fuoco i nodi fondamentali dell’argomentazione di ciascun tema, per proporre possibilità interpretative grazie alla giustapposizione con altri testi della tradizione letteraria e filosofica e per stimolare su di essi una riflessione attiva sotto forma di analisi lessicale e stilistica, di rielaborazione dei contenuti, di confronto intertestuale.

L’ANALISI LINGUISTICA

Gli esercizi di analisi testuale mirano  ad ampliare il bagaglio linguistico degli studenti attraverso la riflessione sulle scelte dell’autore e l’approfondimento dei lessici specialistici; sul versante stilistico sono proposte soprattutto analisi di figure retoriche notevoli (similitudini, metafore, ossimori etc.) grazie alle quali è possibile pervenire a una comprensione piena delle stratificazioni semantiche presenti nel testo. Tra gli esercizi linguistici ne segnaliamo uno relativo al capitolo Comunicare, che promuove una riflessione sul fenomeno della “violenza fatta al linguaggio” nella Germania hitleriana e in particolare sul Lagerjargon, il gergo degradato parlato nei campi al quale il filologo ebreo Victor Klemperer dedicò pagine imprescindibili nel suo studio sulla lingua del Terzo Reich intitolato LTI (Lingua Tertii Imperi)[2]. Si richiede agli studenti di fare un piccolo “esperimento Klemperer” usando come libro-serbatoio I sommersi e i salvati  e di costruire un glossario dei termini del Lagerjargon che potrà poi essere ampliato prendendo in esame anche altri testi, ad esempio Arcipelago Gulag[3] o lo stesso libro di Klemperer.

LA RICERCA STORICA

Alcuni esercizi comportano invece da parte degli studenti lo svolgimento di una vera e propria attività di ricerca storica. È questo il caso di un esercizio del capitolo La memoria dell’offesa in cui si  propone di stilare una lista delle testimonianze scritte dai carnefici nazisti, distinguendo fra quelle pubblicate prima del 1986 e quelle pubblicate successivamente, e di due esercizi riferiti rispettivamente ai capitoli Intellettuale ad Auschwitz e Lettere di tedeschi. Il primo suggerisce di compiere una breve ricerca su tre intellettuali che, in misura diversa e con diversi gradi di colpa, si resero complici del Terzo Reich, quali Martin Heidegger, Johannes Stark e Micheal von Faulhaber; nel secondo si chiede di ricostruire la biografia di Albert Speer, “l’architetto di Hitler”.  Quando possibile, negli esercizi si consiglia di far seguire all’attività di ricerca, individuale o di gruppo, un momento di restituzione condivisa e di discussione in classe, affinché il confronto fra pari consolidi e fissi le conoscenze acquisite e alleni alla discussione.

CONFRONTI E COLLEGAMENTI

La  storia del Novecento non è l’unico ambito a cui approdano le consegne degli esercizi: infatti l’apertura interdisciplinare de I sommersi e i salvati permette di spaziare fra saperi diversi e di stabilire collegamenti per nulla scontati fra ambiti apparentemente lontani fra loro. Un gruppo di esercizi disseminati nei sette capitoli dell’opera mette in contatto I sommersi e i salvati  con testi di altri autori o con opere diverse dello stesso Levi; gli accostamenti interessano generi ed epoche differenti: ad esempio la riflessione sull’uomo come animale gregario nel capitolo La zona grigia offre il pretesto per un confronto con le nozioni di animale sociale, gregario e monadico contenute nella Politica di Aristotele[4], mentre in un esercizio riferito al capitolo Stereotipi il fulcro dell’attenzione si sposta sul rapporto fra reduci e racconto del passato attraverso l’analisi delle figure di Ulisse nell’Odissea e di Francesca da Rimini nella Divina commedia.

LA RIFLESSIONE SUL PRESENTE

Nello stesso capitolo è presente una proposta di attività in classe il cui obiettivo è quello di avvicinare le questioni dibattute nel libro al presente degli studenti. Si richiede infatti di compilare un elenco di domande che si vorrebbero rivolgere a Levi oggi e poi di discuterne in classe. In seguito i ragazzi sono invitati a leggere l’Appendice all’edizione scolastica di Se questo è un uomo del 1976 e a confrontare le domande formulate da loro e quelle poste dagli studenti degli anni Sessanta e Settanta.  L’esame comparato  delle due liste di domande consente di mettere a fuoco i tratti salienti della diversa ricezione degli stessi contenuti da parte di generazioni di lettori differenti e al tempo stesso di studiare, per mezzo di un esempio concreto,  l’evoluzione delle forme culturali che determinano sia le modalità di lettura e di rielaborazione individuale sia l’approccio didattico ai testi, trasmesso  dai docenti.

IL FASCICOLO PER L’INSEGNANTE

Al volume annotato de I sommersi e i salvati si accompagna un fascicolo omaggio riservato agli insegnanti. Il fascicolo si compone di tre sezioni: 1) una serie di percorsi di apprendimento cooperativo, cinque in tutto, su alcuni temi chiave del libro; 2) undici percorsi di analisi guidata di testi di Primo Levi, sul modello delle prove di tipologia A e B dell’esame di stato; 3) una ricognizione bibliografica e sitografica sulla figura di Primo Levi, sulla storia della Resistenza e della deportazione e sulla didattica della Shoah.

L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO

Nella prima sezione sono proposti cinque percorsi di apprendimento cooperativo aventi ciascuno un tema che prende spunto da un capitolo de I sommersi e i salvati: tre sono incentrati sulla memoria, in tre differenti accezioni (memoria biologica, memoria collettiva, metafore della memoria); uno è dedicato alla zona grigia; l’altro allo stereotipo del prigioniero. Si è pensato a un lavoro a gruppi improntato su ricerca, azione e restituzione, da svolgersi direttamente sui testi, sulle immagini, sui video. I testi scelti spaziano dalla tradizione letteraria (Montale, Borges, Shakespeare, Dostoevskij), filosofica (Platone, Cicerone, Agostino, Bergson, Freud, Arendt), scientifica (Alexander Lurija) e storico-memorialistica (Massimo Mila, Luciana Nissim) con incursioni nel fumetto (Maus di Art Spiegelman, ma anche le vignette di prigionia di Ernesto Rossi) e nell’arte figurativa (il memoriale di Berlino, le Stolpensteine). Si propone anche la visione e la discussione di film e serie tv (Prison BreakBlack Mirror[5]) per riflettere sull’uso, stereotipato o originale, di alcuni dei temi scelti. I cinque percorsi si propongono come altrettanti itinerari interpretativi, costruiti però dagli studenti attraverso un rapporto attivo con il materiale testuale e audiovisivo.

Ciascun percorso è scandito in tre fasi: nella prima, la classe fruisce di un testo o di un video collettivamente; nella seconda fase, gli studenti sono divisi in gruppi, e ad ognuno è affidato un testo o un’immagine (o serie di immagini) da analizzare e approfondire. Nella fase finale, ciascun gruppo restituisce alla classe il proprio approfondimento, per innescare una discussione complessiva sul tema.

L’obiettivo è quello di far reagire alcuni brani di Levi – tratti dai Sommersi, ma anche da altre sue opere meno battute – con alcuni dei testi e degli autori più importanti della tradizione, ma anche di ibridarli con nuovi linguaggi contemporanei.

I CAPITOLI, I TEMI, I CONFRONTI

Il percorso dedicato alla zona grigia, ad esempio, assegna a sei gruppi di studenti sei temi presenti nell’omonimo capitolo de I sommersi e i salvati (l’isolamento e la mancanza di solidarietà, il contagio del male, la vicenda di Chaim Rumkowski, il decano del ghetto di Łódź, il giudizio morale sulla condotta dell’individuo, il male burocratico, il potere vicario) e li sviluppa arricchendo il punto di vista su di essi attraverso il confronto con voci provenienti dalla filosofia, dalla storia, dalla tradizione letteraria, dal fumetto. Gli studenti che si occupano della riflessione sull’isolamento e la mancanza di solidarietà approfondiscono un brano de Le origini del totalitarismo[6] di Hannah Arendt; il gruppo che affronta il discorso sul privilegio in Lager basa il suo ragionamento sugli input provenienti da una vignetta tratta da Maus[7] di Art Spiegelman e da un brano di un’intervista a Vladek Spiegelman, padre di Art; un estratto dell’intervista fatta dal regista Claude Lanzman a Benjamin Murmelstein[8], ultimo Decano del Consiglio degli Ebrei di Theresienstad, aiuta il gruppo che si occupa della figura di Chaim Rumkowski a osservare la storia del decano di Łódź da un’angolazione diversa rispetto a quella adottata da Levi; per indagare il problema del giudizio morale sulla condotta dell’individuo alcuni studenti si confrontano con la favola della vecchia e della cipollina tratta da I fratelli Karamazov[9] di  Fedor Dostoevskij, a cui Levi stesso fa riferimento nel suo libro; un brano de La banalità del male[10] di Hannah Arendt pone i ragazzi faccia a faccia con il concetto del male “burocratico”, quello perpetrato dai funzionari pronti a mettere la loro firma in calce a qualsiasi provvedimento emanato dallo Stato nazista; la forza di corruzione del potere, fenomeno presente in tutte le collettività umane, è esemplificata da alcuni versi dell’opera Misura per misura di William Shakespeare citati dallo stesso Levi.

