Gênero e consumo no espaço doméstico: representações na mídia durante o século XX na Argentina e no Brasil | Inés Pérez Marinês Ribeiro dos Santos

Gênero e consumo no espaço doméstico: representações na mídia durante o século XX na Argentina e no Brasil é o título do livro organizado por Inés Pérez e Marinês Ribeiro dos Santos a partir de artigos apresentados no 10º Seminário Internacional Fazendo Gênero (2013). A publicação tem como objetivo analisar, por meio dos artefatos, práticas e difusão do consumo, a construção de noções de feminilidades e masculinidades que incidem sobre a divisão sexuada do trabalho, a organização, a concepção e a ocupação do espaço habitado.

Temas afins foram pesquisados pelas organizadoras em suas teses de doutorado a partir dos campos da história da família e do design e da perspectiva de gênero. Enquanto Pérez (2012) analisou as transformações nas estruturas familiares na Argentina dos anos 1940 e 1970 em relação às dinâmicas de gênero e ao processo de industrialização da vida doméstica, Santos (2015) investigou as relações entre as transformações de gênero no Brasil dos anos 1960 e 1970 e a assimilação da linguagem pop no design de produtos. No desenvolvimento das pesquisas foi ficando clara a centralidade do consumo para a compreensão da modernidade, uma vez que a estruturação de um mercado diversificado de artefatos produzidos em massa foi acompanhada por discursos que contribuíram para a estratificação das vendas e a desigualdade de aquisição por gênero, classe e raça, incidindo nos ambientes urbano e doméstico, este último alvo privilegiado da produção industrial no período. Leia Mais

Culture del consumo – CAPUZZO (BC)

CAPUZZO, Paolo. Culture del consumo. Bologna: Il Mulino, 2006. 334p. Resenha de: TIAZZOLDI, Livia. Il Bollettino di Clio, n.11/12, p.179-183, giu./nov., 2019.

Paolo Capuzzo, docente di storia contemporanea presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà  dell’Università di Bologna, ricostruisce in questo libro la nascita, lo sviluppo della società dei consumi e le modificazioni culturali che ne accompagnano l’espansione in Europa tra il Seicento e l’inizio del Novecento. L’esperienza europea è collocata all’interno del processo che dalle prime conquiste coloniali ha portato alla formazione dell’economia mondiale.

Si mettono a fuoco da un lato la progressiva acquisizione di forza politico-economica della società europea, in particolare di quella dell’Europa urbana del Nord, dall’altro la sua capacità di democratizzarsi, nel momento in cui le classi subalterne si appropriano di beni inizialmente appartenenti alla sfera del lusso.

Il libro è suddiviso in 5 capitoli preceduti da un’Introduzione nella quale vengono delineate le linee di forza dell’intero percorso e le tematiche centrali:  • il rapporto tra consumi europei e commercio mondiale  • la dimensione etica del consumo  • la costruzione della sfera privata  • la regolazione dei rapporti di classe  • la costruzione di uno spazio pubblico del consumo   “Ricostruendo la storia della diffusione dello zucchero, del caffè, del tabacco, del tè, della cioccolata è possibile- scrive l’autore- mettere in evidenza i rapporti tra la domanda europea, la conquista di basi e monopoli commerciali, l’organizzazione della produzione di questi beni.

La diffusione delle nuove bevande mostra poi come, una volta approdate nei grandi porti commerciali europei, queste merci subissero un variegato processo di appropriazione da parte dei consumatori […]. Le nuove culture del consumo che si costruiscono in Europa attraverso queste bevande non sono, insomma, un epifenomeno dell’espansione coloniale, ma rispondono a un processo di produzione della quotidianità, nella quale agiscono soggetti che si appropriano di tali risorse.” (p. 10).

Nel momento in cui la ricchezza e il potere non derivano più dall’appartenenza ad un ceto sociale, ma dal successo del mercato sono i modi del consumo a decidere dell’inclusione o dell’esclusione da una determinata cerchia sociale.

Il lusso si popolarizza sovvertendo le tradizionali gerarchie sociali. E’ dunque evidente il legame tra la diffusione dei liberi consumi e il progresso della democrazia.

I processi di consumo appartengono ad una sfera dotata di autonomia, ma sono in stretta relazione con la definizione delle identità, con la costruzione dei rapporti sociali e di genere.

Il consumatore non è visto come un terminale passivo di un processo di manipolazione dei suoi desideri, ma come individuo capace di attribuire un significato al consumo, pur all’interno di un habitus, cioè di un insieme di principi legati all’estrazione sociale e interiorizzati fin dall’infanzia che ne orientano l’azione attribuendo un determinato valore alle cose.

Tale habitus viene progressivamente messo in crisi dal processo di commercializzazione, dalla logica del profitto, che utilizza la moda e la pubblicità come criterio di valore di una merce.

“La forza semiotica della commercializzazione contemporanea, scrive ancora l’autore, è certamente un carattere inedito nella creazione dell’immaginario, cosa che distingue la nostra società da quelle precedenti […] tuttavia i consumatori continuano a far udire la loro presenza […]”. (p. 15 ).

Ciascuno dei cinque capitoli in cui si articola il volume offre una sintesi ragionata degli studi prodotti dalla storiografia internazionale sui vari temi, corredata da un’ampia bibliografia.

Capitolo 1. Consumi europei e globalizzazione del commercio tra XVII e XVIII secolo

Si analizza in queste pagine l’espansione del commercio europeo all’inizio dell’Età moderna, la nascita di una prima globalizzazione collegata al colonialismo e ad una grande disponibilità di risorse materiali.

Si sottolinea il fatto che gli sviluppi e il rinnovamento dei consumi in Europa sono intimamente connessi ad un nuovo assetto del potere mondiale ottenuto con la disponibilità finanziaria, la superiorità tecnologica, con la forza delle armi e con la deportazione della manodopera africana impegnata nelle miniere di metalli preziosi e nelle piantagioni americane.

Le colonie sono luogo da cui prelevare materie prime come zucchero, caffè, legname, tabacco, cotone da trasformare e rivendere poi come prodotti finiti a prezzi ben più alti.

Sulle tavole europee arrivano nuovi prodotti (patate, pomodori, cacao, fagioli, frutta tropicale, mais, zucche) inizialmente utilizzati solo dalle classi sociali più alte, ma accessibili poi anche ad altre classi sociali, quando la produzione col sistema delle piantagioni e la commercializzazione su larga scala ne abbassano i prezzi.

Caffè, tè e tabacco (il primo dei prodotti esotici ad essere consumato dalle masse) vengono subito apprezzati per la loro capacità di garantire lucidità, al contrario del vino.

Il consumo di questi prodotti si associa anche a una specifica ritualità praticata in nuovi spazi pubblici come le coffee e le tea houses, fattori formidabili di “sociabilità”, o nelle case private, nell’ambito di un mondo soprattutto femminile.

I primi locali detti caffè, dal nome della bevanda che vi si consumava, nascono a Venezia alla metà del Seicento e diventano di moda nel secolo successivo in tutte le grandi città europee. Sono frequentati da un’ élite di uomini d’affari che leggono i giornali, discutono di politica. Vi si aggiungono poi artisti e scrittori.

Capitolo 2. Lusso, moda e ordine sociale tra XVIII e XIX secolo

Il capitolo è dedicato nella prima parte ad una riflessione sul lusso, alla sua funzione nella società di corte, in particolare quella francese, e alla sua progressiva “popolarizzazione”.

Nelle società di corte il consumo designa un modello particolare di sociabilità, quello dei cortigiani e delle cortigiane, che si afferma poi come modello anche nelle grandi città europee come Parigi, la capitale del gusto, soprattutto per le donne che frequentano i salotti dell’alta società. Quello dell’apparire, grazie all’uso di cosmetici, gioielli, abiti eleganti, diventa un valore sempre più ricercato dai nuovi ricchi, da esibire sia nella sfera privata che in quella pubblica dei teatri, delle sale da musica, dei ristoranti.

Nei contesti cittadini è lo stile del consumo a decretare l’inclusione o l’esclusione da una certa schiera di persone. La ricchezza derivante dal mercato ha sostituito la nobiltà di nascita nella costruzione della posizione sociale e pubblica, soppiantando anche qualunque codice etico nell’accumulazione del reddito.

Nasce in questi anni la categoria di “povertà” dove la miseria materiale è strettamente connessa a quella morale.

La questione dell’apparire contrapposto all’essere è al centro di molti dibattiti nel Settecento: c’è chi critica il lusso in nome di un ideale di uguaglianza sociale, chi lo considera un’opportunità per scardinare un rigido ordinamento sociale.

Molti autori concordano sul fatto che la grandezza delle nazioni si fonda sul lusso, sulla forza economica, non sulle virtù dei cittadini: è impossibile controllare e organizzare una società in base a dei valori condivisi che restano appannaggio della sfera privata.

