Storia globale. Un’introduzione – CONRAD (BC)

CONRAD, Sebastian. Storia globale. Un’introduzione. Roma: Carocci, 2015. 210p. Resenha de: PERILLO, Ernesto. Il Bollettino di Clio, n.5, p.55-60, giu., 2017.

Non considerata a rigore tra i segnali paratestuali, l’introduzione assolve a diversi compiti importanti: indicare le ragioni della trattazione del tema in oggetto; presentare il tema, esplicitando, se necessario, questioni, genesi, elementi; ricapitolarne riassuntivamente il contenuto.

Posta sulla soglia del testo, l’introduzione ne costituisce, dunque, la necessaria porta di ingresso: una mappa per la comprensione anticipata del territorio che vogliamo esplorare. In questo caso quello della storia globale: il libro di S.Conrad ci consente di averne una visionecomplessiva e articolata, capace di farci conoscereil tema ancora prima di averlo attraversatoconcretamente e utile proprio per esserne unaguida preventivamente efficace.

Un’introduzione, appunto.

Analizziamo la mappa/introduzione alla storia globale: ci mostra sostanzialmente tre luoghi e consente di rispondere a tre domande:  La sua genesi: quando e com’ è nata la storia globale?  Definizione e contenuti: che cosa è e di cosa si occupa la storia globale?  Gli aspetti critici: quali le controversie e le obiezioni più frequenti?  Cominciamo allora l’esplorazione, partendo dalla definizione di storia globale :  “A un primo approccio, ancora molto generale, la storia globale definisce una forma di analisi storica nella quale fenomeni, eventi e processi vengono inquadrati in contesti globali. Con ciò non si intende necessariamente che l’indagine venga estesa all’intero globo terrestre; per molti temi i punti di riferimento saranno più limitati. Ciò significa anche che la maggior parte degli approcci di storia globale non cerca di sostituire l’affermato paradigma storico-nazionale con un’ astratta totalità del “mondo”, cioè di scrivere una storia totale del globo. Spesso si tratta più facilmente della storiografia di aree limitate, quindi non “globali”, ma piuttosto con una consapevolezza delle relazioni globali”.1  La storia globale è dunque innanzi tutto una prospettiva2, che pone in primo piano altre dimensioni, altre domande attraverso le quali traguardare il passato. Ma è al tempo stesso un tema specifico del discorso storico: per una contestualizzazione globale è spesso importante rendere conto del grado e del carattere dei collegamenti delle reti globali.3

La genesi

Quando si chiede a uno storico/a una definizione, (di solito) la riposta è il racconto di una storia: la comprensione di un fatto è custodita nella sua genesi; nei contesti e/o nei processi dentro i quali esso si è manifestato.

S.Conrad dedica i capitoli iniziali della suaintroduzione alla storia della storia globale, a partire dall’antichità, per mostrare come i concetti di “mondo” e globalità siano storicamente mutevoli e diversi a seconda dell’epoca e dei luoghi. E mette a fuoco un elemento decisivo:

“ Come qualsiasi altra forma di storiografia, anche la storia globale è sempre plasmata dalle sue condizioni di nascita e dal contesto sociale concreto nel quale viene scritta. Una prospettiva di storia globale è, a questo riguardo, prima di tutto una specifica lettura delle relazioni globali, e non significa affatto che questa visione debba anche essere capita o addirittura accettata ovunque nel mondo. Così come i testi scolastici tedeschi, francesi o polacchi si possono differenziare (nei loro interessi tematici, in ciò che omettono, ma anche nelle interpretazioni degli eventi che trattano), altrettanto le rappresentazioni della storia mondiale possono variare talvolta in maniera sostanziale.

(…) Singoli temi, ad esempio lo schiavismo, mutano il loro significato sociale in maniera basilare, a seconda se esso venga preso in considerazione dalla prospettiva dell’Angola o della Nigeria, del Brasile o di Cuba, ma anche della Francia o dell’ Inghilterra. E anche il concetto di mondo rispettivamente rilevante non è affatto omogeneo in differenti società e nazioni.