Un altro esempio utile per comprendere lo sforzo di collocare il testo leviano al crocevia di linguaggi e discipline diverse è offerto dal percorso di apprendimento cooperativo sulla figura del prigioniero,  che forse più di altri si fa portatore manifesto dell’intento ambizioso che percorre l’intera edizione scolastica: gli studenti, opportunamente guidati, possono imparare attraverso la lettura delle opere di Levi a interpretare e a interrogare il presente e non soltanto il passato. Il percorso si ricollega ai contenuti del capitolo Stereotipi, in cui l’autore riflette sul fatto che, con il passare del tempo, i giovani che incontra nelle scuole non riescono più a immaginare le condizioni fisiche e psicologiche dei deportati, l’annientamento del corpo che andava di pari passo con quello del pensiero; a questa immagine di tragica impotenza, con la quale le generazioni nate negli anni Sessanta e Settanta non sanno più rapportarsi, si contrappone  il mito del prigioniero che “spezza le catene”, diffuso dalla letteratura e dal cinema.  Per il  percorso di apprendimento cooperativo è stato affiancato a un testo tratto da Oro – (Il sistema periodico[11]) in cui Levi racconta la sua prigionia in Valle d’Aosta – un brano tratto da Ricordi della casa dei morti[12] di Luciana Nissim Momigliano sulla “morte interiore” dei prigionieri; insieme ad essi, è proposto un estratto da Le loro prigioni[13] di Massimo Mila, in cui l’intellettuale antifascista racconta – con una certa disincantata ironia – il periodo di prigionia a Regina Coeli, la difficoltà nello scrivere lettere che eludessero la censura, la noia, la lettura, le conversazioni, l’avidità di notizie sul presente. Il testo è accompagnato da una vignetta di Ernesto Rossi, che con Mila condivideva la cella in quegli anni. A questi testi si aggiunge la proposta di analizzare e commentare un film che Levi cita nel capitolo, Io sono un evaso[14] (1932), accostandolo a un altro film sullo stesso filone, uscito negli anni settanta, Fuga da Alcatraz[15] (1979), e a una serie tv recente, Prison break[16] (2005-2017). In modo diverso tutti e tre alimentano lo stereotipo del prigioniero forte e padrone di sé, che riesce a liberarsi e a fuggire, spezzando i propri vincoli. La scelta di autori come Nissim e Mila, così come della vignetta di Rossi, ha come obiettivo quello di far incontrare gli studenti con autori che probabilmente non conoscono; la proposta di Prison break, serie tv piuttosto conosciuta dagli adolescenti nati negli anni Duemila, è dettata invece dall’esigenza di creare un ponte fra contenuti eterogenei per abituare gli studenti a riconoscere non solo gli stereotipi storici, ma anche le costruzioni simboliche e i miti letterari che popolano l’immaginario contemporaneo, e a compiere un esercizio di analisi e di lettura del presente.

I PERCORSI DI ANALISI TESTUALE

I brani scelti per i percorsi di analisi del testo sono tratti da Il sistema periodico (racconti Zinco, Potassio, Nichel, Fosforo, OroVanadio), da La chiave a stella, da  Racconti e saggi, dalla raccolta di poesie Ad ora incerta, dall’Appendice Se questo è un uomo. Si è voluto infatti presentare agli studenti un ritratto a tutto tondo dello scrittore, che valorizzasse le molteplici sfaccettature della sua opera e mettesse in discussione la vulgata che considera Primo Levi esclusivamente un testimone – anzi, il testimone per eccellenza – passando sotto silenzio la straordinaria ricchezza di un percorso umano e intellettuale ramificato in molte direzioni e, proprio per questo, fuori dagli schemi.

I TESTI E LA PROSPETTIVA INTERDISCIPLINARE

La maggior parte dei testi tratti da Il sistema periodico ci mostra un Levi poco più che ventenne alle prese con le amicizie, con lo studio della chimica, con le prime esperienze lavorative, con le scelte che segnarono il suo destino e quello della  sua generazione, sullo sfondo dell’Italia del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale. Per il pubblico scolastico questo è, per certi versi, un Primo Levi inedito con il quale è possibile stabilire un rapporto di maggiore vicinanza e forse anche di identificazione.

Se si prova a passare brevemente in rassegna alcuni esempi fra quelli contenuti nella sezione, ci si accorge che anche nei percorsi è adottata una prospettiva interdisciplinare che fonde letteratura, storia del Novecento e storia del costume, studio del pensiero scientifico e  riflessione sull’attualità.  La sezione si apre con un brano del racconto Zinco  in cui Levi, studente di Chimica nell’anno accademico 1938-39, dall’osservazione del comportamento della materia che ha tra le mani in laboratorio, trae alcune considerazioni sui concetti di “purezza” e di “impurezza” ricollegandoli alla propaganda antisemita dell’Italia fascista. Dopo aver svolto un’analisi guidata del brano, lo studente è invitato a sviluppare i concetti di “impurezza” e “diversità” mettendoli in relazione con le conoscenze scientifiche attuali.

Due analisi testuali  hanno come fulcro il tema del lavoro, declinato da due punti di vista differenti: la riflessione sui sentimenti individuali che legano l’uomo al suo lavoro quotidiano, sollecitata dalla lettura del brano di Nichel che racconta del primo vero impiego di chimico trovato da Levi; il confronto storico fra gli antichi mestieri artigianali, assai diffusi fino alla metà del secolo scorso, e il lavoro nella società contemporanea, condotto a partire dalla figura del padre di Tino Faussone,  protagonista del capitolo “Battere la lastra” de La chiave a stella.

Un altro percorso propone l’analisi della poesia Partigia, nella quale lo scrittore nel tracciare un bilancio dell’esperienza resistenziale sua e della sua generazione allarga il discorso dalla sfera storico-politica a quella esistenziale e invita quanti hanno combattuto la lotta contro il nazifascismo a tener saldi i valori che li hanno ispirati in quella stagione ormai lontana.

I due percorsi di analisi sul modello della prova d’esame di tipologia B (analisi e produzione di un testo argomentativo) hanno come oggetto due brani dell’Appendice a Se questo è un uomo. I temi portati all’attenzione degli studenti sono le radici storiche dell’antisemitismo tedesco e i motivi per cui l’opinione pubblica tedesca non “volle sapere” quanto stava accadendo nei campi di prigionia e di sterminio.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA SULLA FIGURA DI PRIMO LEVI, SULLA STORIA DELLA RESISTENZA E DELLA DEPORTAZIONE E SULLA DIDATTICA DELLA SHOAH

Nella parte dedicata a Levi si è preferito suggerire, anziché contributi critici in senso stretto, testi che offrissero un punto di vista originale sulla biografia intellettuale dell’autore e che potessero essere proposti agli studenti, come ad esempio il graphic novel Una stella tranquilla: ritratto sentimentale di Primo Levi[17], di Pietro Scarnera, e l’Album Primo Levi[18], curato dal Centro Studi Primo Levi. Oltre ai testi, sono descritti siti nei quali si trovano materiali e approfondimenti su Primo Levi, come il “Laboratorio Levi”[19] (su Raiplay), una serie di interviste rilasciate dallo scrittore ai microfoni della Rai. La sezione sulla storia della Resistenza e della deportazione elenca e descrive le risorse on line messe a disposizione dagli istituti, dagli enti e dalle associazioni, italiani e internazionali, che si occupano di questi due temi e, più in generale,  di storia del Novecento. L’ultima parte della bibliografia ricostruisce per grandi linee il dibattito sulla didattica della Shoah che si è sviluppato a partire dagli anni Novanta del Novecento. Mentre nelle altre due sezioni i contributi citati sono disposti in ordine alfabetico, nell’ultima parte si è optato per un elenco in ordine cronologico per permettere ai docenti di orientarsi fra le diverse fasi del dibattito. Una riflessione preliminare sulla didattica della Shoah da parte dei docenti di Lettere e di Storia appare oggi più che mai necessaria: la bibliografia vorrebbe quindi facilitare l’acquisizione di una formazione specifica in materia, la quale va di pari passo con un incremento della consapevolezza delle implicazioni educative, cognitive e metodologiche connesse all’adozione di un determinato approccio didattico. Avere l’opportunità di vagliare l’ampia gamma di posizioni assunte dagli studiosi e le tante proposte di attività didattiche sul tema significa già, per il docente, iniziare a compiere quelle scelte che sente più congeniali rispetto alla sua sensibilità, alle sue competenze  e agli obiettivi formativi, al fine di trasmettere non un semplice insieme di nozioni, bensì un bagaglio di conoscenze complesse.

Note

[1] Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi 1973, collana “Letture per la scuola media”.

[2] Victor Klemperer, LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo [1946], Firenze, Giuntina, 1998.

[3] Aleksandr Solzenicyn, Arcipelago Gulag, 1918-1956: saggio di inchiesta narrativa [1973], Milano, Mondadori, 2013.

[4] Cfr., in particolare, Aristotele, Historia Animalium, I, 488a e Politica, I, 1253a.

[5] Black Mirror, serie TV, di Charlie Brooker, Regno Unito, 2011- in produzione, cinque stagioni.

[6] Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo [1951], Torino, Einaudi, 2004.

[7] Art Spiegelman, Maus [1972-1991], Torino, Einaudi, 2010.

[8] Claude Lanzmann, L’ultimo degli ingiusti. Intervista con Benjamin Murmelstein, ultimo Decano del Consiglio degli Ebrei di Theresienstadt, Milano, Skira, 2014

[9] Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamazov [1878-1880], a cura di Igor Sibaldi, voll. I-II, Milano, Mondadori, 1994.

[10] Hannah Arendt, La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme [1963], Milano, Feltrinelli, 2008.

[11] Per tutte le opere di Primo Levi citate si rimanda alle Opere complete, a cura di Marco Belpoliti, voll. I-III, Torino, Einaudi, 2016-2018.

[12] Luciana Nissim Momigliano, Ricordi della casa dei morti [1946] in Ricordi della casa dei morti e altri scritti, a cura di Alessandra Chiappano, Firenze, Giuntina, 2008.

[13] Massimo Mila, Le loro prigioni. Da Regina Coeli a Ventotene, «Il Ponte», V, 3, marzo 1949; ora in Scritti civili, a cura di Alberto Cavaglion, Milano, Il Saggiatore, 2011.

[14] Io sono un evaso, film, regia di Mervyn Le Roy, USA 1932.

[15] Fuga da Alcatraz, film, regia di Don Siegel, USA 1979.

[16] Prison Break, serie TV, di Paul Scheuring, USA 2005-2017,cinque stagioni.

[17] Pietro Scarnera, Una stella tranquilla: ritratto sentimentale di Primo Levi, Bologna, Comma22, 2013.

[18] Album Primo Levi, a cura di Roberta Mori e Domenico Scarpa, Torino, Einaudi, 2017.

[19] Cfr. https://www.raiplay.it/programmi/laboratoriolevi/   (URL consultato il 18/06/2019)

Martina Mengoni e Roberta Mori

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Insegnare storia: Il laboratorio storico e altre pratiche ative – MONDUCCI (Nv)

MONDUCCI, Francesco (a cura di). Insegnare storia: Il laboratorio storico e altre pratiche ative. Guida alla didattica del laboratorio storico. Resenha de: PAGANO, Enrico. Dalla parte dela Didattica ativa. Uno sguardo dentro al volume “Insegnare Storia”. MASTRETTA, Elena. Hanna non chiude mai gli occhi. Un libro per appassionare i ragazzi. Novecento.org – Didattica dela storia in rete, 29, lug.. 2019.