Il dibattito proseguirà nei secoli successivi accanto al filone della critica moralistica del lusso considerato responsabile della decadenza culturale.

La seconda parte del capitolo affronta la questione della moda come nuova dimensione del consumo a partire dalla fine del Settecento. L’ostentazione del lusso cede il passo alla sobrietà, alla scelta di un abbigliamento regolato da specifici galatei, diversificato in base all’età, alle differenze di genere e ai vari contesti.

La diffusione della moda è legata agli spazi urbani delle città, alle vetrine dei negozi, alle illustrazioni colorate e alla pubblicità sui giornali.

Essere bella, elegante, consona alle varie situazioni sociali è una precisa missione sociale per la donna borghese dell’Ottocento: è occasione di legittimazione sociale e anche indiretta dimostrazione del successo economico maschile.

Le classi sociali inferiori subiscono il fascino della moda e sono spinte a imitare quelle superiori che, dal canto loro, cambiano spesso abbigliamento per mantenere la distinzione.

Si innesca così un meccanismo di continua emulazione. Lo sviluppo della moda in Inghilterra alla fine del Settecento può essere considerato come una delle cause della rivoluzione industriale favorita anche dall’importazione del cotone, usato per produrre tessuti meno costosi.

Nel corso dell’Ottocento la produzione del vestiario si diversifica in base a due segmenti di mercato: quella industriale di massa sia per i lavoratori delle grandi città che per le uniformi dell’esercito e quella dei laboratori di sartoria che, grazie all’uso delle macchine da cucire, confezionano abiti su misura per la clientela più ricca.

Il Novecento vede poi l’allargamento della classe media e la nascita dei grandi magazzini che propongono abiti colorati, in fibre sintetiche, standardizzati, ma anche diversificati in base alle varie esigenze della vita moderna.

Capitoli 3 e 4. Culture del consumo delle classi medie e della classe operaia

Questa parte del libro è centrata sull’analisi e sul confronto fra queste due classi sociali in un periodo che va dal 1700 all’inizio del 1900.

Le descrizioni sono declinate al plurale tenendo conto delle variabili geografiche, delle trasformazioni nel corso del tempo, delle dinamiche di distinzione, conflitto, emulazione.

Della classe media si sottolinea l’importante funzione di separare lo spazio pubblico da quello domestico, luogo della convivenza familiare, al riparo dalla corruzione della città.

Le famiglie borghesi in Olanda e in Inghilterra hanno il compito di ricostruire una sfera morale che l’economia e la politica non sono in grado di proporre.

Il lavoro femminile si sposta all’interno della casa dove la moglie si dedica all’amministrazione, all’arredamento, alla cucina e alla cura dei figli lasciando al marito il compito di provvedere alle necessità economiche della famiglia.

La classe operaia valorizza molto meno la sfera privata della casa, dove molte donne non possono inizialmente svolgere un ruolo simile a quelle della borghesia. Sono spesso costrette a lavorare in fabbrica assieme ai mariti e ai figli, con i quali condividono anche momenti di tempo libero fuori casa: in spazi pubblici, pub e taverne, luoghi di consumo di alcol, gioco e scommesse.

Le tipologie abitative delle due classi sociali sono ampiamente descritte e messe a confronto per quanto riguarda il numero di stanze, l’arredamento, le spese destinate ai consumi domestici.

Tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento la classe media, fatta di commercianti, imprenditori, professionisti e funzionari statali, assume un ruolo sempre più importante nell’Europa nord-occidentale dove si affermano il capitalismo industriale e lo stato moderno.

Il processo di privatizzazione dello spazio abitativo diventa uno dei principi che regolano i consumi nel XX° secolo per quanto riguarda la tipologia delle case e l’arredamento: nasce l’industria di massa del mobile e dei beni durevoli.

La separazione fra spazio privato e pubblico è alla base anche dell’edilizia seriale del Novecento, secolo nel quale gli stili di consumo della classe operaia cominciano ad avvicinarsi a quelli della classe media.

La riduzione dei tempi di lavoro nelle fabbriche lascia spazio a partire dalla fine dell’Ottocento a momenti di divertimento: il gioco del calcio, le vacanze, favorite anche dai mezzi pubblici di trasporto come ferrovie e tram.

La Grande Guerra rappresenta un ulteriore momento di profonda trasformazione della società europea per quanto riguarda la massificazione degli stili di vita, trasformazione che si compie pienamente negli anni Cinquanta dello stesso secolo.

L’industria della cultura di massa è fondamentale nel Novecento: è strumento per regolare il tempo libero, ma anche terreno di eversione identitaria.

Capitolo 5. Lo spazio pubblico del consumo: geografia urbana e reincanto del mondo

Si affronta il tema del consumo come forma di evasione dalla quotidianità, momento da vivere in grandi città quali Londra e Parigi, negli spazi che allestiscono lo spettacolo delle merci dove è possibile sognare ad occhi aperti.

L’autore sottolinea in particolare le trasformazioni della geografia urbana e dei flussi di traffico provocati dalla nascita dei grandi magazzini, strutture sviluppate su più piani, dotate di grandi vetrine e insegne luminose. Questi nuovi spazi pubblici del consumo sono frequentati soprattutto dalle donne della classe media, libere di muoversi anche non accompagnate dagli uomini.

Interessanti le osservazioni a proposito della nuova figura delle commesse che anticipano stili di vita femminili del Novecento.

La commercializzazione dei prodotti riceve un grande impulso nella seconda metà dell’Ottocento dalle grandi esposizioni di Londra, Vienna, Parigi che nel 1900 totalizza quasi 50 milioni di visitatori.

Livia Tiazzoldi

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Cena cosplay: comunicação, consumo, memória nas culturas juvenis – NUNES (RTA)

NUNES, Mônica Rebeca Ferrari (Org.). Cena cosplay: comunicação, consumo, memória nas culturas juvenis. Porto Alegre: Sulina, 2015. Resenha de: CUBA, Rosana da Silva. Revista Tempo e Argumento, Florianópolis, v.8, n.18, p.457-462, maio/abr., 2016.

O último Estado da Arte sobre a temática da(s) juventude(s) na produção da pós-graduação brasileira, nas áreas de Educação, Ciências Sociais e Serviço Social foi publicado em 2009 e coordenado por Marília Sposito. Na época, a autora celebra o aumento das pesquisas sobre as juventudes, mas ressalta a necessidade de abarcar os jovens em suas múltiplas inserções: para além dos seus itinerários formativos escolares é possível empreender investigações numa perspectiva mais transversal e compreender como se dão as sociabilidades juvenis na rua, em suas intersecções e atuações em grupos religiosos e família, enfim, abarcar os diversos aspectos que compõem a vida cotidiana juvenil. Neste sentido, o livro organizado por Mônica Rebecca Ferrari Nunes, intitulado “Cena Cosplay: comunicação, consumo, memórias nas culturas juvenis” contribui para enriquecer o mosaico das pesquisas sobre jovens ao conjugar, em diferentes espaços e tempos, as categorias empíricas para uma compreensão dos jovens e a sua inserção no espaço urbano nas grandes cidades do sudeste do Brasil.

Mônica Rebecca Ferrari Nunes é docente e pesquisadora do Programa de Pós-Graduação em Comunicação e Práticas de Consumo, da Escola Superior de Propaganda e Marketing (ESPM), na cidade de São Paulo. Sua área de atuação envolve as áreas de comunicação, nas interfaces de produção midiática, cultura do consumo, processos de memória e cenas da cultura contemporânea.

O livro, segundo a autora, é uma proposta de cartografia, ainda que incompleta, sobre a prática cosplay entendida na tríade prática comunicativa, cultura e consumo. O livro é resultado de trabalho desenvolvido em grupo de estudos (Grupo de Pesquisa, Comunicação, Consumo e Entretenimento) da ESPM e vinculado ao CNPQ, e é organizado em seis partes: Cosplayers e poetas; Percepção, cognição e pertencimento; Moda e estilo urbano; Matérias sonoras; Games e colecionismo; Flânerie. Os textos que compõem a obra são de pesquisadores vinculados ao Grupo de Pesquisa e situados em diversos percursos acadêmicos, desde mestrandos a pós-doutores, imbuídos de um olhar comum: entender as relações dos jovens do Sudeste do Brasil com o cosplay, suas escolhas pelas representações, a relação com o consumo e a memória que se deseja construir.