Poiché la storia globale non è un soggetto naturalmente dato ma rappresenta una prospettiva, è tanto più importante considerare da dove essa viene osservata.” (p. 45)

Tre sono gli approcci che dagli anni Novanta del secolo scorso caratterizzano la storia globale:  -l’analisi di connessioni transnazionali(senza un esplicito riferimento al”mondo”): il riferimento è alla storiacomparata (ma non solo) e all’attenzioneprivilegiata alle macroregioni (OceanoIndiano, Oceano Atlantico, il continenteeuropeo nel suo complesso…); -la storia delle civiltà; -la pluralizzazione della storia globale emondiale: “conviene osservare la storia globale in una prospettiva di storia globale, per assicurarsi della relatività e della posizionalità di ogni lettura del passato globale.”(p. 63)

I contenuti

a.Gli ambiti

S.Conrad individua quattro ambiti didiscussione, all’interno dei quali attualmente gli storici riflettono sulla dinamica del mondo moderno:  -la teoria del sistema-mondo: dall’approccioteorico elaborato da I. Wallerstein negli anni Settanta alle critiche successive circa la possibilità del suo utilizzo ancora oggi: superamento della cornice analitica dello Stato nazionale, uso del concetto dell’incorporazione graduale in un contesto dominato dall’Europa, attenzione ai cambiamenti strutturali di natura macrostorica;  -i postcolonial studies per una lettura noneurocentrica del mondo moderno. Dopo aver messo in luce alcuni elementi critici della prospettiva postcoloniale, l’autore ne sottolinea tre aspetti ancora significativi: l’esistenza di spazi di ibridazione, acquisizioni locali, negoziazioni in condizioni coloniali accanto alla diffusione e all’adattamento come processi di transfer culturali di storia mondiale; l’attenzione alle dipendenze, interferenze, connessioni, superando l’idea che nazione e civilizzazione siano da considerare unità “naturali” della storia, contro una storiografia mondiale eurocentrica che legge lo sviluppo europeo/occidentale slegato dal resto del mondo; la considerazione che i processi di integrazione globale si realizzano entro rapporti e strutture di dominio;  -le analisi delle reti: l’epoca degli Statinazionali, basati sul controllo di territori pensati come superfici in relazione tra di loro, è stata sostituita dall’epoca della connessione (merci, informazioni, uomini e donne);  -il concetto di multiple modernities: al centrodell’attenzione la pluralizzazione delle linee di sviluppo della modernità e il ridimensionamento dell’assioma della secolarizzazione che avrebbe accompagnato ovunque i processi di modernizzazione.

Diversi, secondo Conrad, sono gli ambiti storiografici rivisitati in prospettiva di storia globale dalla storia economica a quella sociale, da quella geopolitica alla storia culturale e della vita quotidiana, per citarne alcuni. L’autore indica sei campi nei quali oggi la ricerca è particolarmente attiva: merci globali; storia degli oceani; la migrazione; gli imperi; la nazione; la storia dell’ambiente.

b.Le problematiche di riferimento

Quali le principali questioni della storiaglobale? Conrad le individua a partire dalle seguenti domande:  “Come si può scrivere una storia del mondo e delle sue connessioni che non sia eurocentrica e la cui logica non sia prestrutturata attraverso l’uso di concetti occidentali? Da quando si può propriamente parlare di un contesto globale, e di una storia della globalizzazione? Ha corso la storia del mondo sempre verso l’egemonia dell”’Occidente”, come essa si è manifestata nel XIX e XX secolo, e quali erano le cause di questa divergenza tra Europa e Asia? Infine, c’è stato un potenziale di modernizzazione anche al di fuori dell”’Occidente”, e quale significato hanno avuto le rispettive risorse culturali di società premoderne per la transizione a un mondo moderno globalizzato? “ (p. 95)  Sono questioni importanti: potrebbero (dovrebbero?) essere domande guida anche per la storia generale insegnata. Vediamole nel dettaglio:  Eurocentrismo  Per molto tempo nella storiografia mondiale l’Europa (e la master narrative eurocentrica) era vista come l’unico soggetto attivo.

Nell’assunzione critica dell’eurocentrismo si tratta di trovare un equilibrio tra il superamento di questa impostazione e la non marginalizzazione dell’Europa, distinguendo tra eurocentrismo come dinamica del processo storico (incomprensibile senza il riferimento all’egemonia dell’Europa occidentale e più tardi degli Stati Uniti, in un processo che non fu lineare e che ebbe inizio solo nel XIX secolo) ed eurocentrismo come prospettiva: presunti concetti analitici come nazione, rivoluzione, società o progresso trasformarono un’esperienza parziale, quella europea, in una lingua teorica universalistica, che prestruttura già l’interpretazione dei rispettivi passati locali.