DALLA PARTE DELLA DIDATTICA ATTIVA

A dodici anni dalla prima e sei dalla seconda, nel 2018 è stata pubblicata la terza edizione di Insegnare storia curata da Francesco Monducci, che già aveva collaborato alla precedente con Paolo Bernardi. La novità del lavoro è annunciata dal sottotitolo, “Il laboratorio storico e altre pratiche attive” al posto di “Guida alla didattica del laboratorio storico”. L’architettura dell’opera propone una parte teorica, in continuità con le precedenti pubblicazioni, e due parti ampiamente rinnovate dedicate l’una agli strumenti e l’altra ai metodi e alle applicazioni.  Il testo, come afferma il curatore nella nota introduttiva, «entra senza ritrosie nella questione del come – e dunque inevitabilmente del cosa – insegnare e partecipa attivamente al dibattito in corso, stando dalla parte di chi esprime la necessità di una didattica attiva che guardi ai contenuti come oggetti da maneggiare».

LA PARTE TEORICA

Introduzione all’insegnamento della storia e funzione del laboratorio

Fra i contributi della parte teorica troviamo il saggio di Scipione Guarracino su “Le questioni dell’insegnare storia”, che affronta temi generali (perché e come insegnare storia, le finalità politiche ed etiche, le regole del mestiere di storico, i manuali messi in discussione, la storia che vale la pena di insegnare), e quello di Aurora Delmonaco focalizzato sul “laboratorio di storia”. Le ragioni della scelta di questa pratica rimandano a istanze didattiche, pedagogiche e storiografiche di indubbia efficacia; tuttavia oggi la sua fortuna – o la sua disgrazia – dipende dall’essere posto o meno in stretta connessione con la nozione di competenza e, più nello specifico, con le competenze-chiave per la cittadinanza.

Rientra in questa sezione teorica, benché collocato all’inizio della parte dedicata a metodi e applicazioni, il saggio “La mente laboratoriale” di Ivo Mattozzi. L’autore distingue la didattica genericamente operativa, vale a dire la “suggestione del laboratorio”, dall’adozione di un progetto consapevole di didattica laboratoriale; infatti questa strategia operativa, oltre a rinnovare la formazione storica degli studenti e degli insegnanti, consente di attualizzare il principio della trasmissività del sapere, nella convinzione che si possa giungere al pensiero astratto e alla sua formalizzazione anche attraverso la pratica e il saper fare.

La didattica per competenze

Un’importante novità della parte teorica è il saggio di Mario Pinotti su “La didattica per competenze nell’insegnamento della storia”, che ricostruisce in forma essenziale la plurima stratificazione semantica del concetto di “competenze”. Pinotti propone un percorso storico che va dall’attivismo pedagogico delle origini all’influenza esercitata sulla scuola novecentesca, fino all’esame delle potenzialità che i principi educativi derivati da questa tradizione mantengono nella didattica del nuovo millennio. Secondo Pinotti, la didattica delle competenze può diventare una prassi condivisa nella scuola italiana a condizione che dimostri di garantire l’apprendimento dei saperi meglio della didattica tradizionale, non essendo sufficienti alla sua affermazione le ragioni della psicologia e della pedagogia, né i riconoscimenti istituzionali o le condizioni normative. Inoltre l’autore, riferendosi alle competenze metodologiche delle Indicazioni nazionali del 2010, presenta un’articolata scheda di valutazione delle competenze di storia, adattabile ai vari livelli di istruzione. Infine analizza le parti relative alle competenze chiave di cittadinanza, accolte nelle Indicazioni nazionali del 2012, che hanno un più stretto contatto con il sapere storiografico. Il saggio è apprezzabile anche perché fornisce, con stile e linguaggio improntati alla massima comunicatività, un quadro sintetico ma completo dei percorsi legislativi fino alla Legge 107 del 2015 e un valido contributo orientativo per la progettazione didattica.

GLI STRUMENTI

Il manuale

La sezione si apre con il saggio di Francesco Monducci intitolato “Il manuale, per una didattica attiva”, in cui si esamina l’evoluzione ipertestuale e la compatibilità del manuale di storia con le esigenze di un insegnamento innovativo e partecipato e si forniscono indicazioni generali sui criteri della scelta. Un altro paragrafo è dedicato al lavoro con il libro di testo e quello conclusivo approfondisce il tema delle estensioni digitali dei manuali e della loro effettiva utilità didattica.

Insegnare e apprendere con il web

Segue un saggio scritto a quattro mani da Chiara Massari e Igor Pizzirusso, “Insegnare storia con il web”, che si rivela particolarmente utile per la proposta di un quadro di sintesi dei più recenti sviluppi tecnologici e per un’analisi delle modalità attraverso cui il web può diventare strumento ed ambiente di apprendimento. Corroborato da una seria analisi in chiave pedagogica e didattica e da importanti indicazioni per la ricerca, la selezione critica delle informazioni e l’uso delle fonti disponibili in rete, il contributo offre inoltre al lettore un repertorio aggiornato di metodologie e strumenti disponibili per la didattica laboratoriale. Tra questi, particolare attenzione è rivolta ai webware, accessibili per realizzare linee del tempo, carte tematiche o grafici, video, giochi, mappe e presentazioni.

Le fonti, dalla storiografia alla didattica

Chiude la sezione il saggio di Ermanno Rosso, prematuramente scomparso, su “Le fonti, dalla storiografia al laboratorio di didattica”. Il contributo è riproposto integralmente dalla prima edizione, fatti salvi gli aggiornamenti bibliografici e sitografici. Al centro c’è l’idea di un insegnamento della storia che sappia tenere unite e coerenti l’informazione storica, la conoscenza e il rispetto per l’epistemologia disciplinare, senza mai prescindere dall’utilizzo delle fonti che trovano la massima valorizzazione nella pratica laboratoriale. Particolare attenzione è dedicata alla fonte storica, esaminata dal punto di vista della sua origine, del concetto e della polivalenza che la caratterizza. L’autore si concentrata sul delicato passaggio dalla storiografia alla didattica, segnalando però l’opportunità – nelle sue pratiche – di guardarsi da eccessi e ritrosie. Si sofferma quindi sulle motivazioni, la tempistica e le modalità di utilizzo delle fonti: procede illustrando modelli di uso e di analisi e proponendo schemi di classificazione, sequenze analitiche e operazioni inerenti alla ricostruzione documentata del passato. Rosso sostiene che a scuola è possibile fare anche ricerche originali e indica negli archivi scolastici una risorsa importante che può essere utile allo scopo.

I METODI E LE APPLICAZIONI

La terza e ultima parte, preceduta dal saggio di Mattozzi di cui si è già parlato, si articola in otto contributi, nell’ordine: Tre modi di fare storia nella scuola primaria (Gianluca Gabrielli); Geostoria. Studiare lo spazio e il tempo (Emanuela Garimberti); Le fonti letterarie (Eugenia Corbino); Luoghi della memoria (Maria Laura Marescalchi); Fare storia con il CLIL (Paolo Ceccoli); Fare storia con l’EsaBac e Lo studio di caso con documenti di varia tipologia (Francesco Monducci); L’Alternanza scuola-lavoro e il laboratorio storico: temi problemi, proposte (Agnese Portincasa e Filippo M. Ferrara). Nelle precedenti edizioni questa sezione era organizzata secondo criteri molto più didascalici, nel senso che venivano proposte le varie modalità laboratoriali distinte per tipologia di fonti: materiali documentari, iconografici, letterari, cinematografici, testimonianze orali e luoghi della memoria, web e nuove tecnologie, giochi didattici, ecc. L’attuale impostazione, come spiega Monducci nella nota introduttiva, è stata pensata

«per dare ragione delle nuove opportunità offerte da settori in continua evoluzione […], per fare spazio ad attività riguardanti ambiti precedentemente non coperti […], per conferire agli esempi proposti un taglio più immediatamente spendibile nella pratica scolastica quotidiana».

Diamo sinteticamente conto dei contributi di questa sezione, prendendoci la licenza di non seguire precisamente l’ordine di pubblicazione.

Fare storia nella scuola primaria

Il saggio di Gianluca Gabrielli è l’unico appositamente dedicato alle modalità di didattica della storia nella scuola elementare. L’autore propone di mettere in atto tre distinte pratiche: l’uso delle fonti per trarne indicazioni sul passato; la conoscenza storica di una tra le prime e più importanti civiltà umane (l’antico Egitto), con attenzione alle connessioni sociali dell’epoca e i loro mutamenti nel tempo; infine, un percorso di conoscenza contestualizzata storicamente su una ricorrenza del calendario civile.

Fare storia con il CLIL[1]

Nel suo articolo, dopo una disamina degli aspetti normativi, Paolo Ceccoli illustra le caratteristiche della metodologia CLIL, che prevede l’insegnamento di una materia non linguistica in lingua straniera e promuove la convergenza didattica delle due discipline, senza prevalenza dell’una sull’altra. Successivamente, dopo avere affermato che una didattica della storia CLIL non può che avere un’impostazione laboratoriale molto vicina alla didattica degli EAS, propone alcune riflessioni indispensabili per la progettazione di un modulo specifico, ossia: la scelta dei materiali, lo sviluppo di una lezione, la misurazione e la valutazione. Infine, offre due esempi dettagliati di programmazione: l’uso di fonti letterarie inglesi per lo studio della prima guerra mondiale e i processi di decolonizzazione.

Fare storia nei programmi EsaBac[2]

Il contributo di Francesco Monducci ha per oggetto il percorso triennale EsaBac che dal suo avvio, nel 2009, ad oggi ha evidenziato una crescita costante di adesioni e consensi. Tra le sue caratteristiche didattiche si distinguono il costante lavoro con le fonti, modulato dai programmi francesi, e la naturale predisposizione all’interdisciplinarità. A titolo esemplificativo, l’autore propone un dossier documentario di approfondimento dedicato al tema della religiosità e delle credenze popolari fra XI e XIV secolo, che prevede un lavoro molto simile alle attività didattiche connesse con gli studi di caso.

Lo studio di caso

In un altro articolo, lo stesso Monducci, riprendendo la codificazione proposta da Antonio Brusa, si sofferma sullo studio di caso, strumento didattico sperimentato in varie edizioni della Summer School organizzata dall’Istituto nazionale “Ferruccio Parri” e ampiamente diffuso grazie alla rivista novecento.org e al lavoro dei responsabili della didattica della rete nazionale degli istituti. Monducci propone un esempio di lavoro pensato per una classe terza di scuola secondaria di primo grado e incentrato sul tema dell’alimentazione in Italia durante la seconda guerra mondiale. L’esemplificazione didattica è arricchita dall’assegnazione agli studenti di un compito di realtà attraverso la metodologia del webquest. Una volta terminata l’attività dello studio di caso, agli studenti si dà la consegna di sviluppare una ricerca autonoma e di realizzare un prodotto, ad esempio una presentazione in power point, da illustrare in una determinata occasione. Riprendendo la formalizzazione di Dodge e March (Università di San Diego, California, 1995), l’autore esamina le varie fasi dell’attività: la motivazione, la descrizione del risultato atteso, le indicazioni di lavoro, le risorse da utilizzare, la valutazione e il bilancio conclusivo dell’esperienza.