A primeira parte é composta por dois trabalhos, de autoria da organizadora – Mônica Rebecca Ferrari Nunes – e de Marco Antônio Bin. Os dois textos versam sobre a compreensão da cena cosplay e da poesia marginal como formas de resistência ao cotidiano, materializadas em performances, sejam elas constituídas pelo prazer de encenar e pela captura dos ídolos para se fazerem ver e ouvir – caso dos cosplayers – ou pela ruptura com as mídias tradicionais e busca de uma visibilidade coletiva – caso dos poetas marginais. Os dois textos denotam para a necessidade de uma compreensão do cosplay juvenil como uma manifestação processual e cultural híbrida, entrelaçando formas de sociabilidades e constituição de identidades e fugindo de um olhar maniqueísta, segundo o qual os jovens cosplayers seriam meros consumidores e/ou reprodutores de ídolos midiáticos.

A segunda parte apresenta dois trabalhos que buscam se debruçar sobre as escolhas dos jovens que desejam e optam por serem cosplayers e a consciência que têm de si mesmos e de seus corpos. Ana Maria Guimarães Jorge e Gabriel Theodoro Soares assinalam o quanto o cosplay deve ser como interpretado não só como prática social, mas também como manifestação social, na medida em que o processo de constituição das identidades na contemporaneidade é marcado pela liquidez (Bauman, 2004). Assim o cosplay é uma possibilidade de constituir grupos para compartilhar vivências e, ainda, escolher representar um personagem que corresponda a determinados valores e significados com os quais há afinidade. Os dois textos constatam a relação entre o cosplay e a busca por um sentido à vida, numa espécie de jogo que propicia um tipo de fuga à vida cotidiana e promove o encontro consigo mesmo e com os seus pares. Essa fuga, contudo, não seria simplesmente fugir à ordem social vivida, mas a construção de outro espaço-tempo com uma ordem própria e condições de pertencimento.

A terceira parte compõe-se de dois textos que tratam sobre moda e sobre como o estilo cosplay influencia e se expande para outros campos. O texto de Tatiana Amendola Sanches aponta vários exemplos de apropriação, por parte de grandes marcas, de estratégias similares aos cosplayers, com modelos vestidos de determinados personagens. Michiko Okano, por sua vez, apresenta as características da “Lolita”, prática que é definida pelos participantes muito mais como um estilo de vida do que como uma subcultura ou cosplayers, seja no Japão ou no Brasil. São analisadas as particularidades e o que há de comum em Lolitas nos dois países e salienta-se que há processos ambíguos que conjugam espetacularização, contestação e a procura de lugar e identificação em uma sociedade que se mostra hostil. As autoras destacam a articulação de consumo e ludicidade que parece constituir-se numa resistência ao mundo adulto e moderno desencantado.

A quarta parte, intitulada Matérias sonoras traz as contribuições de Luiz Fukushiro e Heloísa de Araújo Duarte Valente, em texto que discute a presença da música no universo cosplay: muitos dos cosplayers, ao se apresentarem, adquirem, não apenas as vestimentas, mas, também, as vozes dos seus personagens. Além das vozes, a música constitui-se num elemento chave dos eventos cosplay, e, embora o mercado, de forma geral, não aceite o j-pop (uma apropriação japonesa do pop do Ocidente), ele é abarcado pelos cosplayers. Vera da Cunha Pasqualin, no texto seguinte, destaca o quanto é importante atentar-se para as onomatopéias maciçamente presentes nos mangás e tão importantes quanto as imagens para a compreensão do texto. A autora também analisa as performances de “vocaloides”: pessoas que utilizam um programa para computadores denominado Vocaloid, com vozes gravadas e que podem ser recombinadas, para se apresentarem e cantarem em uma língua que não conseguiriam falar, por exemplo.

A penúltima parte é formada pelos textos de Davi Naraya Basto de Sá e Wagner Alexandre Silva, em torno da temática dos games e do colecionismo. Sá analisa o quanto os games redefinem a memória da mitologia, atualizando estereótipos em um processo constante de reedição. O autor também faz referência à constituição identitária daqueles cosplayers que escolhem determinados personagens: as pessoas são aquilo que desejam consumir. Silva irá mostrar como o colecionismo ligado aos cosplayers difere, em certa medida, da tradição das coleções já estudada pelo filósofo Benjamin. A aquisição dos objetos ocorre também por seus usos e aproximações com determinado personagem, pavimentando a relação de transição de cosplayer a colecionador, relação esta que pode tornar-se mais estreita quando se aumentam os cosplayers que se deseja assumir.

A sexta parte, Flânerie, propõe um passeio por fotografias feitas pelos pesquisadores ao longo de suas pesquisas.

O livro pode ser comparado, imageticamente, a um caleidoscópio que fornece combinações diversificadas à luz do cosplay. Além de proporcionar um aprofundamento ao universo cosplay juvenil presente na região Sudeste do Brasil, contribui para pensar também nas metodologias para se estudar as juventudes. A organizadora cita, por exemplo, a experiência de ter entrevistado duas pessoas que fazem cosplayers via Facebook. Ainda, apresenta uma alternativa à Antropologia, área na qual não tem formação, combinando uma flanêrie e um “engajamento narrativo” com origem em Benjamin e, posteriormente, McLaren.

Por fim, a obra também contribui para debater o consumo na contemporaneidade e o quanto é preciso calibrar o olhar ao debruçar-se sobre a semiosfera cosplay: em tempos modernos – ou pós-modernos – já não é possível compreender as culturas juvenis e a sua relação com o consumo buscando uma motivação linear e unívoca. Temos sujeitos de habitus (Bourdieu) híbridos e, portanto, com identidades que se mesclam e metamorfoseiam, confundindo olhares mais aligeirados.

Referências

NUNES, Mônica Rebecca Ferrari (org.). Cena cosplay: comunicação, consumo, memória nas culturas juvenis. Porto Alegre: Sulina, 2015.

SPOSITO, Marilia Pontes (coord.) Estado da arte sobre juventude na pós-graduação brasileira: educação, ciências sociais e serviço social (1999-2006), volume 1. Belo Horizonte, MG: Argvmentvm, 2009.

Rosana da Silva Cuba – Doutoranda no Programa de Pós-Graduação em Educação da Universidade Federal de Santa Catarina. Brasil. E-mail: [email protected]

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Resíduos sólidos e responsabilidade civil pós-consumo / Patrícia F. I. Lemos

Trata a obra acerca da destinação dos resíduos sólidos e as res­pectivas responsabilidades pós-consumo.  A autora levanta o questionamento sobre o que fazer com os resíduos não aproveitáveis, gerados após o consumo. A per­gunta, aliada às questões atinentes à sustentabilidade, embora afeta às ciências da natureza, tem repercussões de imensa relevância para o es­tudioso do direito, principalmente no caso do Brasil que ainda está se desenvolvendo em uma política eficiente para a gestão dos resíduos só­lidos.

A obra faz ainda uma abordagem específica da responsabilidade civil em relação a geração dos mais diversos resíduos sólidos após o seu consumo e as questões que norteiam as políticas de sustentabilidade e da gestão de resíduos, tanto no âmbito federal quanto local.

Inicialmente no Capítulo I a autora utiliza o Código de Defesa do Consumidor como parâmetro para demonstrar que um dos objetos da Política Nacional das Relações de Consumo é o atendimento das necessi­dades dos consumidores e da melhoria da sua qualidade de vida, o qual, segundo ela, justificaria a satisfação das necessidades do ser humano como um ato social.  Ainda segundo a autora, na busca insaciável pelos desejos pessoais, sejam físicos ou culturais, o consumo acaba por apresentar reflexos que ultrapassam a pessoa do consumidor, uma vez que a elevação do consu­mo, por conseguinte, aumenta a produção dos resíduos, principalmente no meio urbano, no meio ambiente, na saúde pública e, em última análi­se, na própria qualidade de vida.

Partindo da premissa do elevado consumo e com o consequente aumento dos resíduos, a autora questiona quem vai responder pelos danos provocados por tais resíduos e quais os limites da responsabi­lização prevista na Lei da Política Nacional de Resíduos Sólidos (Lei 12.305/2010), bem como no ciclo de vida dos produtos.

É aí que entra a questão da responsabilidade pós-consumo e a im­portância do consumidor na sociedade moderna, pois segundo a Consti­tuição Federal, em seu artigo 225, todos têm direito a um meio ambiente ecologicamente equilibrado e o consumo desenfreado afetaria direta­mente esse pressuposto.

Nesse sentido a autora aborda a questão da entropia e padrões de consumo para justificar tamanho aumento, dividindo em entropia fi­siológica, resultante da interação do homem com o meio ambiente, e entropia patológica, relacionada com o atual estilo de vida de consumo excessivo, informando que esse seria um dos maiores problemas da atu­alidade.

A obra também trata dos princípios aplicáveis à tutela dos resídu­os, tais como a dignidade da pessoa humana, direito à vida, bem como dos essenciais à gestão dos resíduos sólidos, como o desenvolvimento sustentável, que é viabilizado pelo controle da produção e do consumo; informação e participação, que impõem o dever de preservação do meio ambiente ao Poder Público e à coletividade; poluidor-pagador; preven­ção, dentre outros.