Periodizzazione

Anche qui ha senso distinguere in modo euristico tra globalizzazione come processo e globalizzazione come prospettiva. In merito al primo punto: la maggior parte degli storici pone l’inizio di una connessione globale al principio del XVI secolo. La seconda possibile cesura di questa storia cade nel XIX secolo: fino ad allora il mondo era ancora un mondo delle regioni, strettamente unito da molteplici reti (reti commerciali e correnti migratorie così come comunanze culturali). Ma solo dalla metà del XIX secolo si giunse a una connessione sistematica, all’integrazione globale delle società, in ragione della sovrapposizione di «due macroprocessi reciprocamente dipendenti» (Charles Tilly) del mondo moderno: la formazione e la diffusione del sistema degli Stati nazionali e la creazione di un meccanismo universale di mercati e di accumulazione di capitale.

Si può parlare di una nuova fase della globalizzazione dal 1990? Conrad mette in discussione questa ipotesi, sottolineando come, in generale, una storia della globalizzazione non dovrebbe essere una narrazione lineare della sempre più grande connessione del mondo.

Altro aspetto fondamentale: la globalizzazione come prospettiva. Nel XIX secolo la globalizzazione ha presupposto la diffusione di norme euro-americane, in condizioni di colonialismo e di estensione universale dello Stato nazionale. All’interno di questo paradigma le differenze culturali erano state gerarchizzate e disposte in scala temporale: la connessione del modernizzazione complessiva e di un’omogeneizzazione graduale. Dal tardo XX secolo, sostiene Dirlik, ciò è mutato: la differenza culturale non appariva più come arretratezza, ma era concepita come alternativa a concetti eurocentrici o, meglio, universali. La globalizzazione e l’insistenza sull’ autonomia culturale andavano di pari passo. E ancora: l’aumento d’interazione globale addirittura rafforzava e produceva specificità culturali. Invece di una temporalizzazione della differenza, nel senso della costruzione di diversi gradi di sviluppo, il mondo globale del XXI secolo ha vissuto addirittura uno spatial turn. Progetti di modernità culturalmente diversi e concorrenti potevano dunque essere pensati come esistenti fianco a fianco contemporaneamente.

Asia e Europa

Perché l’Europa? In che cosa consisteva il Sonderweg (“la via speciale”) europeo? È davvero esistito?  Nella lunga discussione su questo tema, si possono distinguere essenzialmente tre posizioni. La prima rimandava a Marx e poneva in primo piano la questione dei modi di produzione. In opposizione a ciò, gli storici che si orientavano all’opera di Weber insistevano sui fattori culturali e istituzionali. Sia l’approccio classicamente marxista che quello weberiano privilegiano, secondo Conrand, modelli esplicativi endogeni e si limitano a una narrativa che spiega l’ascesa dell’Europa da sé stessa, internalisticamente.

A partire dai tardi anni Novanta è stata pubblicata una serie di lavori che hanno spostato il terreno sul quale era stata condotta questa discussione in maniera sostanziale. Conrad passa in rassegna i contributi revisionistici della cosiddetta California School (l’espressione designa storici come Pomeranz, Wong, Frank) che hanno proposto una spiegazione della dinamica dell’economia inglese non più endogena e non basata su lunghe continuità culturali e istituzionali. Al centro di questa lettura la prospettiva comparata, lo sguardo dalla Cina, l’accentuazione di interazioni transregionali, l’attenzione alle origini politiche della rivoluzione industriale e l’enfatizzazione di fattori casualmente coincidenti (conjunctural foctors).

Early modernities

In generale si tratta di capire quale significato possa essere attribuito, nel passaggio al mondo moderno, alle diverse risorse culturali di società non occidentali.

Gli approcci più interessanti della early modernity si riferiscono a un periodo dell’età moderna, che durò all’incirca dal 1450 al 1800, un’epoca durante la quale si costituirono le forze e le strutture che produssero trasformazioni in collegamento tra di loro, ma per nulla identiche, che poi sfociarono nel mondo del XIX secolo: solo nell’ambito dell’integrazione imperialistica e capitalistica del mondo dopo il 1800 esse furono gradualmente incorporate negli ampi processi che plasmarono il mondo moderno.