La geostoria

Il più ponderoso capitolo della terza parte è scritto da Emanuela Garimberti ed è dedicato alla geostoria, termine che, prima della declinazione didattica, fu proprio di una nobile tradizione storiografica che ebbe inizio con gli studi di Fernand Braudel. Purtroppo, nella scuola italiana, la geostoria continua ad essere percepita come la mera conseguenza della contrazione delle ore dedicate alla storia e alla geografia. Anche per questo motivo non pare aver prodotto grandi risultati sul piano della complementarietà tra le due discipline e dell’unitarietà dell’insegnamento. Eppure, come afferma l’autrice,

«un percorso di geostoria ben costruito può riuscire a tenere insieme la contemporaneità dell’approccio geografico e la diacronia di quello storico [restituendo] la percezione dell’alterità del passato, così spesso perduta nell’appiattimento sul presente contemporaneo o, viceversa, proiettata all’indietro in un passato a-storico».

L’ambiziosa proposta didattica che correda il saggio è dedicata alla storia sociale del paesaggio storico e consiste in una serie di attività laboratoriali sui paesaggi rurali tra tarda Antichità e pieno Medioevo.

Le fonti letterarie

Eugenia Corbino pubblica un saggio dedicato all’utilizzo della narrativa come fonte storica. L’autrice ravvisa in essa “uno strumento per avvicinare gli studenti alla storia in quanto conoscenza razionale del passato, indagata secondo metodi e tecniche storiografiche”, ma a condizione di tenere separati eventi ed elementi passionali della narrazione. Gli aspetti relativi alla progettualità illustrati nel saggio sono desunti dall’offerta didattica dell’Istituto storico di Firenze e attengono a percorsi realizzati da Paolo Mencarelli e dalla stessa Corbino. Essi hanno per oggetto l’analisi del rapporto tra la Resistenza e una narrativa che scaturisce da ricostruzioni di autori che non ne sono stati protagonisti o testimoni e che, a loro volta, hanno dovuto misurarsi con la ricerca e l’interpretazione dei documenti. Tali percorsi prevedono anche un laboratorio di scrittura collettiva che parte proprio dalla lettura delle fonti.

I luoghi della memoria

Maria Laura Marescalchi, già autrice nelle due precedenti edizioni di un saggio sui luoghi della memoria e i testimoni scritto con Marzia Gigli, ritorna a riflettere con taglio innovativo su questo tema. Il saggio, sul piano del metodo, ribadisce la funzione essenziale della mediazione dell’insegnante che, sola, è in grado di evitare la sovrapposizione tra il piano storico e quello della memoria. Sul piano didattico la proposta – pensata per la scuola superiore ma, secondo l’autrice, adattabile anche alla scuola primaria – verte sulla progettazione di una visita a un luogo della memoria. Viene quindi esemplificata una visita guidata a Monte Sole, supportata dall’esplicitazione dei prerequisiti, delle finalità, degli obiettivi e delle competenze di carattere generale connessi con il noto e prolungato eccidio avvenuto tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944.

L’Alternanza scuola-lavoro e il laboratorio storico

L’ultimo saggio della terza parte, scritto da Agnese Portincasa e Filippo M. Ferrara, riguarda l’Alternanza scuola-lavoro. Il tema è controverso. Sin dalla sua introduzione ha generato difformi valutazioni sulla sua opportunità formativa, originate in buona parte dalla tradizionale difficoltà di comunicazione fra scuola e mondo del lavoro. Aldilà delle questioni divisive di fondo, gli autori si pongono la domanda se e in che modo il modello del laboratorio storico risponda efficacemente alle esigenze dell’Alternanza scuola-lavoro. Quindi, a partire da esperienze realizzate presso l’Istituto per la storia e le Memorie del Novecento Parri E-R di Bologna, propongono un dettagliato piano di lavoro, che può essere assunto come traccia applicabile anche a progetti provenienti da altri contesti ed arricchito da una pregevole scheda individuale di valutazione delle competenze.

CONCLUSIONI E VALUTAZIONI

Siamo di fronte a un prodotto molto interessante per l’equilibrata balance fra aspetti teorici, adeguatamente aggiornati, ed esemplificazioni utili e, in buona parte, riproducibili in ambiente didattico a diversi livelli di istruzione. Certo, un bilancio complessivo delle indicazioni operative contenute nel manuale con particolare riguardo ai potenziali destinatari e fruitori non può ignorare il ruolo preponderante assunto in fase esemplificativa dall’istruzione superiore. Del resto, è proprio a questo livello che la pratica laboratoriale incontra le principali resistenze. Tuttavia, lo sforzo di tenere insieme i vari livelli di istruzione è davvero apprezzabile. Inoltre, i docenti della scuola primaria e secondaria inferiore vi potranno trovare elementi utili e spendibili in svariati contesti didattici. Ma, sempre sul piano della formazione, potranno trovare altrettanti elementi significativi anche tutti coloro che sono motivati all’insegnamento della storia e desiderano affrontarla con consapevolezza, convinti che, in una moderna azione didattica, i metodi e le pratiche non possano prescindere dalle finalità. Tra i vari pregi del manuale occorre infine ricordare anche le generose bibliografie e sitografie che corredano ciascun saggio.

Insomma, si tratta di un libro che stimola riflessioni e interrogazioni sul senso dell’azione didattica e sulla coerenza tra il mestiere di insegnante di storia e le sue finalità formative implicite ed esplicite; nel contempo invita a sperimentare, o quantomeno a misurarsi con gli esempi e le proposte presentate. Il volume dunque se – per un verso – costituisce un punto di partenza per successive ricerche, nello stesso tempo, offre un repertorio completo, sia teorico sia sperimentale, per chi vuole dedicarsi alle pratiche didattiche attive.

Note

[1] L’acronimo CLIL, introdotto da D. March e A. Maljers nel 1994, sta per Content and Language Integrated Learning (apprendimento integrato di contenuti disciplinari in lingua straniera veicolare) ed è stato introdotto nell’ordinamento scolastico italiano dalla Legge di Riforma della Scuola Secondaria di secondo grado avviata nel 2010.

[2] EsaBac è il duplice diploma di istruzione secondaria superiore istituito il 24 febbraio 2009 grazie all’Accordo tra il Miur e il Ministero francese per l’istruzione.  L’accordo prevede che l’Italia e la Francia nei loro sistemi scolastici promuovano un percorso bilingue triennale, attivo nel secondo ciclo di istruzione. Tale percorso permette di conseguire contemporaneamente il diploma di Esame di Stato italiano e il Baccalauréat francese.

Enrico Pagano

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Public History and School, International Perspectives – DEMANTOWSKY (Nv)

DEMANTOWSKY, Marko (Ed.). Public History and School. International Perspectives. Oldenbourg: De Gruyter, 2019. Resenha de: CECCOLI, Paolo. Novecento.org – Didattica dela storia in rete, 1 lug. 2019.

Tra gli specialisti e gli studiosi di didattica della storia il dibattito sulla public history è più vivo che mai. In questo ambito Marko Demantowski, direttore esecutivo della rivista on line https://public-history-weekly.degruyter.com/ha curato una raccolta di saggi, corredata da un’ampia e interessante bibliografia, sul rapporto fra public history e scuola che vale la pena di trattare[1].

Il testo parte da una tesi forte: qualunque cosa sia la public history, ci sono ragioni storiche e concettuali per sostenere che essa trovi nella scuola un luogo d’elezione.

Uno dei progetti più riusciti della modernità, diffuso in tutto il mondo e garantito dagli stati, è la gigantesca istituzione che chiamiamo scuola, specialmente quando è offerta gratuitamente e resa obbligatoria per tutti. Dal XVIII secolo in poi, ciò che segna la graduale apparizione di questo progetto governativo enormemente dispendioso è connotato da specifici interessi che si compongono parzialmente con la tradizione religiosa e militare. Uno scopo preciso promosse il successo della creazione delle scuole come istituzioni obbligatorie e universali o, se vogliamo, come lunghi e collettivi riti di passaggio. Fu l’integrazione interna nei nuovi stati nazionali emergenti e la fondazione della loro coerenza di fronte alle precedenti diversità geografiche, sociali, linguistiche e religiose[2].

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Hanna non chiude mai gli occhi – BALLERRINI (Nv)

BALLERRINI, Luigi. Hanna non chiude mai gli occhi. Narrativa San Paolo Ragazzi, 2015. Resenha de: MASTRETTA, Elena. Hanna non chiude mai gli occhi. Un libro per appassionare i ragazzi. Novecento.org – Didattica dela storia in rete, 24 apr. 2018.

ABSTRACT

Il libro di Luigi Ballerini, Hanna non chiude mai gli occhi, è stato pubblicato nella collana Narrativa San Paolo Ragazzi nel dicembre 2015, raccogliendo da allora consensi di pubblico e critica, oltre a importanti premi[1]. Il testo si caratterizza per essere un romanzo di formazione a tema storico, la Shoah, adatto a giovani ed adulti.

SALONICCO 1943

Hanna e Yosef, due ragazzi ebrei, devono confrontarsi con i progressivi divieti che vengono imposti agli israeliti. Per via di queste disposizioni, la famiglia di Yosef va a vivere in casa della famiglia di Hanna. Dopo un’iniziale diffidenza, i due sviluppano un forte senso di amicizia, che li aiuterà ad affrontare i mutamenti alle loro vite, imposti dalla discriminazione razziale, e – al tempo stesso – i momenti difficili della crescita personale. Le loro storie, scopriranno imparando a conoscersi, sono corse parallele fino a quel momento, quando la reclusione nel ghetto di Kalamaria li ha messi uno accanto all’altra. Ad esempio, hanno entrambi assistito al raduno di uomini, tra cui i loro fratelli maggiori, avvenuto l’11 luglio 1943 in piazza Libertà. Allora reagirono in modo diverso. Mentre Yosef si allontana abbastanza presto non riuscendo ad assistere al terribile spettacolo, Hanna resta fino alla fine. Yosef ammette, infatti, tradendo un senso di vergogna «Appena hanno iniziato a picchiarli io sono scappato via»[2].L’atteggiamento di Hanna in quella situazione invece, restare senza risparmiarsi la vista degli uomini umiliati e sopportando il caldo, chiarisce da subito il titolo del libro, Hanna non chiude mai gli occhi.