No Capítulo II, a autora destaca os resíduos sólidos e suas classi­ficações, adentrando em algumas legislações atinentes à questão dos resíduos sólidos, falando da competência legislativa prevista na Cons­tituição Federal, em seu artigo 24, bem como fundamentado no mesmo artigo quanto à competência da União para instituir as normas gerais, estabelecendo uma estratégia e os princípios de uma Política Nacional de Resíduos Sólidos.

A autora também trata dos resíduos como bens socioambientais que, por sua importância para as presentes e futuras gerações, acabam por gerar responsabilidade do proprietário ou do possuidor, tanto nas condutas comissivas quanto omissivas, diferentemente do que acontecia no direito romano, quando havia a perda da propriedade via abandono.

Há ainda a abordagem da visão objetivista dos resíduos, o qual a autora adota, na qual os resíduos são quaisquer substâncias que o de­tentor tem intenção de se desfazer, independentemente de que sua des­tinação seja a valorização ou a eliminação, trazendo à baila a questão da logística reversa, com previsão na Lei da Política Nacional de Resíduos Sólidos, que viabilizaria o manejo dos resíduos sólidos e o retorno dos produtos pós-consumo.

Após, a autora faz a evolução legislativa de resíduos regulamenta­dos, informando que já atento às modificações do meio ambiente decor­rentes do descarte do denominado “lixo social”, o legislador, no ano de 1975, iniciou a criação de mecanismos para tentar impedir ou atenuar a poluição provocada por atividades industriais e materiais tóxicos sem destinação adequada após o consumo.

Corroborando a supracitada afirmação, houve diversas normas que fizeram as abordagens dos resíduos, já na tentativa de se precaver para o futuro, dentre as quais se destacam a Lei 7.802/79, que trata dos agrotóxicos, a Lei 6.803/80, que traça as diretrizes para o zoneamento industrial, a Lei 6.938/81 (Lei da Política Nacional do Meio Ambiente), que tem por objetivo a preservação, melhoria e recuperação da qualida­de ambiental propícia à vida e as diversas Resoluções do CONAMA que até hoje servem de parâmetro legal.

No Capítulo III, que é o foco do livro, a autora adentra na questão da responsabilidade civil pós-consumo, desde as premissas teóricas, dentre os quais o nexo de causalidade, os respectivos danos e algumas espécies de responsabilidades.

Segundo a autora, a responsabilidade civil é fonte das obrigações de extrema relevância, estendendo seus efeitos sobre as relações obri­gacionais, sejam elas contratuais, decorrentes do descumprimento dos deveres relativos próprios das obrigações, ou extracontratuais, que de­correm da violação dos deveres gerais de abstenção, omissão ou não ingerência que correspondem aos direitos absolutos.

A autora ainda destaca o nexo causal, desde o dano causado “cor­pore et corpori” à sua presunção, fixando ainda o nexo como elemento central da responsabilidade civil contemporânea, flexibilizados a servi­ço da prevenção e também como instrumento de proteção do indivíduo e seu meio.

Complementa ela que a ideia de uma responsabilidade preventiva não é nova, mas tem visto no desenvolvimento do nexo causal precioso fator de expansão, ao repousar as suas bases não mais em uma relação direta entre dano e agente, mas também na relação entre o dano e a po­tencialidade do agente de evitá-lo.

Tal função preventiva da responsabilidade civil, tão cara à proble­mática do pós-consumo, é, talvez, a mais representativa de uma flexi­bilização do nexo causal, em face da incapacidade da lógica natural de fornecer proteção a bens jurídicos tutelados por nosso ordenamento.

Por fim, a autora aponta o que chama de responsabilidade pós-con­sumo (do berço ao túmulo), destacando a importância dos gestores con­forme previsão expressa na Lei da Política Nacional de Resíduos Sólidos (Lei n. 12.305/2010).

Segundo ela, em matéria de pós-consumo, o ponto nodal é a res­ponsabilidade pelo ciclo de vida do produto: “do berço ao túmulo”. As­sim tal responsabilidade se dá na “série de etapas que envolvem o de­senvolvimento do produto, a obtenção de matérias-primas e insumos, o processo produtivo, o consumo e a disposição final” (art. 3º, IV, PNRS).

A autora ainda expõe sobre a atuação do Poder Público que consi­dera fundamental na sistemática do pós-consumo, dividindo-a em com­petências legislativas, para elaboração de planos de resíduos sólidos nas esferas federal, estadual e municipal, estabelecimento de padrões de qualidade ambiental, dentre outros; e material, com a utilização do Sistema Nacional de Informações sobre o Meio Ambiente (SINIMA), de forma a viabilizar a correta destinação de resíduos e disposição de rejei­tos; monitoramento e fiscalização ambiental, sanitária e agropecuária, dentre outros.

Há ainda a previsão de responsabilidade subsidiária do Poder Pú­blico, nos termos do artigo 29 da Lei n. 12.305/2010, de forma a mi­nimizar ou fazer cessar o dano quando tome conhecimento de evento relacionado ao gerenciamento de resíduos sólidos, lesivo ao meio am­biente ou à saúde pública, o qual a autora criticou o dispositivo legal, fundamentando que tal disposição enfraquece a sistemática da proteção integral e de responsabilidade compartilhada.

Por fim, a autora reitera a questão da logística reversa, que tem como fundamento a responsabilidade compartilhada pelo ciclo de vida do produto, devendo ser entendida como um processo de planejamento, implementação e controle do fluxo efetivo e eficiente de matérias-pri­mas, do inventário em curso, bem como dos bens acabados e da infor­mação relacionada, desde o ponto de consumo até o de origem, tendo como propósito a recuperação de valor ou promoção até a sua disposi­ção final ambientalmente adequada.

Portanto, denota-se claramente pela obra e do atual momento em que todos vivem na sociedade contemporânea que com o crescimento das necessidades, básicas ou socialmente induzidas e a correspondente promoção do consumo geraram o aumento de resíduos, principalmente no meio urbano, com repercussões em toda a coletividade, com enfoque no meio ambiente e na saúde pública, o que afeta diretamente o padrão e qualidade de vida de todos.

A autora ressalta que se fazem necessárias atuações de caráter pre­ventivo, tais como educação ambiental, conscientização da população e a correta aplicação da questão envolvendo a responsabilidade civil para assegurar uma existência digna da sociedade como um todo, sempre respeitando a natureza e adotando padrões sustentáveis entre consumo e produção.

Assim, a responsabilidade pós-consumo está diretamente envolvi­da nas atividades econômicas, pois serve como instrumento de concilia­ção entre desenvolvimento e preservação ambiental e também não pode ser um empecilho para que não se possa promover o regular desenvol­vimento do país ou da localidade em que haja produção de resíduos só­lidos.

Conclui-se, portanto, que se faz necessária uma integração dos gestores de resíduos sólidos, nos termos estabelecidos na Lei n. 12.305/2010, para dar a adequada destinação ambiental dos mais di­versos resíduos existentes no pós-consumo, cada qual nos limites em que possa atuar, mas sempre cobrando e fiscalizando de todos e visando o futuro ambientalmente saudável.

Bruno César Andrade Costa – Mestrando em Desenvolvimento Regional da Amazônia (UFRR). Especialista em Direito Ambiental (FACINTER). Advogado na Seccional de Roraima (OAB/RR). Grad­uado em Direito (Faculdade Cathedral de Ensino Superior).

LEMOS, Patrícia Faga Iglesias. Resíduos sólidos e responsabilidade civil pós-consumo. 3. ed. São Paulo: Revista dos Tribunais, 2014. Resenha de: COSTA, Bruno César Andrade. Responsabilidade civil pós-consumo. Examãpaku – Revista Eletrônica de Ciências Sociais, História e Relações Internacionais, Roraima, v.8, n.3, 2015. Acessar publicação original. [IF]

Sujeitos e objetos do sucesso: antropologia do Brasil emergente – LIMA (CP)

LIMA, Diana N. O. Sujeitos e objetos do sucesso: antropologia do Brasil emergente. Rio de Janeiro, Garamond, 2008, 242p. Resenha de: POLAZ, Karen. Sujeitos e objetos do sucesso: antropologia do Brasil emergente. Cadernos Pagu, Campinas, n. 35, Dez. 2010.

O emergente é hoje um símbolo do sucesso. Não
importa de onde você veio – de Cascadura ou de
Bonsucesso, importa onde você está. Não adianta vir
da Suíça e ir sabe Deus aonde – melhor nem citar o
nome do lugar. O importante é estar bem com seu
sucesso. Os conceitos sobre emergência mudaram
muito. O importante agora é ser qualificado como
‘produtivo’, seja você tradicional ou emergente. Se
você é tradicional e não produz, não será nada. Da
mesma forma, se você é emergente, não pode parar
de emergir!