La più estesa argomentazione della early modernity è stata sinora formulata per la Cina e in generale per altri paesi asiatici (India e Giappone)  Le critiche  I progetti di storia mondiale e globale non sono stati esenti da critiche e obiezioni, anche se le riserve, in fondo, non hanno messo in discussione in modo radicale tale approccio. Nell’illustrare i principali limiti della ricerca di storia globale, l’autore vuole dare un contributo costruttivo per l’approfondimento di questa prospettiva.

La riserva metodologica

Gli storici globali non si basano su fonti primarie ma sono vincolati del tutto alla letteratura secondaria. Del resto questa è anche la situazione delle opere generali di storia nazionale che si basano su una visione d’insieme dei risultati di ricerche “locali”.

La strumentazione concettuale

Le nozioni/concetti con cui si scrive la storia delle connessioni globali sono quelle/i dela  “zavorra” eurocentrica: feudalesimo, nazione, religione…? Non c’è il rischio di omologare concettualmente situazioni diverse, e di appiattire differenze e particolarità? Il concetto di globalizzazione rischia di essere un macroconcetto poco utilizzabile in contesti specifici che presentano dinamiche diverse.

La finalizzazione teleologica  Le prospettive storico-globali corrono il rischio di costruire una genealogia dell’attuale processo di globalizzazione come svolgimento quasi inevitabile e naturale.

La storia e la connessione globale limitate alle sole relazioni con l’Europa

L’esempio è quello della storia dell’India che sarebbe stata liberata dalla stagnazione solo con il colonialismo, mentre già in epoca precoloniale intratteneva rapporti economici e culturali importanti con l’Africa, l’area araba e il Sud-Est asiatico.

La ricerca storica globale secondo Conrad deve affrontare una serie di questioni e evitare alcuni pericoli per poter sviluppare un proficuo dialogo critico al suo interno: il rischio di sostituire l’eurocentrismo con il sinocentrismo (come nel libro ReOrient di Frank); la sopravvalutazione dei fattori esterni, assegnando particolare valore al contesto spaziale nella spiegazione di eventi e processi; la sopravvalutazione delle connessioni, dei punti di contatto trascurando le particolarità; la feticizzazione della mobilità; la marginalizzazione degli approcci che soprattutto negli anni Ottanta hanno messo in evidenza l’importanza delle dimensioni storico-culturali e di storia del genere del passato; la tentazione di dimenticare che la storia globale è pur sempre una prospettiva per gettare un nuovo sguardo sul passato, non semplicemente un oggetto che esiste senza problemi.

Conrand insiste, come abbiamo già detto sulla pluralizzazione della storia globale e la “posizionalità” di ogni lettura del passato globale. E cita lo studioso della letteratura S. Krishan che mette in evidenza i meccanismi linguistici e narrativi attraverso i quali il mondo viene creato come unità connessa e interdipendente:

«Nelle discussioni recenti sulla globalizzazione viene tacitamente accettato che l’aggettivo “globale” si rivolga a un processo empirico, che ha luogo “lì fuori” nel mondo. [ … ] Al contrario io parto dal presupposto che “globale” descriva un modo della tematizzazione, o un modo di occuparsi del mondo». La lingua del globale suggerisce una trasparenza, un accesso diretto a un processo da osservare empiricamente: in effetti, però, si tratta di un modo che riassume diversi fenomeni in un comune discorso e così lo rende controllabile. Esso non rimanda al mondo in sé, ma alle condizioni e alle implicazioni dei modi istituzionalizzati per mezzo dei quali i diversi terreni e popoli di questo mondo vengono resi leggibili all’interno di un’unica cornice» (…). Il globale rappresenta la prospettiva dominante dalla quale il mondo viene prodotto come rappresentabile e controllabile». (p. 79).

[Notas]

1 S. Conrad, Storia globale. Un’introduzione, Roma, Carocci, 2015, p.18.

2 “Per fare un esempio, si può osservare il Kulturkampf in Baviera nel XIX secolo da un punto di vista di storia locale, con una problematizzazione storico-culturale o di storia di genere, o come parte della storia tedesca. Però lo si può anche collocare in maniera storicoglobale e intendere come espressione dei contrasti tra lo Stato liberale e le Chiese, che furono condotti nel XIX secolo in molte parti del mondo: in tutta Europa, ma anche in America Latina o in Giappone”. Ibidem, p. 20.