GUELFO ZAMBONI E LUCILLO MERCI: LA SCELTA DI ESSERE UMANI

Il libro rende bene la progressione delle difficoltà degli ebrei e delle violenze cui sono sottoposti. Inoltre mette in risalto due personaggi poco conosciuti: il console Guelfo Zamboni e il capitano Lucillo Merci,  che lavorava in consolato in qualità di interprete. Zamboni, compresa la gravità della situazione, si adoperò, avvalendosi anche dell’appoggio e delle capacità di Merci, per salvare quante più vite possibile attraverso i mezzi che l’incarico di console gli metteva a disposizione.

Quando si rese conto di che cosa davvero stesse accadendo agli ebrei arrestati dai tedeschi, il console chiese ai suoi superiori in Italia la possibilità di “largheggiare” nell’attestare la cittadinanza italiana. Risultarono così in possesso di un certificato anche persone che avevano un cognome italiano o che potevano in qualche modo dimostrare un legame con l’Italia. Il tutto nel rispetto di una legge, che il console non violò mai, tutelandosi, per non perdere di credibilità di fronte ai tedeschi, con l’aggiunta dell’aggettivo “provvisorio” sui certificati rilasciati in quei mesi[3].

Questo non sarebbe stato possibile, se chi lavorava a stretto contatto con Zamboni in consolato non avesse approvato questa scelta. In particolare, nel corso della narrazione si cita spesso la scrittura di un diario da parte di Merci, diario effettivamente redatto dal capitano in quei mesi, di cui nel corso degli anni sono stati pubblicati alcuni stralci e oggi conservato a Yad Vashem. Proprio di questi materiali si è servito Ballerini per rendere al lettore la forte collaborazione dei due uomini nel salvataggio degli ebrei, resa in uno scambio tra i due:

«Dobbiamo fare di più». Il proposito di Zamboni gli uscì di bocca perentorio.

«Si. Dobbiamo portare in salvo tutti gli ebrei italiani, senza perderne nemmeno uno»

«Gli italiani, certo, ma non solo…»

Merci lo guardò con profonda ammirazione. Aveva capito perfettamente.

«Sono con lei signor console, ritengo anch’io che non possiamo stare a guardare. Abbiamo un’unica arma nelle nostre mani, la burocrazia! Ci proveremo con i nostri certificati di cittadinanza e i lasciapassare verso Atene. Lei sa di avermi al suo fianco, in piena fedeltà…»[4]

Sono due figure, quelle dei diplomatici italiani, ben delineate e fedelmente riprodotte, accanto a quelle – altrettanto vivide, anche se inventate dei due ragazzi – collegate proprio dal rilascio dei documenti che le loro famiglie chiedono al consolato italiano. [5].

Il racconto si conclude con la partenza dell’ultimo treno di ebrei italiani da Salonicco verso Atene. Un viaggio diverso da quello che molti altri ebrei dovettero affrontare in quel periodo, perché significava la messa in salvo. Un treno sul quale, però, Hanna sale senza Yosef. La mancanza di lieto fine mette i lettori di fronte alla drammaticità delle vicende storiche che fanno da sfondo alla narrazione.

UNA NARRAZIONE EQUILIBRATA

Uno dei pregi del testo, oltre alla scrittura particolarmente piacevole, è “l’equilibrio” con cui la vicenda della persecuzione ebraica viene trattata: sono rappresentati vittime, carnefici, spettatori, ma anche giusti. Questo, accanto all’ambientazione a Salonicco con continui riferimenti alla situazione italiana permette di affrontare, nella lettura con i ragazzi, la complessità della Shoah.

Vengono infatti presentate nel dettaglio due delle numerose famiglie che cercano di salvarsi dalla deportazione tramite i certificati di cittadinanza italiana, quelle di Hanna e Yosef, ma anche la folla di coloro che si accalcano ogni giorno davanti al consolato italiano dopo che si è sparsa la voce della possibilità di essere qui aiutati.

Sono numerosi i passi del testo in cui si descrivono le persone in attesa di entrare al Consolato Italiano per la richiesta di cittadinanza:

«Anche in quella mattina d’inizio aprile, come faceva ormai da tempo, il capitano Merci salì le scale del Consolato che erano appena le sette. Fuori, davanti al cancello, alcune persone si erano già concentrate in attesa. Appena lo avevano visto arrivare, si erano precipitate su di lui. Aveva faticato a tenerle a bada, a convincerle di attendere che Villa Olga, sede del Consolato, aprisse anche per loro »[6].

L’alto numero di certificati di cittadinanza rilasciati dal consolato italiano non passa inosservato e sono descritti anche i tentativi messi in atto dai tedeschi, in questi passaggi descritti a tutti gli effetti come “carnefici”, per vanificarne l’esistenza:

«Il console Zamboni convocò con urgenza Lucillo Merci, di primo mattino. Era stato informato che le autorità militari tedesche non permettevano la partenza verso Atene di un gruppo di ebrei italiani. Eppure era stato tutto predisposto per tempo e con cura. I certificati di cittadinanza erano stati emessi, i tedeschi avevano ricevuto la lista come da protocollo e la tradotta militare era arrivata dall’Italia in orario». […] «Diventerà sempre più dura, si disse Merci mentre procedeva verso la stazione con sottobraccio tutti i fascicoli relativi al gruppo di italiani in partenza. Fra un po’ non ce lo permetteranno più, pensò con dispiacere e un pizzico di preoccupazione, anche per sé»[7].

Allo stesso modo diverse delle figure che lavorano in consolato, non solo quella di Zamboni e Merci, vengono descritte e si mette il luce il ruolo di ognuno di essi[8]. Per la ricostruzione del “sentire” dei personaggi storici presenti nel romanzo, Ballerini si è servito come già accennato delle parti già pubblicate del diario di Lucillo Merci, dell’intervista rilasciata da Zamboni su questi fatti nel 1992, delle parole di suo nipote Luigi Zazzeri ed ha avuto un lungo colloquio telefonico con Dritta Giorno, residente a Salonicco, che nel 1943 lavorava al consolato italiano come interprete[9].

UN EPISODIO POCO CONOSCIUTO: LA STRAGE DI MEINA

La lettura di questo testo è utile anche per affrontare un episodio particolare della Shoah in Italia: quella dell’Olocausto del Lago Maggiore. Tra coloro che sfuggirono alla persecuzione razziale a Salonicco, infatti, ci sono alcuni di coloro che nell’autunno del 1943 vennero assassinati in quella che è la prima strage di ebrei in Italia.

Nella parte del diario di guerra di Lucillo Merci già pubblicata da Marco Nozza[10] si apprende Merci lasciò la Grecia per l’Italia con

«gli ebrei Dottor Modiano Luigi, la moglie Ernestina, il figlio Claudio, il signor Torres Raul e signora Valeria, l’ing. Elia Modiano, l’avvocato Mosseri, la signora Picollo e altri, complessivamente dodici, compreso (dimenticavo) Elia Saias e famiglia, due signore italiane ariane. […] Accompagnai i miei ospiti fino a Venezia, meta del treno. La famiglia Modiano partì per Firenze, gli altri per il Nord.»

Dopo la chiusura del Consolato Generale d’Italia di Salonicco, avvenuta nel dicembre 1943, il capitano continuò a interessarsi della sorte delle persone che aveva cercato di salvare, per quanto non riuscisse, spesso, a recuperare loro notizie o a verificarle[11].  Scrive ancora nel suo diario

“Gli ebrei italiani o dichiarati tali, da me accompagnati in Italia il 1 agosto 1943 fino a Venezia capolinea del treno, si salvarono. La famiglia del Dott. Luigi Modiano medico (moglie e figlio Claudio), proseguì per Firenze, dove si stabilì. Gli altri nove andarono a Meina sul lago di Como. Con l’occupazione dell’Italia settentrionale da parte dei tedeschi dopo l’8 settembre, il 23 settembre furono arrestati dalle SS, trucidati e chiusi in sacchi buttati nel lago. Le salme furono recuperate durante la guerra.”[12]

Merci non poteva controllare queste informazioni. E oggi sappiamo che erano imprecise [13], come risulta dalle più recenti ricerche storiografiche che hanno ricostruito i profili biografici e i percorsi verso la (mancata) salvezza di molte delle 57 vittime dell’Olocausto del Lago Maggiore.

Il libro ci permette quindi di aprire nuovi spazi di riflessione sui temi della responsabilità personale e della persecuzione: oltre a presentarci nel dettaglio episodi della Shoah che hanno stretti legami con la storia italiana prova a dare una risposta alla domanda che spesso ci si pone di fronte all’immensità della tragedia del popolo ebraico: “era possibile fare qualcosa?”. La risposta viene fornita in modo indiretto, facendoci conoscere le azioni di aiuto messe in atto da due italiani che lavoravano in quel momento per il regime fascista, mossi semplicemente dalla constatazione che stava accadendo qualcosa nei confronti di altri essere umani su cui non si potevano chiudere gli occhi, dimostrando che un comportamento dettato dalla coscienza non solo era possibile, ma in alcuni casi fu anche messo in atto.

Note

[1] Ci si riferisce al Premio Fenice, Europa, XIX edizione, attribuito il 3 settembre 2016 a Losanna. Il testo era stato proposto insieme ad altri come finalista da una giuria tecnica composta da Younis Tawfik, Claudio Toscani e Adriano Cioci. 460 lettori residenti in Italia e all’estero (Europa, America e Antartide) hanno decretato il “supervincitore” in presenza di un numeroso pubblico e di tutti gli autori.

[2] Hanna non chiude mai gli occhi, pag. 34

[3] Zamboni rese noto quanto aveva fatto a Salonicco in una intervista solo nel 1992, ormai molto anziano. https://www.youtube.com/watch?v=D2UhszAASME. Quello stesso anno aveva ricevuto una lettera da Yad Vashem. Una lettera ufficiale di ringraziamento per il suo operato. Dal 12 aprile 2010 a Guelfo Zamboni sono dedicati un albero e un cippo al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano. Rispetto al riconoscimento dell’operato di Zamboni esistono tuttavia delle incertezze. Ci sono fonti giornalistiche che attribuiscono al console il titolo di “Giusto tra le nazioni”, ma il suo nome non risulta nell’elenco pubblicato da Yad Vashem a gennaio 2017.

[4] Hanna non chiude mai gli occhi, pag. 73

[5] Ballerini stesso spiega nella postfazione che le due figure di ragazzi sono frutto della sua fantasia, ma ispirate a personaggi realmente esistiti: Ester Saporta, l’Hanna che dà il titolo al romanzo, e Alberto Modiano, suo coetaneo e amico, che nel libro diventa Yosef, alunni della scuola italiana “Umberto I” di Salonicco.