A citação acima, proferida por Vera Loyola (p.25) ou a “primeira-dama da Sociedade Emergente da Barra da Tijuca”, contém os elementos que sintetizam e lançam luz sobre as questões que despertaram o interesse de Diana Lima em estudar esses novos segmentos da “elite” do Rio de Janeiro, os “emergentes” da Barra que, através do enriquecimento advindo de investimentos na esfera mercantil, vêm consolidando uma identidade própria e fincando novos critérios classificatórios na sociedade brasileira. Com esse estudo de caso, a autora busca evidenciar representações mais gerais sobre a estrutura social do país.

Em Sujeitos e Objetos do Sucesso, livro integrante da Coleção Cultura e Economia da Editora Garamond, Lima foca sua atenção no consumo de bens e serviços por esses ditos “emergentes” da Barra e, principalmente, no que se diz sobre esse consumo, observando os discursos perpetrados com frequência e insistência cotidiana no jornalismo social entre 1994 e 2000. Essas falas, “fofocas”, comentários, produzidos a partir da mídia e difundidos para além da sociedade carioca, conformaram um fato social particular e, portanto, um objeto de grande importância interpretativa para a autora.

Lima observou que os “emergentes”, em plena ascensão social e econômica, triunfavam nos espaços menos “sérios” da mídia como indivíduos de sucesso, enquanto a “classe média” aparecia como um segmento prejudicado pela comentada “crise econômica” da década de 80, perante o boom de consumo iniciado em 1980 e estendido pelos anos 90. As trajetórias de “sucesso” dos “emergentes” eram vistas, por esse tipo de mídia, como decorrência do trabalho árduo e braçal em seus negócios originalmente de pequeno porte. Esses indivíduos gozavam, portanto, de uma posição tida como “vitoriosa” na sociedade brasileira e correspondiam às expectativas de um país que, finalmente, rumava para um lugar de glória no capitalismo mundial.

A “abertura dos mercados” na década de 1990, característica de um momento recente de transição na história político-econômica do Brasil, quando a economia se voltava para a competitividade, permitiu o pujante enriquecimento de alguns estratos sociais. Nesse quadro, segundo Lima, o jornalismo social pôde criar e articular todo um sistema discursivo, a partir de notícias e imagens, que associa indivíduos com trajetórias de “sucesso” ao consumo de bens de alto custo, valorizando o binômio trabalho árduo/êxito material e sustentando, simbolicamente, tal recurso classificatório.

Ao abordar o consumo pela via antropológica, Lima inscreve seu trabalho na perspectiva iniciada por Douglas e Isherwood (1979) de construir uma ponte entre Antropologia e Economia. Foi mais precisamente a partir desse clássico que a antropologia do consumo pôde reunir contribuições importantes e expandir o debate de maneira a tentar suprimir os preconceitos e intolerâncias históricas quanto ao consumo nas análises científicas. Para Lima, até o final da década de 1970, os estudos sobre consumo realizados pelas ciências sociais produziam discursos enraizados em pressupostos e verdades bastante conformes às falas de algumas colunas sociais e do senso comum de forma geral.

No primeiro capítulo, ao discutir o sub-tema “Os objetos na vida social”, Lima traz para a análise Os argonautas do Pacífico ocidental (1922), de Malinowski, e o Ensaio sobre a dádiva (1924), de Marcel Mauss, obra de grande influência para O mundo dos bens. Num momento inspirador do livro, a autora segue relacionando, a partir da noção de “sistemas de troca”, o “kula”, o “potlatch” e o consumo moderno, para assim poder analisar a notícia de uma festa de 1994, em que o colunismo social “diagnostica” certa “disputa” pelo posto de “elite” no interior da sociedade carioca. Lima demonstra que o texto dessa notícia descreve um “potlatch”, “um verdadeiro ritual de dispêndio por parte desses sujeitos sociais que desejariam o posto de ‘nova elite'” (p.74).

Nessa notícia, os objetos estão presentes como “marcadores públicos de categorias sociais”, no sentido cunhado por Douglas e Isherwood. Para os autores, e Lima inscreve sua análise nessa perspectiva, os bens em si são completamente arbitrários, ou seja, não é inteligível separar os objetos uns dos outros para observação. É preciso, antes, percebê-los como partes de um sistema de significação, cujo sentido social apenas se dá na relação entre eles. Do mesmo modo, não se pode explicar o consumo sem entender os padrões de cultura e de usos dos bens, usos estes que estão informando o conjunto de valores vigentes na sociedade. Se os bens não podem ser tomados isoladamente, torna-se incoerente, para a análise antropológica, a distinção entre necessidade e “luxo”, visto que a função essencial do consumo consiste na capacidade para dar sentido à vida coletiva. Os autores promovem, assim, uma espécie de “desmitificação” do “luxo” com intuito de abolir tal distinção.

Convencida de que o consumo é uma área de investigação antropológica legítima, para além das acusações de que sua categoria empírica é alvo, devido a seus usos materiais, a autora procurou compreender esse novo estrato social, os “emergentes”, percebendo-os como

uma fala saturada de valor e operada no interior dessa sociedade que, além de ter lido com voracidade sobre seu estilo de vida, incorporou as categorias do jornalismo social que o ocasionou para pensar sobre si, para viver transformações e, dependendo das circunstâncias e círculos, então, marcar alteridades e firmar identidades (p.52).

Sem perder de vista que os grupos sociais falam de si e entre si de acordo com o que consomem, Lima aponta a necessidade de capturar as preferências de consumo, contextualizá-las e interpretar os significados aí contidos. Explicita, outrossim, o intuito de registrar seu estudo no contexto das pesquisas etnográficas que atentam para a dialética entre sujeitos e objetos modernos.

Com limites, é possível comparar o Rio de Janeiro a Winston Parva, nome fictício de uma pequena comunidade da Inglaterra, estudada no final dos anos 1950 por Norbert Elias e John L. Scotson em Os Estabelecidos e os Outsiders, outra referência marcante no trabalho de Lima. Os autores procuraram compreender como um grupo de moradores se julgava imensamente superior a um outro grupo, já que não havia, entre eles, diferenças de nacionalidade, etnia, tipo de ocupação, nível educacional, classe social – em suma, não se diferenciavam em nada, apenas pelo tempo de residência no lugar. O grupo de moradores mais antigos via as novas famílias de maneira depreciativa, chegando a estigmatizá-las, a considerá-las de “menor valor humano”, fazendo, até certo ponto, com que os recentes moradores se sentissem, realmente, inferiores. O tempo mais longo de residência foi fundamental para a coesão grupal entre os estabelecidos e para a produção de uma identidade em comum, conhecida e compartilhada entre esses indivíduos, que se valiam da “fofoca” como um eficaz mecanismo de controle social.

Ao modo de Elias e Scotson, Lima também problematizou processos de classificação, hierarquização e discriminação social no Rio de Janeiro, a princípio, identificando, por meio do estudo do jornalismo social, “disputas” pela posição de “elite” entre “emergentes” e outros membros da classe alta carioca, os “tradicionais”. O termo criado pela mídia em 1994, a “Nova Sociedade Emergente” da Barra da Tijuca (“gente desconhecida, porém endinheirada“) vinha se contrapor à “Tradicional Sociedade Carioca” da Zona Sul, em franca decadência financeira, mas ainda percebida como a “bem-nascida”, detentora da “cultura legítima”, do “gosto”, da “elegância” e da “distinção” em termos bourdieusianos.

No decorrer do livro, Lima vai demonstrando, todavia, que essa oposição não se sustenta. A autora, carioca advinda da Zona Sul, pensava os “emergentes”, inicialmente, como um “outro” distante a ser descoberto, mas se surpreendeu ao perceber que sua própria rede de relações sociais e a de seus pesquisados partilhavam mais semelhanças do que diferenças. Sem sofrer nenhum “choque” ao longo do convívio no campo, o trabalho empírico sugeriu-lhe ir observando e comparando as “elites” da Zona Sul e da Zona Oeste, o “aqui” e o “ali”. A posição de pesquisadora em estado etnográfico num terreno e rede de relações sociais a ela familiares acabou por sujeitá-la a uma constante vigilância epistemológica.

Chama atenção a clareza com que Lima explicitou sua pesquisa de campo e sua preocupação invariável em praticar uma antropologia do consumo séria, desconstruindo, por meio da experiência in loco, quaisquer expectativas – até mesmo preconceitos – anteriores. Não por acaso, reconhece terem sido corriqueiras as falas, entre sujeitos das camadas médias e altas da Zona Sul, que incorporaram os discursos da mídia e olhavam os “emergentes” com desconfiança, mas cujas escolhas simbólicas não diferiam tanto daquelas realizadas por esses novos segmentos de “elite”. Em geral, muitos indivíduos têm consumido bens, inclusive “bens de luxo”, e frequentado, cada vez mais, clínicas de estética e academias de ginástica.