3 “Il crash della borsa di Vienna nel 1873 ebbe un’ importanza differente dalle crisi economiche del 1929 e 2008, perché il grado di collegamento dell’economia mondiale, ma anche l’intreccio mediatico degli anni intorno al 1870, non aveva ancora raggiunto la stessa densità che in seguito”. Idem.

Ernesto Pirillo

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Das Ráísel der Vergangenheit / Paul Ricoeur

As questões da apreensão da multiplicidade cultural do mundo contemporâneo e da compreensão de sua complexidade histórica e social são objeto da série “Conferências de Essen sobre Ciências da Cultura”, promovida e editada pelo Instituto de Ciências da Cultura.

Este Instituto, fundado em 1988 e sediado na cidade de Essen (Alemanha) é integrante do Centro de Ciências da Renânia do Norte/Vestfália. O Instituto (conhecido por sua sigla KWI, homólogo do Institute for Advanced Studies de Princeton ou do Wissenschaftskolleg de Berlim) é uma instituição pública, voltada para a pesquisa científica realizada mediante projetos de investigação dedicados aos problemas da sociedade e da cultura marcadas pelo desenvolvimento científico, pela sofisticação tecnológica e pela industrialização. Os projetos são desenvolvidos por grupos de estudo interdisciplinares, com temas vinculados à pesquisa fundamental no campo das ciências da cultura. O arco temático dos projetos apoiados pelo Instituto vincula-se aos problemas atuais de orientação das sociedades modernas no contexto internacional e intercultural.

Pesquisas dessa natureza não atraem facilmente a atenção do público. Seus resultados, contudo, são habitualmente incorporados pelas próprias ciências setoriais e continuam a surtir efeitos nelas e por intermédio delas. A interdisciplinaridade e o trabalho em grupo dos especialistas são uma condição importante para o êxito desse tipo de projeto. No entanto, o KWI considera ser também incumbência sua fundamentar a necessidade e a relevância de suas atividades e fazê-las perceber pelo grande público. Isso ocorre de forma multifacetada: conferências, mesas redondas, debates públicos, cursos de extensão.

A série de livros das “Conferências” publica textos escolhidos do programa de conferências do Instituto. Esses textos se originam em palestras abertas ao grande público, e ao especializado, elaboradas e completadas para os fins de publicação. O amplo leque temático documenta a amplitude e o alcance das questões ligadas às ciências da cultura, assim como o fascínio das constelações interdisciplinares de pontos de vista, perspectivas e estratégias de argumentação. Cada conferência representa, por si, uma faceta desse leque.

Cada uma é um componente do vasto complexo de abordagens do conhecimento, no qual as experiências do homem consigo mesmo e com seu mundo são interpretadas, as interpretações são refletidas e transformadas em orientações práticas, para afinal serem incorporadas nas mais diversas formas de determinações de sentido, em função das quais o homem age e interage com os outros.

A pesquisa em ciências da cultura requer distanciamento da atualidade do cotidiano imediato, independência com relação às lutas pelo poder e atitude crítica com respeito às polêmicas e dos conflitos de pessoas. A aparente ausência de aplicação prática imediata não raro traz à pesquisa básica e às ciências humanas a fama de serem um luxo, um desperdício. No entanto, o pragmatismo imediatista da pressão tecnológica — que decorre muito mais da lógica econômica da lucratividade — exige justamente que se desenvolvam reflexões que se libertem a prisão “dourada” em que os resultados “imediatos” parecem ser o máximo dos máximos. O longo prazo, a profundidade do alcance, a multiplicidade das perspectivas — esses e outros fatores fazem das ciências da cultura as que apreendem, descrevem, analisam, interpretam e explicam os complexos códigos de sentido — as estruturas de significado — que produzem, consolidam e reproduzem a(s) cultura(s). A ciência da cultura torna-se assim, ela mesma, um fator ativo da cultura como patrimônio coletivo e imaterial da sociedade. Ela desempenha o papel relevante de pensamento crítico e de diretriz interpretativa para a orientação — aí sim — prática do agir humano em todos os campos. A série de “Conferências” busca, assim, na apresentação de seu editor principal, Jórn Rüsen (Presidente do KWI), dar forma concreta a essa tarefa constante da crítica científica e social.