[6] Hanna non chiude mai gli occhi, pagina 53.

[7] Hanna non chiude mai gli occhi, pagine 75 e 76.

[8] Un rilievo particolare viene dato alla figura di Carolina, che lavora in consolato come segretaria e di cui vengono descritti il carattere e la modalità di lavoro “ Carolina rispose senza distogliere lo sguardo dal fascicolo dove stava archiviando  i telespressi. . Negli ultimi giorni se ne erano accumulati alcuni che andavano ancora protocollati; era stata troppo occupata con le altre pratiche e non sopportava di vedere quel disordine nelle comunicazioni” pag. 55  […]” «si sieda e mi dica come possiamo aiutarla» ripeté Carolina. Il suo tono dolce aveva il dono di mettere a proprio agio chi parlava con lei”. Pag 60.

[9] A settembre 2016 la famiglia di Lucillo Merci, per il tramite di Luigi Ballerini che fornì l’indirizzo, ha avuto uno scambio epistolare con Dritta Giorno, che nella risposta dimostra di ricordare benissimo il capitano e che rafforza, con una grafia chiara e senza incertezze, l’importanza del ruolo che l’uomo rivestì nel tentativo di dare salvezza agli ebrei di Salonicco. Le lettere sono oggi custodite dal ramo della famiglia che vive a Bolzano. Nei diari di Merci la figura femminile presente in consolato ha il nome di Carolina, che nel testo è stato mantenuto. Il capitano potrebbe però avere usato in questo caso un nome diverso per cautela nei confronti della donna, che non si esclude potrebbe essere proprio Dritta.

[10] Marco Nozza, Hotel Meina, Mondadori, 1994

[11] Anche a Lucillo Merci Gariwo ha recentemente tributato il ricordo https://it.gariwo.net/dl/201702281221_merci.pdf

[12] Marco Nozza, Hotel Meina, Mondadori, 1994, pag. 300.

[13] In vari passaggi del libro di Nozza “Lucillo” è riportato come “Fucillo”, ma non vi sono dubbi sul fatto che l’autore si riferisca al capitano in servizio presso il Consolato italiano a Salonicco. Tra le affermazioni non corrette di Merci rileviamo che Meina si trova sul Lago Maggiore, non sul Lago di Como ed è una delle nove località coinvolte nella strage definita “Olocausto del Lago Maggiore”. Le modalità di occultamento dei cadaveri delle 16 vittime locali, dopo le ultime ricerche storiche, risultano essere differenti da quelle descritte da Merci nel suo diario, così come le date del loro ritrovamento ( alcuni corpi riemersero subito dopo le uccisioni, uno, femminile, parecchi anni dopo. Su questo aspetto si sofferma la testimonianza di Piero Ragazzoni nel documentario Even) . Lucillo Merci è mancato nel 1983 e il testo di Nozza, che riprende in larga misura quanto emerso dal processo di Osnabrück nel 1968 è stato pubblicato nel 1994, quindi Merci non poté consultarlo. Fino a questa pubblicazione e a quella di Toscano dell’anno precedente sul Bollettino Storico Novarese sono mancati studi organici e critici sulla strage, di cui molti aspetti restano ad oggi da indagare. Lo stesso coinvolgimento di Merci nella messa in salvo degli ebrei di Salonicco è del resto rimasto praticamente sconosciuto fino al 2007, quando la direttrice dell’Archivio Storico della città di Bolzano, l’ha scoperto ha dedicato alla sua figura due conferenze pubbliche, una il 24 gennaio 2007 appunto, e l’altra il 24 gennaio 2013. Come tanti, il capitano non aveva comunicato nemmeno ai familiari i dettagli di quanto successo a Salonicco.

Elena Mastretta

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Abbiamo ancora bisogno della storia? Il senso del passato nel mondo globalizzato – GRUZINSKI (Nv)

GRUZINSKI, S. Abbiamo ancora bisogno della storia? Il senso del passato nel mondo globalizzato. Milano: Raffaello Cortina, 2016, p. 11. Resenha de: FAZZI, Patrizia. Novecento.org – Didattica dela storia in rete, n.8, febbraio, 2018.

UN INCIPIT STORICO-DIDATTICO: LA DRAMMATIZZAZIONE

Serge Gruzinski, invitato da un docente di storia del Lycée Jean Rostand di Roubaix, la sua città natale situata nella Francia settentrionale, è positivamente colpito dallo spettacolo teatrale messo in scena dagli studenti di età compresa tra i quindici e i sedici anni. I materiali utilizzati sono tratti da una sua precedente opera non concepita a tale scopo: L’Aigle et le Dragon, una ricerca specialistica, che si presenta poco fruibile a livello didattico[2]. Tuttavia due vicende storiche, che si sono sviluppate parallelamente all’inizio del Cinquecento: la conquista del Messico da parte degli spagnoli, l’Aquila, e il tentativo di penetrazione dei portoghesi in Cina, il Dragone, sono scelte per allestire lo spettacolo nel teatro di Pierre-de-Roubaix.
Nell’ambito del curricolare corso di storia di seconda in materia di “Nuovi orizzonti geografici e culturali degli europei in epoca moderna”, rielaborando documenti e carte geografiche, gli studenti hanno messo a confronto le colonizzazioni iberiche: due contesti analoghi quanto ad aggressione da parte dei due imperi europei, ma profondamente diversi quanto a protagonisti, contesti ed esiti. La prima impresa è terminata con l’annessione all’Europa di un’area del mondo da cui è nata l’America latina meticcia, la seconda con la sconfitta della potenza europea da parte dell’impermeabile Cina.

DAL TESTO AL CONTESTO A PARTIRE DA DOMANDE CHIAVE

Nel corso della realizzazione del progetto, gli studenti sono diventati cinesi o aztechi, portoghesi o spagnoli, hanno inventato dialoghi di incontro e scontro tra gli europei e i loro ospiti, progettato scenografie e costumi che hanno consentito loro di prendere gradualmente dimestichezza con altri universi, con storie, società e tradizioni molto diverse tra loro. Un processo di mondializzazione mobilita sempre una pluralità di attori che infrange la dualistica contrapposizione vinti-vincitori e supera lo schematismo dei discorsi sull’alterità, poiché l’orizzonte globale diversifica le posizioni e i confronti. Sollecitati dal docente, i giovani interpreti hanno risposto a domande chiave per collocare le vicende nello spazio e nel tempo: chi sono i cinesi incontrati dai portoghesi che sbarcano a Canton? Chi sono gli indiani che affrontano i castigliani in America? Ma chi si trovano davanti? Con chi si scontrano cinesi e amerindi?
La drammatizzazione si è rivelata, dunque, un efficace incipit per tematizzare le origini della mondializzazione e ha costituito un vero e proprio esempio di narrazione multiforme per educare gli studenti, in maggioranza stranieri in una città dell’antica provincia delle Fiandre francesi, alla scoperta della “cultura mista” attraverso attività di finzione che hanno messo in sintonia tempi apparentemente estranei gli uni agli altri.

SUL DIALOGO FRA PASSATO E PRESENTE

Per dare corpo alla storia nel presente, lo storico francese riconsidera le sovrapposizioni e le contaminazioni nate agli albori dell’età moderna, in una dialettica conflittuale dalle molteplici sfaccettature. Da una parte, si pone in veste critica nei confronti di quelle abitudini accademiche che considera alla base della parcellizzazione delle discipline storiche in settori a compartimenti stagni indeboliti e poco dialoganti, che coinvolgono cerchie di specialisti destinate ad assottigliarsi a mano a mano che ci si allontana dai mondi contemporanei. Dall’altra, nel superare l’eurocentrismo, la prospettiva prevalente per comprendere le storie del passato, non risparmia critiche nei confronti degli studi postcoloniali, poiché il ruolo storico dell’Europa ha costituito quel denominatore comune imprescindibile, seppur controverso e circoscritto nel tempo, per meglio comprendere il mondo globalizzato. Ma come recuperare parti consistenti del passato e opporsi a quell’appiattimento sul presente, esito inevitabile della globalizzazione? Come fare dialogare i passati del nostro pianeta con i suoi presenti sempre più multiculturali e multietnici?

NUOVI PERCORSI TRA LOCALE E GLOBALE

La strada maestra, per rispondere a questi interrogativi, consiste nella ricerca di storie parallele in grado di coniugare “locale e globale”, nell’individuare parentele inaspettate, insolite e singolari. Si può procedere con la ricostruzione di analogie e differenze attraverso fonti poco frequentate o ricorrendo alle molteplici culture della contemporaneità: dalla musica all’arte, dal cinema al teatro, di cui l’autore fornisce una vasta quanto dettagliata disamina. Mettendo in guardia su quelle produzioni dell’industria di intrattenimento, che raramente propongono innovative chiavi di lettura di un mondo globalizzato e cancellano le specificità locali, lo storico si sofferma sui numerosi presenti e sui frammenti accumulatisi nel tempo. Si spazia dai venditori di strada di dvd “piratati” di film asiatici venduti sulle rive del fiume Tapajós a Santarém, seconda città dello Stato di Pará, ai viaggi di scoperta dell’ammiraglio cinese Zheng He, che nel XV secolo tentò di “connettere il mondo”, dai film di Zhang Yimou ai documentari di Aleksandr Sokurov, dalle opere fotografiche dell’artista Kader Attia, che “afferra il presente” dalle antiche rovine di Tazoult, alle opere del brasiliano Carlo Gomes, rappresentate con successo sia a Città del Messico sia nei teatri italiani.
Si tratta in prevalenza di strumenti di comunicazione che possono diffondere buone pratiche, se il docente è in grado di riconoscere il passato “riciclato”, che propone raramente chiavi interpretative, e collega la fascinazione delle immagini del passato alla corretta riflessione storiografica.

ALLA RICERCA DI CONNESSIONI GLOBALI

L’attento lavoro ruota intorno all’ibridazione e al “meticciato”, che costituiscono l’ambito dentro il quale l’autore colloca la specificità dei fenomeni coloniali intesi come processi di scambio, seppur diseguale, di dominio e sopraffazione ma anche di contaminazioni reciproche, che determinano quelle stratificazioni culturali e mescolanza di componenti tali da mettere in discussione ogni forma di idealizzazione o purezza nativista. Nell’agile volume non troviamo dunque movimenti unidirezionali che dall’Europa o dall’Occidente giungono alle periferie del mondo, ma traiettorie più complesse e meno evidenti che si diramano da centri diversi, anche molto distanti tra loro; si reinquadrano storie locali, che costituiscono quell’eredità con cui lo storico è chiamato a confrontarsi, pur nella consapevolezza che una loro ricalibratura non è un’operazione storiografica sufficiente a configurare lato sensu una “storia globale”.
Nell’intento di definire una nuova storia da insegnare nel XXI secolo, si seguono trame narrative nate dalla connessione di diversi punti di vista locali che si confrontano con la pluralità delle realtà globali in una prospettiva di lungo periodo che invita a ricontestualizzare i passati dei popoli che abitano il pianeta.