Se os “emergentes” eram vistos ora como “bem-sucedidos” ora com zombaria e deboche por seus (maus) usos materiais, Lima não sentiu, por parte deles, vergonha da própria origem ou desejo de se assemelhar à suposta “elite tradicional”. Da mesma maneira, não pareciam preocupados em se “distinguir” dos “tradicionais”, firmando critérios de “gosto” próprio. Sem negar as peculiaridades no interior de cada grupo, e não os homogeneizando, Lima observou certo exagero nas diferenças proclamadas pela mídia e difundidas pela sociedade carioca, pois não encontrou uma fronteira identitária nítida entre os emergentes e os estabelecidos. Aqui se torna evidente a importância da etnografia para a antropologia; ir a campo, conviver com os “nativos” e, no caso de Lima, ouvir diretamente os “emergentes”, e não apenas ouvir sobre os “emergentes”, de forma a abranger todos os discursos.

Principal expoente do glamour system brasileiro, a revista Caras, como bem observado por Lima, estampa tipos sociais que, independente de sua origem sociogeográfica e socioeconômica heterogênea, conquistaram, recentemente ou não, por meio de perseverança e trabalho duro e exaustivo, uma posição privilegiada na sociedade brasileira. São ilustrados, sempre sorridentes, em momentos de festas e comemorações, de lazer, em mansões cinematográficas, vestindo roupas caras, exibindo carros importados, ou seja, apresentando-se como sujeitos que obtiveram prestígio e status social. Ao serem assim retratados, em momentos de “glória” e em meio à coleção de conquistas materiais, seu “sucesso” é publicamente evidenciado e reconhecido. Desse modo, teria sido interessante que Lima, além de descrever as imagens das revistas, também as tivesse reproduzido em seu livro, visto que o sistema discursivo articulado por essa revista enfatiza a imagem do “sucesso” em detrimento do texto, além de se tratar de sujeitos nacionalmente conhecidos.

Talvez concentrados dentre os “emergentes”, os sinais de consumo conspícuo, tantas vezes alardeados pela mídia, resultavam antes de seu poder aquisitivo do que de sua ascensão social, “gosto” ou qualquer regime de valores que os especificariam. Isso fica claro a partir do início dos anos 2000, quando o jornalismo social começa a empregar outros termos que não a oposição “tradicionais”/”emergentes”, nomenclatura em vigência por 10 anos na mídia1, articulando em torno da noção de glamour a reunião de sujeitos “produtivos”, que reverenciam o dinheiro merecidamente conquistado. Na revista Caras, essas fronteiras identitárias entre os segmentos da “elite” se tornam, portanto, ainda mais obscuras, criando a impressão, no leitor, de que ela é uma só. Atenção particular deve ser dada ao quarto e último capítulo – “A emergência de um fenômeno brasileiro” –, no qual Lima procura desenvolver uma inteligibilidade mais ampla sobre a sociedade brasileira, pensando juntamente, e não poderia ser de outro modo, os dois momentos constitutivos da economia de mercado: produção e consumo.

Tão forte é o discurso que valoriza a “produtividade” que nem todos os pesquisados atribuíam a si mesmos o adjetivo de “emergentes”, por entenderem que são, antes, sujeitos com “trajetórias de sucesso”, e “sucesso” enquanto sinônimo de crescimento financeiro. A fala constante sobre seu empreendedorismo autônomo, seus “negócios”, seu “suor” e sua condição de “batalhadores” não está situada apenas na Barra e perpassa classes sociais. Mesmo em famílias pertencentes à “elite” por várias gerações, o dinheiro vem sendo o critério primordial para a escolha profissional e sua valorização constitui um fenômeno visto no Brasil inteiro.

Outro aspecto interessante e bem observado pela autora é que, em vez do cultivo de si (Bildung) como meio histórico de acesso à distinção, os “emergentes” consideram “sucesso” o retorno financeiro alcançado através de seu esforço e trabalho árduo, e que esse estilo de vida, no qual há valorização do acúmulo material, perpetua-se através das gerações. Assim, o capital cultural, dentre a “elite” brasileira, não tem sido a marca de distinção social por excelência, mas, sim, o êxito financeiro, conformando um fato socialmente produzido pela recente história do país. A sensibilidade estética, portanto, não pode ser um parâmetro nítido para diferenciar os segmentos dessa “elite” no Brasil, como aconteceu na França dos anos 1960 e 1970 estudada por Bourdieu.

Essa explicação e compreensão mais ampla do consumo em seu formato moderno na sociedade brasileira permitiu que Lima chegasse a seu argumento central: nesse processo de identificação social, em grande parte articulado e positivado pela própria mídia, existe um ethos que valoriza, simultaneamente, o trabalho árduo e o consumo conspícuo. A autora sugere que esse desejo por bens de alto custo, bens estes fabricados material e simbolicamente pelo capitalismo e tão característico dos “emergentes”, ultrapassa as fronteiras da Barra da Tijuca e pode ser verificado em diferentes meios sociais e são valorizados em toda parte. Ao positivar a equação trabalho + dinheiro = sucesso, a mídia privilegia os “vencedores” do mercado, sendo o ethos emergente um valor social consagrado pelo nosso tempo.

Uma crítica que considero pertinente ao trabalho de Lima diz respeito ao tratamento dado à questão de gênero, talvez insuficientemente abordada em sua explicação, ainda mais num estudo que busca, através de um caso particular, compreender aspectos mais amplos sobre a estrutura social do país. Embora não fosse o foco da pesquisa, a questão de gênero deveria ter sido constitutiva do próprio recorte feito pela autora, que chega a afirmar que o estereótipo do “emergente” é a mulher dita “perua”, que faz uso constante de recursos da medicina estética e consome bens de alto custo. No senso comum, as “peruas” estão associadas ao excesso, ao mau gosto e, mais importante para análise, à futilidade2, tendo em Vera Loyola um conhecido expoente.

Tomando a noção de gênero, não em uma dimensão empírica, mas como um recurso classificatório, acredito que repousa nas mulheres um eixo explicativo importante para o fenômeno discutido no livro, que contribuiria para refletir sobre o sentido e a implicação desse processo de classificação social que relaciona mais mulheres do que homens ao glamour system. A elas que se “incumbe a divulgação da imagem de bem sucedido, mais que a seus maridos” (p. 220), atuando, em grande parte, como “empresárias morais”, pois na maior parte do tempo seus maridos “estão ou muito envolvidos no suor do trabalho, ou muito envolvidos num certo segredo da própria atividade” (p. 220). Além disso, Lima informa que, em 2003, a revista Caras atraía 3.875.000 leitores, dos quais 69% mulheres.

Considero que isso não seja uma justificativa ou explicação, mas um fator a ser investigado, a ser continuamente problematizado pela análise antropológica. Lamento que Lima tenha dedicado não mais que duas páginas ao assunto, pois, na dinâmica da produção das identidades nas sociedades modernas, não há como desconsiderar a relação de dominação masculina e esse caso teria sido bastante apropriado para discutir parte de um imaginário do senso comum que, no caso dos “emergentes”, associa a maioria das mulheres a uma imagem negativa do “consumismo”, a espaços midiáticos menos “sérios” e à futilidade, em oposição a homens “batalhadores”, que “não têm tempo para isso”.

Uma lição a ser extraída do livro, e de outros clássicos das ciências sociais aqui citados, é que não se pode avaliar qualquer fenômeno como um conjunto independente, separado, isolado de práticas, símbolos e sentidos, desconsiderando sua relação com o todo. Ao ter levantado uma bibliografia que não relega nenhuma fonte importante para a discussão que pretendeu fazer e com uma experiência etnográfica consistente, Lima pôde contribuir para um melhor entendimento do consumo moderno e dos processos de estratificação social e composição das “elites” no Brasil da última década do século XX e início do XXI. Além disso, como lembra Luiz Fernando Dias Duarte, o foco “emergente”, num país de mudanças rápidas, possibilita abranger múltiplos sinais contemporâneos que não são apenas apanágios das “elites”. Não por acaso, a autora dedica-se, atualmente, à pesquisa dos fiéis da Igreja Universal do Reino de Deus, com o escopo principal “de compreender sua adesão à promessa de prosperidade e salvação no mundo”.3

Referências

Douglas, Mary & Isherwood, Baron. O Mundo dos Bens: para uma antropologia do Consumo. Rio de Janeiro, Editora UFRJ, 2009.         [ Links ]

Elias, Norbert & Scotson, John L. Os estabelecidos e os outsiders. Rio de Janeiro, Jorge Zahar, 2000.         [ Links ]

Lima, Diana N. O. Ethos “emergente”: as pessoas, as palavras e as coisas. Horizontes antropológicos, vol. 13, nº 28, Porto Alegre, jul./dez., 2007, pp.175-202.         [ Links ]

Notas

1 Lima afirma que, entre a sociedade carioca, essa oposição e todo o discurso condenatório de que os “emergentes” são “exibidos” e “querem aparecer” ainda havia continuado e, por isso, demandaria investigação.
2 Lima observa que havia menções constantes ao trabalho árduo, visto como um valor para os “emergentes” e mesmo para esse segmento da mídia, mas não mobilizava tanto o senso comum quanto a “ostentação” e a “futilidade”, que constituíam um afronte à moralidade tão arraigada no mundo cristão.
3 Trecho retirado do perfil da autora no site do IUPERJ: http://www.iuperj.br/. Acesso em junho de 2010.