PER UNA “COSCIENZA-MONDO”

Abbiamo dunque ancora bisogno della storia, secondo Serge Gruzinski, ma di una storia in grado di riconnettere realtà globali e di travalicare quei confini nazionali che troppo spesso la storiografia non ha osato oltrepassare. Le connessioni e i nuovi piani di comparazione storica devono mettere in relazione fatti e problemi, ma da angolature plurime, non a partire da un unico modello eurocentrico come termine di confronto obbligato da cui ricavare permanenze e cambiamenti. È necessario ridimensionare l’eurocentrismo, senza tuttavia limitarsi a una inversione di prospettiva da cui inquadrare la “visione dei vinti”, poiché lo schematismo binario è di fatto riduttivo.
«La globalizzazione, la rivoluzione digitale, lo sgretolarsi della supremazia dell’Occidente, il risveglio dei mondi islamici, il ritorno della Cina, l’affermazione dei nuovi paesi emergenti stanno modificando in modo irreversibile i nostri orizzonti. Senza dimenticare, in contesti a noi più vicini, i processi di ricomposizione delle popolazioni europee, palpabili tanto nelle campagne del Nord Italia e nelle città olandesi quanto nei quartieri fino a qualche tempo fa proletari di Roubaix-Tourcoing[3]».
L’Europa è parte del mondo e si comprende solo tenendo conto del mondo, ricostruendone la complessità e riconoscendo quelle connessioni che delineano la fitta trama tra le diverse parti che lo compongono, seguendo una cronologia che non può essere unica, poiché la sovrapposizione dei tempi crea inevitabilmente discordanze e anacronismi. E la pluralità dei tempi è tanto orizzontale quanto verticale: tempi estranei gli uni agli altri si materializzano, entrano in sintonia e mostrano sul piano locale il corso della globalizzazione.

Note

[2] Gruzinski S., L’Aigle et le Dragon. Démesure européenne et mondialisation au XVIsiècle, Fayard, Paris 2012.

[3] Cfr. Gruzinski S., Abbiamo ancora bisogno della storia?, op. cit., p. 7.

Patrizia Fazzi

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In territorio nemico – Romanzo –

SANTONI, Vanni; MAGINI, Santoni. In territorio nemico – Romanzo. Minimum fax, 2013. Resenha de: MENCARELLI, Paolo. Novecento.org – Didattica dela storia in rete, n.2, giugno, 2014.

Introduzione

Nel risvolto di copertina di In territorio nemico, edito dalla vivace Minimum fax, il romanzo collettivo viene presentato nientemeno che come “una nuova epica della Resistenza. Un’epopea corale resa possibile dal lavoro di oltre cento scrittori e ispirata alle testimonianze di chi la guerra l’ha vissuta e non ha cessato di raccontarla”. In effetti le 308 pagine compresi i “titoli di coda” con gli elenchi nominativi degli scrittori, dei revisori, di coloro che si sono prestati per la consulenza storica, per quella dei dialetti e di chi ha collaborato alla composizione del soggetto attraverso testimonianze personali ecc., non deludono le alte e impegnative promesse del paratesto arricchito anche da un’originale copertina. Frutto al momento più riuscito e impegnativo di un metodo di scrittura, quello appunto denominato Scrittura Industriale Collettiva (SIC) ideato da due giovani scrittori fiorentini, Vanni Santoni e Gregorio Magini e su cui varrà la pena soffermarsi per i possibili usi didattici, il libro ha raggiunto rapidamente le tre edizioni in pochi mesi e si è imposto all’attenzione della critica con recensioni nei principali quotidiani, partecipate trasmissioni radiofoniche, interviste e ovviamente un ampio risalto sul web.

Trama

Se il metodo di scrittura è sicuramente innovativo, pur riprendendo un’idea non nuova quella della “scrittura collettiva” che ha attraversato con le più varie declinazioni la storia delle avanguardie artistico-letterarie novecentesche a partire dal Futurismo, tradizionale appare subito la forma della narrazione con il classico narratore esterno e uno stile di scrittura semplice e piano di larga fruibilità, pensato per un pubblico popolare. L’arco temporale in cui si sviluppa la storia è quello canonico strettamente resistenziale, tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 e le citazioni indirette dai classici resistenziali sono numerose. Le tormentate vicende di Matteo, della sorella Adele e di suo marito Aldo si svolgono parallelamente senza incontrarsi mai fino ai giorni della Liberazione quando si riuniscono, anche se per poco, i diversi percorsi personali dei tre giovani. Matteo ufficiale di marina che diserta dopo l’8 settembre 1943 e che da Napoli risale la penisola intraprendendo un picaresco viaggio verso nord in cerca della sorella vivrà anche un personale viaggio di formazione destinato a cambiarlo profondamente. Come del resto, pur nella diversità delle vicende, la sorella Adele a Milano è costretta a cambiare radicalmente abitudini di vita, lei di buona famiglia borghese dovrà infatti per fame cercare lavoro in fabbrica e affrontare le popolane nelle file per il pane mentre suo marito Aldo, ingegnere sceglierà di nascondersi in campagna presso l’anziana madre, all’insaputa della stessa giovane moglie, finendo per rincorrere ossessivamente un progetto di un fantomatico aereo da combattimento destinato nella sua fantasia a cambiare le sorti del conflitto. Per Matteo e Adele l’incontro con la Resistenza, casuale e nato dalle vicende stesse più che da una decisione subito consapevole o immediatamente politica, significherà un allargamento della propria umanità, una partecipazione intensa agli eventi collettivi, attraverso una scelta etica e politica gradualmente sempre più chiara e intransigente mentre l’isolamento di Aldo, nascosto nella casa di campagna della madre, animato dall’ossessione per la progettazione di un invincibile prototipo di aereo da combattimento non sarà altro che l’entrata in un cono d’ombra di angoscia e paura. Matteo diventerà “Destro” in un percorso di iniziazione alla resistenza che lo vedrà lettore attento di “Italia libera” e di Socialismo liberale di Carlo Rosselli fino a definirsi timidamente “azionista a vocazione libertaria” e i partigiani avranno per lui i volti segnati dalla fatica delle formazioni dei cavatori anarchici, con il loro millenarismo o la tranquilla determinazione di Gregorio Testa che in una palestra di box della periferia romana lo introdurrà al gruppo azionista, ma saranno altrettanto importanti personaggi che sembrano prodotti essi stessi dal disfacimento del paese eppure così attaccati alla vita da trasmettergli nuova forza di fronte agli ostacoli: dal contrabbandiere Zumpata alla giovanissima contadina Luisa a Jolanda che lo accoglie e lo cura. La giovane borghese Adele dal sogno di una vita agiata da “moglie dell’ingegnere” si trasformerà nell’ “Attrice”, da staffetta arriverà presto a misurarsi con le più audaci imprese gappiste, dopo aver sperimentato prima l’istintiva diffidenza poi la solidarietà personale e di classe delle proletarie del Comitato di agitazione della OLAP di Milano. Contrabbandieri, gappisti, massoni, anarchici, fascisti, operaie, preti si alterneranno nelle vicende narrate dando sempre un quadro mosso e avventuroso, pur nel contesto drammatico della guerra. I riferimenti storici e testimoniali sono stati ampiamente vagliati e utilizzati con un criterio di verosomiglianza rigoroso, con una resa realistica mai pedante. Forse solo la partecipazione diretta di Adele alle azioni armate dei gap milanesi pare una concessione anacronistica al ruolo delle donne nelle formazioni armate degli anni settanta. L’uso abbondante del dialetto, validato da un gruppo di esperti che ricostruito filologicamente la dizione delle varianti locali (es. il “monferrino” pressoché scomparso), è un ulteriore elemento di originalità del libro. La lunga gestazione del romanzo, nato dopo almeno tre anni di sperimentazione del metodo di scrittura collettiva, si inserisce in una ripresa dei temi resistenziali sviluppati in forma narrativa o comunque scelti come sfondo storico che ha recentemente visto la comparsa di titoli significativi per l’attenzione che hanno saputo sollevare nel pubblico e nella critica. Riformulando topoi resistenziali classici, luoghi, personaggi, situazioni e facendoli interagire alla luce della sensibilità attuale per i temi della complessità, della scelta, della risposta personale o collettiva di fronte a traumi materiali e psicologici come quelli legati alle guerre, soprattutto alcuni titoli e autori recenti sembrano aver rinverdito un genere troppo spesso dato per esaurito. Mi riferisco in particolare a Paola Soriga con la piccola staffetta Ida che si muove tra i bombardamenti della capitale di Dove finisce Roma, (Einaudi Stile libero, 2012) o alla Valsesia del mitico Cino Moscatelli di Giacomo Verri in Partigiano Inverno (Nutrimenti, 2012), l’Alba fenogliana di La mia anima è ovunque tu sia di Aldo Cazzullo (Mondatori, 2011) solo per citare alcuni dei più noti.

Il contesto letterario

Il territorio nemico si distingue però sicuramente anche per gli spunti di metodo che offre anche per chi insegna. L’elaborazione della tecnica di scrittura collettiva SIC si definisce “industriale” perché basata su di una “divisione del lavoro” di tipo fordista per cui “chi scrive non sceglie e chi sceglie non scrive”. Infatti l’architettura rigorosa e la divisione tra chi giudica e assembla i testi e che scrive ovvero tra il gruppo ristretto che seleziona i brani da inserire e cura l’omogeneità stilistica e il gruppo di scrittori ha consentito di evitare le secche e gli insuccessi dei numerosi precedenti di romanzi collettivi. Una lunga gestazione e alcune sperimentazioni in racconti brevi hanno consentito di mettere a punto un metodo che si vuole comunque perfezionabile. La spinta a non arenarsi è stata anche forse dovuta al fatto che Vanni Santoni e Gregorio Magini sono da anni inseriti in un ampio e variegato movimento letterario e culturale d’avanguardia che negli ultimi anni ha acceso polemiche e discussioni per le proposte contenutistiche, stilistiche e soprattutto per l’uso del web come strumento di creazione artistica collaborativa. Un movimento che ha avuto un primo momento di definizione in forma cartacea nel volume New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro (Einaudi Stile libero, 2009) che a cura del collettivo bolognese Wu Ming riportava il vasto dibattito svoltosi in rete sul ruolo della letteratura e dell’autorialità nell’epoca della rete. Un movimento letterario e non solo con una forte carica di critica sociale (soprattutto in nome del precariato intellettuale) e di cultura d’opposizione, con un chiara politicità quindi, non fondata però su appartenenze ideologiche rigide ma costruita sui principi della collaborazione e cooperazione, del libero accesso al sapere, della critica radicale alla cultura dominante. Principi, metodi di lavoro, autori e gruppi artistici e letterari che hanno trovato ampia ospitalità e ricavato impulso da riviste on line e siti come www.wumingfoundation.com , www.nazioneindiana.org o www.carmillaonline.com solo per citarne alcuni.