Karen Polaz – Mestranda do grupo FOCUS na Faculdade de Educação da UNICAMP. E-mail: [email protected].

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[MLPDB]

 

Vida para Consumo: a transformação das pessoas em mercadorias – BAUMAN (ER)

BAUMAN, Zygmunt. Vida para Consumo: a transformação das pessoas em mercadorias. Tradução Carlos Alberto Medeiros. Rio de Janeiro: Jorge Zahar, 2008. 199p. Resenha de: COSTA, Marisa Vorraber. Consumo e consumismo: deslocamentos nas ressonâncias do contemporâneo. Educação & Realidades, Porto Alegre, v.35, n.3, p.343-349, set./dez., 2010.

Zygmunt Bauman1, considerado um dos expoentes da teoria social contemporânea, vem abordando o tema do consumo na maior parte de seus livros, dentre os quais citamos Modernidade e Ambivalência (publicado originalmente em 1991, e no Brasil só oito anos depois), O Mal-estar da Pós- Modernidade (1998), Globalização: as conseqüências humanas (1999b), Modernidade Líquida (2001), Vida Líquida (2007). Tal fato demonstra, além da centralidade do conceito para a compreensão da vida nas sociedades do início do século XXI, também o alinhamento das análises de Bauman entre as de autores que consideram o consumo uma dominante cultural.

Em Vida para consumo (2008), Bauman elege o consumo como foco preferencial, e desenvolve sua análise apresentando o que considera ser uma das principais consequências da condição pós-moderna: a progressiva e constante transformação das pessoas em mercadorias.

Um dos mais notáveis analistas das transformações dos modos de vida nas sociedades da segunda metade do século XX e início do XXI, Bauman nos apresenta sintomas que considera próprios da cultura de nossos dias, essa a que nos referimos como cultura contemporânea. Envolvendo-nos em análises sobre artefatos e temas que nos circundam, ele aborda casos expressivos dos modos de vida em nossos dias, localizados em matérias de jornais, quadros midiáticos, estratégias mercantis, usos da tecnologia, etc. Para ele, todos podem ser compreendidos como enunciados que falam sobre nossas sociedades e os sujeitos que as compõem. São convocações para assumirmos determinados modos de ser, e que expressam, ao mesmo tempo, as marcas e singularidades do nosso tempo. Evidencia-se aí uma das principais características das obras de Bauman, que é esse modo profícuo como analisa as configurações da atualidade, escrutinando suas injunções e operando com ferramentas que nos fazem pensar sobre aquilo em que estamos nos tornando.

Chama atenção a habilidade do autor para articular a complexidade dos empreendimentos analíticos que utiliza ao problematizar as configurações sociopolíticas e culturais que se erguem, cotidianamente, em nosso entorno, com uma forma despretensiosa e acessível de expressão de ideias e de desenvolvimento da reflexão. É isso que, somado a tantos outros admiráveis atributos de seu trabalho intelectual, entre eles a aguçada sensibilidade para as questões sociais mais críticas do nosso tempo, vem despertando cada vez mais interesse por seu pensamento, posicionando seus livros entre os sucessos editoriais da atualidade pelo mundo afora.

Já na Introdução de Vida para consumo, Bauman expõe três diferentes casos a partir de matérias selecionadas em duas edições do jornal britânico The Guardian. No primeiro, aborda a tendência cada vez mais forte, hoje, de uma visibilização de si em redes sociais da Internet. No segundo, trata da seleção, por parte de muitas empresas, dos bons consumidores em detrimento dos chamados consumidores falhos. E, no terceiro, aborda a política de imigração britânica, que coloca em disputa um sistema de pontuação para a avaliação dos imigrantes que interessam ao país. Esses três casos, localizados em diferentes seções do jornal e relacionados a distintas esferas da vida, são reunidos e conectados por Bauman como expressões de nossa cultura, que cada vez mais incitam os sujeitos a fazerem de si mesmos mercadorias desejáveis e vendáveis nos inflacionados mercados do século XXI. Essa exposição a que as pessoas se submetem ressalta o quanto nossas experiências estão implicadas com a disposição para nos tornarmos mercadorias. Afinal, desde as incursões sobre nós mesmos, envolvendo investimentos corporais e estéticos, relacionamentos amorosos e de trabalho, entre tantos outros, somos instados a uma série de processos que implicam uma remodelagem constante.

A obra de Bauman expressa um refinamento importante nas discussões e formas de se pensar sobre consumo, apontando deslocamentos do conceito. De um entendimento do consumo como apropriação de objetos e produtos, há um alargamento para comportar também a produção dos próprios sujeitos e sua disponibilidade para se transformarem em mercadorias. A esse processo Bauman refere-se empregando o termo comodificação, aludindo a operações em que as pessoas assumem a condição de mercadorias, de bens a serem desejados, mercantilizados, ultrapassando a exclusiva condição de consumidores. Contudo, segundo o autor, se o fetichismo da mercadoria, na fase sólida da modernidade, tendia a encobrir os fatores humanos incrustados na sociedade de produtores, o fetichismo da subjetividade tende, por sua vez, a encobrir a condição “comodificada da sociedade de consumidores” (Bauman, 2008, p.23).

É nesse sentido que o fetichismo da subjetividade atua, produzindo nos sujeitos a crença de que as movimentações se dão por uma liberdade de escolha que é basicamente individual, não sendo pré-estabelecida por catálogos de formas de vida à venda em diferentes âmbitos de nossa sociedade de consumidores.

O livro é composto de uma Introdução e mais quatro capítulos: Consumismo versus consumo, Sociedade de consumidores, Cultura consumista e Baixas colaterais do consumismo. Os capítulos são entrelaçados de maneira excepcional pelo autor, que problematiza as configurações contemporâneas em relação ao consumo desmembrando os seus pontos de articulação e interligando-os, fazendo-nos transitar por uma análise cuidadosa e metodologicamente útil às nossas pesquisas. Optamos, frente à complexidade de apresentar capítulos que se articulam de maneira tão magistral, por fazer ressoar os usos dos conceitos e das estratégias metodológicas de Bauman no livro. Isso porque, talvez, tenhamos sentido que o tema e a escrita se inscrevem numa fugacidade e dinamicidade que não temos como apreender de todo. Mostrar as ressonâncias nos parece, assim, o mais apropriado frente a uma obra que nos incita a pensar muitas outras coisas a partir e para além dela.

O autor articula suas análises pautando-se por novos conceitos, muitos deles buscados em autores com os quais compartilha visões e interpretações, e que servem para compreender as singularidades deste tempo. Sociedade de consumidores, comodificação, cultura consumista, tempo pontilhista, fetichismo da subjetividade, agrupamentos por enxames, entre outros, são alguns dos conceitos tensionados no livro. Ressoa para nós o quanto a compreensão de novos fenômenos, emergentes em uma sociedade de consumidores, não são passíveis de ser produtivamente problematizados se recorremos a conceitos que são, ainda, mais próprios de uma sociedade de produtores. A análise parece indicar, assim, o quanto cada conceito, como salientam Derrida e Roudinesco (2004, p.14), “[…]nomeia o gesto de uma apreensão, é uma captura”.

Outro dos importantes delineamentos realizados por Bauman diz respeito à acepção de que houve um deslocamento do consumo para o consumismo. Enquanto o consumo inscreve-se na ordem da necessidade, o consumismo caracteriza-se como “um atributo, a capacidade profundamente individual de querer, desejar e almejar” (Bauman, 2008, p.41). Podemos pensar que o consumismo inscreve-se como sendo da ordem dos excessos, da sobrepujança, pois é uma condição que se esboça na fase líquida da modernidade2. Assim, enquanto a sociedade de produtores, situada na fase sólida da modernidade, movia-se com o consumo garantindo a apropriação e posse, apostando na prudência, em planejamentos de longo prazo, com uma ênfase na segurança e no valor de durabilidade, o consumismo, por sua vez, atua:

[…]em aguda oposição às formas de vida precedentes, associa a felicidade não tanto à satisfação de necessidades […] mas a um volume e uma intensidade de desejos sempre crescentes, o que por sua vez implica o uso imediato e a rápida substituição dos desejos destinados a satisfazê-la (Bauman, 2008, p.44, grifos do autor).

As considerações sobre a sociedade de produtores por um lado, e, de outro, a sociedade de consumidores, são, assim, articuladoras importantes para a compreensão dos processos implicados e desenvolvidos em Vida para consumo. Afinal, a sociedade de consumidores caracteriza-se, principalmente, por convocar os sujeitos em sua categoria de consumidores. Somos, primeiramente, consumidores, tornando-nos sujeitos prioritariamente pelas capacidades demonstradas para tal condição.

Dentre as discussões associadas às transformações em andamento na modernidade – da modernidade sólida para a líquida – outra questão se destaca para a compreensão dos deslocamentos tensionados no decorrer do livro. Mais especificamente, trata-se da operação de uma “renegociação do significado do tempo” (Bauman, 2008, p.45). Ou seja, de um tempo cíclico e linear, da sociedade de produtores, passa-se a um tempo pontilhista – metáfora de Michel Maffesoli (2003) utilizada por Bauman – marcado por uma multiplicidade de instantes, descontinuidades e fragmentações. Outros termos, como cultura agorista ou cultura apressada, tomados emprestados de Stephen Bertman (1998), também endereçam a esta renegociação do significado do tempo que atua sobre os sujeitos, produzindo estados de movimentação constante entre distintos pontos. Talvez aí tenhamos um fecundo argumento para as discussões sobre a produção de identidades contemporâneas, pois esta relação com o tempo, tão destoante de outras épocas e contextos, é uma das condições de possibilidade para que os sujeitos se movam incansavelmente. Ademais, um dos modos de manter-se em movimento nos pontilhados do tempo e do espaço é através do consumismo, que insta novos e diversificados significados aos que consomem as novidades sempre emergentes. Não se trata, em suma, de adquirir, juntar e acumular, mas, sobretudo, de adotar o imperativo de descartar e substituir, afinal, “A ‘síndrome consumista’ envolve velocidade, excesso e desperdício” (Bauman, 2008, p.111, grifos do autor).

Com isso há um dilatamento do consumo que passa a englobar o conjunto da população. Não apenas adultos são alvos privilegiados, como na sociedade de produtores, mas sobretudo crianças, jovens, todas as estratificações sociais, etc., pois o importante é ser consumidor, renegociar os significados do tempo e de si mesmo pela movimentação dos significados embutidos nos processos de compra e venda de objetos e de si. É um processo que se alia à máxima dos desempenhos individuais. Mover-se nas tramas do consumo é algo a ser feito por si mesmo, afinal, consumir “significa investir na afiliação social de si próprio” (Bauman, 2008, p.75).

É a partir de considerações deste tipo que Bauman pinça, no terceiro capítulo do livro, mais um argumento de um excerto de manual de moda de um prestigiado jornal, em que são oferecidos aos leitores meia dúzia de visuaischave para os próximos meses. De um enunciado como este, que orienta leitores em relação ao estilo – visuais com um prazo pré-estabelecido para durar somente alguns meses –, Bauman mapeia o ambiente existencial erigido pela sociedade de consumidores. Ambiente composto, ainda, por uma cultura consumista: cultura que expressa uma “revogação dos valores vinculados respectivamente à duração e à efemeridade” (Bauman, 2008, p.111, grifos do autor). Trata-se, mais objetivamente, de uma cultura produzida histórica e socialmente a partir de condições e significações precisas, como foi o caso das formações sociais produzidas pela sociedade de produtores. Este é o ambiente em que se vive e em que novos significados continuam a ser produzidos ininterruptamente.

Somos instados a pensar, ainda, especialmente no quarto capítulo, sobre as baixas colaterais do consumismo. Se a sociedade de consumidores – que “avalia qualquer pessoa e qualquer coisa por seu valor como mercadoria” (Bauman, 2008, p.157) – é erigida a partir das supostas benesses do consumo e de dispor-se incessantemente ao consumo, esta experiência não é compartilhada de forma igual por todos. Erige-se, também, “uma nova categoria de população, antes ausente dos mapas mentais das divisões sociais” (Bauman, 2008, p.155): a subclasse. Esta subclasse seria formada por “pessoas sem valor de mercado”, “homens e mulheres não-comodificados”, em suma, “consumidores falhos” (Bauman, 2008, 158). Se a sociedade de consumidores transforma-nos em mercadorias, os que não incitam o consumo e/ou são privados de algum modo deste processo são vistos como inúteis, não sendo capazes de associarse a este mesmo processo. São indivíduos visibilizados, agora, pelo perigo que supostamente representam para este modelo de sociedade.

Dentre muitas outras ressonâncias, importa destacar, ainda, o grande número de autores e obras que Bauman articula em sua análise. Sociólogos, filósofos e escritores de obras literárias, ao lado de autores de matérias de jornais em seções tão variadas que vão da política externa à editoria de moda, são interlocutores de seu trabalho. De Max Weber a Michel Foucault, de Milan Kundera a matérias do jornal britânico The Guardian, o tema do consumo e seu efeito de excesso na sociedade de consumidores, o consumismo, vão sendo literalmente dissecados com as diversificadas lentes teóricas operacionalizadas pelo autor. Sem dúvida, esta é uma obra de grande fecundidade e importância e que interessa, de maneira especial, aos que pensam, pesquisam e fazem a educação dos nossos dias.

Notas

1 Sociólogo nascido na Polônia em 1925, onde lecionou na Universidade de Varsóvia. Fugindo do nazismo durante a Segunda Guerra, peregrinou pelo mundo radicando-se, por fim, na Inglaterra, onde vive até hoje. É autor de inúmeros livros, sendo que sua produção intelectual mais importante surge a partir dos últimos anos do séc. XX. No Brasil, desde 1997, circulam mais de vinte títulos traduzidos para o português, alguns publicados em menos de um ano após seu lançamento na Inglaterra. Zygmunt Bauman é professor emérito de Sociologia das universidades de Leeds e de Varsóvia. Recebeu o Prêmio Amalfi, em 1989, por Modernidade e Holocausto, e em 1998 recebeu o prêmio Adorno pelo conjunto de sua obra.

2 Por modernidade líquida – diferentemente da modernidade sólida, mais pesada – Bauman (2001) passa a referir-se à fase instável, fluída, dinâmica e mutante na modernidade, a qual ele mesmo vinha denominando de pós-modernidade. Para uma aproximação sintética ao conjunto da obra de Bauman ver Costa (2009).

Referências

BAUMAN, Zygmunt. O Mal-estar da Pós-modernidade. Tradução Mauro Gama; Claudia Martinelli Gama. Rio de Janeiro: Jorge Zahar, 1998.

BAUMAN, Zygmunt. Modernidade e Ambivalência. Tradução Marcus Penchel.

Rio de Janeiro: Jorge Zahar, 1999a.

BAUMAN, Zygmunt. Globalização: as consequências humanas. Tradução Marcus Penchel. Rio de Janeiro: Jorge Zahar, 1999b.

BAUMAN, Zygmunt. Modernidade Líquida. Tradução Plínio Dentzien. Rio de Janeiro: Jorge Zahar, 2001.

BAUMAN, Zygmunt. Vida Líquida. Tradução Carlos Alberto Medeiros. Rio de Janeiro: Jorge Zahar, 2007.

BERTMAN, Stephen. Hyperculture: The Human Cost of Speed. Westport: Praeger, 1998.

COSTA, Marisa Vorraber. Zygmunt Bauman – Compreender a vida na modernidade líquida. Educação, ed. Segmento, São Paulo, v.1, p. 60-75, set. 2009.

DERRIDA, Jacques; ROUDINESCO, Elisabeth. De que Amanhã: diálogo. Tradução André Telles. Rio de Janeiro: Jorge Zahar, 2004.

MAFFESOLI, Michel. O Instante Eterno: o retorno do trágico nas sociedades pósmodernas. Tradução Rogério de Almeida e Alexandre Dias. São Paulo: Zouk, 2003.

Marisa Vorraber Costa – Doutora em Educação e professora dos Programas de Pós-Graduação em Educação da UFRGS, Porto Alegre, RS, Brasil e da ULBRA. Integrante do NECCSO. Pesquisadora do Cnpq – Brasil. E-mail: [email protected] Viviane Castro Camozzato – licenciada em Pedagogia e doutoranda em Educação na UFRGS, Porto Alegre, RS, Brasil. Integrante do Núcleo de Estudos sobre Currículo, Cultura e Sociedade (NECCSO). Bolsista do Cnpq – Brasil. E-mail: [email protected]

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