Usi didattici

L’originalità del metodo elaborato da Gregorio Magini e Vanni Santoni, liberamente consultabile in www.scritturacollettiva.org consiste anche nella sua adattabilità ai più vari contesti, compreso un possibile uso didattico, certo ancora agli inizi ma che a mio avviso con ovvie e necessarie modifiche potrebbe riservare interessanti sviluppi e applicazioni pratiche. E’ questo il caso ad esempio di “Dachau 16.3.2012” scritto collettivamente dalla Cl. IV H del Liceo artistico statale Matteo Olivieri di Brescia che partendo dai principi della condivisione anche sul piano artistico e creativo ha sperimentato un tipo di lavoro, legato alla visita all’omonimo campo, tendente a far partecipare tutti gli studenti della classe ad un progetto sentito davvero come “proprio”. In questo caso la scrittura saggistica ha prevalso sull’intento puramente narrativo e il testo collettivo si chiude infatti con una essenziale bibliografia e sitografia utilizzata dalla classe. L’insegnante, nella veste di “direttore artistico” è intervenuta solo per la revisione linguistica del testo selezionato dagli editor, un gruppo di tre alunni che ha letto i testi (4-5) per ogni capitolo, assemblandone le parti più convincenti senza procedere inizialmente a riscritture. Per ognuno dei sette capitoli si è proceduto poi all’approvazione o alla modifica da parte degli autori. Il risultato sono stati sette capitoli, letti nella loro versione finale e infine approvati dall’intera comunità degli scrittori coincidente con l’intera classe. Un esperimento, quello del metodo SIC legato all’ambito scolastico e didattico, che Vanni Santoni e Gregorio Magini hanno intenzione di approfondire e divulgare anche nelle scuole a partire dal prossimo anno scolastico e che mi pare particolarmente degno di attenzione.

Paolo Mencarelli

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Il larger di San Sabba. Dall’occupazione nazista al processo di Trieste – MATTA (Nv)

MATTA, Tristano. Il larger di San Sabba. Dall’occupazione nazista al processo di Trieste. Trieste: BEIT, IRSML FVG, 2012. 64p. Resenha de: TODERO, Fabio. Novecento.org – Didattica dela storia in rete, n.1, dicembre, 2013.

La recente pubblicazione di alcuni testi, la realizzazione di video-documentari e di mostre – la più recente delle quali, ancora aperta, è dedicata al processo ai crimini della Risiera di San Sabba – suggeriscono come si sia diffuso un rinnovato interesse per il lager della Risera di San Sabba, interesse testimoniato anche da un ininterrotto flusso di visitatori.

Tale fenomeno va in parte ascritto anche al nuovo interesse manifestatosi per la cosiddetta «storia del confine orientale», frutto a sua volta dell’istituzione del Giorno del ricordo, ciò che ha fatto sì che assai spesso – se non addirittura di norma – la visita alla Foiba di Basovizza si accompagni a quella a un luogo di memoria come la Risiera. È evidente che tale approccio rischia di ingenerare confusione tra ordini di problemi diversi – benché sussistano evidentemente alcuni punti di contatto, a partire dalla cornice territoriale dei fatti cui si richiamano e dall’utilizzo della violenza –, mentre sullo sfondo rimane il nodo fondamentale di riuscire a mantenere alto il senso critico e il richiamo alla problematicità degli eventi. Oltre tutto, non è superfluo sottolineare come l’immagine di Trieste propria di molti visitatori – e in particolare di molti insegnanti, qui in visita di formazione o in viaggio con le proprie classi – sia spesso quella un po’ edulcorata della città mitteleuropea, cosmopolita, multietnica, una città di cultura da sempre caratterizzata da spirito di tolleranza e di accoglienza nei confronti delle sue numerose diversità e alterità; “scoprire” la Risiera svela invece un volto per lo più inatteso di queste terre, evidentemente ancora troppo poco noto: quello della città occupata ma anche amministrata dai nazisti; quello di un diffuso e assai volonteroso collaborazionismo (uso non casualmente questo aggettivo), un sistema ramificato sul quale si è soffermato anni addietro Galliano Fogar, cui il testo in oggetto è stato dedicato dall’autore. Una scelta, quest’ultima, non casuale che denuncia tra l’altro come questo lavoro sia animato da un profondo senso di impegno civile che Tristano Matta ha negli anni saputo declinare sia attraverso la sua attività di storico particolarmente rigoroso e puntuale, che attraverso quella di insegnante; due attività non disgiunte tra oro frutto delle quali fu, anni addietro, un importante volume dedicato ai luoghi della memoria (mi riferisco a Un percorso della memoria: guida ai luoghi della violenza nazista e fascista in Italia, a cura di Tristano Matta, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Electa, Trieste-Milano 1996). Scrive l’autore di questo suo Il Lager di San Sabba. Dall’occupazione nazista al processo di Trieste: «Il presente volumetto si propone di rispondere all’esigenza di fornire a questo sempre più numeroso pubblico [di visitatori; N.d.R.] – e più in generale di lettori – un nuovo strumento agile e sintetico che contribuisca ad inquadrare la storia del Lager triestino nel suo contesto, sia per quanto concerne il periodo del suo funzionamento durante l’occupazione nazista del Litorale Adriatico, sia per quanto attiene al tema […] del difficile percorso che la memoria di quella violenza ha seguito nel dopoguerra fino allo svolgimento del processo del 1976». (p. 3).

Il termine «volumetto» deriva evidentemente dalle dimensioni del testo, ma non intende ridurne l’importanza che a queste è invece inversamente proporzionale, Esso ospita due saggi, preceduti da una nota introduttiva dell’autore, ovvero L’occupazione nazista e l’istituzione del campo di detenzione di polizia di San Sabba a Trieste (1943-1945), già apparso in un volume collettaneo: Il nazista di Trieste. Vita e crimini di Odilo Globocnik, l’uomo che inventò Treblinka (Beit, Trieste 2011); Il difficile cammino della memoria e della giustizia (1946-1976), già apparso in C. Di Sante, I campi di concentramento in Italia (F. Angeli, Milano 2001). Rigore storiografico e intento divulgativo sono in effetti la cifra di questo lavoro che ne fanno, tra l’altro, un utile strumento didattico a disposizione di insegnanti che troppo spesso delegano lo svolgimento di un tema, magari esaurendolo in un incontro, una visita appunto, l’estemporanea proiezione di qualche film, dimenticando che una didattica efficace si basa sulla costruzione di robusti percorsi, e innanzitutto sulla preparazione dell’insegnante stesso sui nodi fondamentali della storia novecentesca, se guardiamo al caso in questione.

Di qui, allora, l’utilità di un lavoro come questo che offre a insegnanti e visitatori, nonché appassionati e curiosi di storia, un quadro tanto agile quanto esauriente delle vicende relative all’OZAK, alla Risiera di San Sabba, alla memoria difficile del Campo e del biennio 1943-1945, nonché infine all’importante processo di Trieste, tanto più importante perché anche qui si ebbe – su scala locale – un fenomeno analogo a quello descritto da Annette Viewiorka in L’era del testimone, con un’esplosione di testimonianze che furono tanto utili sul piano giudiziario (al di là dell’esito limitato di quel processo) quanto fondamentale in sede di ricostruzione storiografica.

Fabio Todero

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Novecento | INPP | 1999

Novecento I sommersi e i salvati

La prima uscita della rivista Novecento.org – Didattica dela storia in rete è del dicembre 2013, ma la sua storia risale al 1999 quando Antonino Criscione ha l’intuizione di affiancare a Italia contemporanea – storica rivista dell’Istituto Nazionale – uno strumento telematico. Si trattava di pensare a un modo diverso: «[…] di progettare e definire il rapporto con il «pubblico» e gli interlocutori del proprio lavoro di documentazione, ricerca, divulgazione storica […]. Il sito web è […] una presenza nuova […] non codificata […] che rappresenta già oggi un ambito di «uso pubblico» della storia» (A. Criscione, 2006).

È un’idea culturale definita e innovativa che si apre allo scenario da “frontiera inesplorata” che caratterizza il web e la digital history tra la fine degli anni Novanta e il Duemila. Il sottotitolo di allora – “Storie contemporanee. Didattica in cantiere” – sottolinea la centralità della didattica della storia nell’ambito delle attività dell’Istituto nazionale e della sua rete.

Dopo la morte di Criscione il progetto resta in cantiere per riemergere quando, nel 2012, la dirigenza dell’Istituto si pone l’obiettivo di dare rilievo al lavoro di rete delle sezioni didattiche degli istituti locali, soprattutto nella logica di incentivare momenti di lavoro comune.

Non a caso è proprio in occasione dell’organizzazione della prima Summer School nazionale di formazione docenti – diretta da Antonio Brusa affiancato da un gruppo di lavoro di docenti in distacco dal MIUR e dalla commissione scientifica dell’Istituto nazionale – a farsi strada l’idea di riaprire la rivista, nella quale far confluire i materiali prodotti dalle sezioni didattiche e dare loro maggiore visibilità e diffusione. La centralità degli strumenti informatici per diffondere idee, riflessioni, materiali, notizie è diventata, nel frattempo, una risorsa imprescindibile.

È un grande successo, testimoniato dal numero sempre crescente di lettori e di documenti scaricati per la consultazione.

La rivista, diretta fino al 2018 da Antonio Brusa, è stata in seguito affidata a un team di direzione costituto da Annalisa Cegna, Carla Marcellini e Flavio Febbraro che purtroppo è scomparso in modo tragico e improvviso nel luglio del 2019. Oggi Novecento.org è diretta da Agnese Portincasa coadiuvata dai vicedirettori Carla Marcellini e Enrico Pagano.

[Periodização quadrimestral]

[Acesso livre]

ISSN 2283-6837

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