Da série estão disponíveis, até o final de 2003, doze pequenos volumes:

  1. Friedrich Kambartel. Pbilosophie und politische Òkonomie. Gõttingen: Wallstein Verlag, 1998 (3-89244-332-7) 85 p.
  2. Paul Ricoeur. Das Ráísel der Vergangenheit. Erinnern — Vergessen — Vençiben. 1998 (3-89244-333-5) 156 p.
  3. Klaus E. Müller. Die fünfte Dimension. So^iale Raum^eit und Gescbichtsverstàdnis inprimordialen Ku/turen. 1999(3-89244-348-3) 158 p.
  4. Jürgen Straub. Veriehen, Kritik, Anerkennung. Das Eigene und das Fremde in der Erkenntnisbildung interpretativer Wissenscbaften. 1999(3-89244-366-1) 95p.
  5. Burkhard Liebsch. Moralische Spielràume. Menschbeit und Anderheit, Zugehorigkeit und Identitãt. 1999 (3-89244-383-1) 128 p.
  6. Helwig Schmidt-Glinzer. Wir und China — China und wir. Kulturelle Identitãt im Zeitalter der Globalisierung. 2000 (3-89244-426-9) 101 p.
  7. Hans Schleier. Historisches Denken in der Krise der Kultur. Fachhistorie, Kulturgescbichte undAnfànge der Kulturwissenschaften in Deutschland. 2000 (3- 89244-427-7) 127 p.
  8. Gertrud Koch. Medien der Kultur. Film: Beivegungin derLatenç. (3.89244- 428-5). no prelo 9. Rolf Wiggerhaus. Wittgenstein und Adorno. Zwei Spielarten modernen Phi/osophierens. 2000 (3-89244-429-3) 143 p.
  9. Bernhard Waldenfels. VerfremdungderModerne. Phãnomenologische Ansãtze. 2001 (3-89244-459-5) 162 p.
  10. Hans-Ulrich Wehler. Historisches Denken am Ende des 20. Jahrhunderts. 1945-2000. 2001 (3-89244-430-7) 108 p.
  11. Ludwig Amman. Die Geburt des Islam. Historische Innovation und Offenbarung. 2001 (3-89244-460-9) 111 p.

Seus títulos representam efetivamente a variedade de perspecdvas que compõem o espectro ilimitado das questões culturais: Kambartel preconiza a crítica filosófica da economia política, sustentando a necessidade de ampliação da economia social de mercado (vol. 1); o respeitado filósofo Paul Ricoeur relembra um enigma amiúde negligenciado pela tecnologia da pesquisa: o passado só subsiste na memória e em seus vestígios, lidar com ela é questão de lembrar, esquecer, perdoar (vol. 2); como ecoando Ricoeur, o antropólogo Klaus Müller reforça a tese da memória na concepção de história, de origem, de pertencimento e de constituição do espaço social nas sociedades originárias (vol. 3).

Jürgen Straub, professor de comunicação intercultural, aborda a compreensão, a crítica e o reconhecimento: imagens de si e do outro nas ciências que recorrem à interpretação — um problema espinhoso, sobretudo para a interface entre história e psicologia social (vol. 4); Liebsch, professor de filosofia em Bochum, reflete sobre os campos — virtuais — do agir moral como espaço de relacionamento entre afirmação de si e reconhecimento da alteridade — com os problemas decorrentes da “etnicização” dos grupos e subgrupos nas sociedades (vol. 5). Como transparece ao longo de todos os volumes desta série, a referência de origem é a perspectiva cultural européia e o “déficit” de conhecimento e de compreensão da outras culturas [inclusive levando- se em conta a história colonial e seus efeitos perversos] — assim, a alteridade “radical” da cultura chinesa e a contraposição a ela histórica cultural européia, forçada pela globalização, e a impossibilidade de se entronizar novamente uma cultura hegemônica ocupam a reflexão de Schmidt-Glintzer, um dos maiores sinólogos alemães e diretor da famosa Biblioteca do Duque Augusto, em Wolfenbüttel (vol. 6).

A diversificação do tecido cultural da sociedade abriu, também para os historiadores, a crise da identidade em sua especialidade e a instrumentalização da historiografia para projetos políticos passou a ser problematizada. Hans Schleier os primórdios das ciências da cultura na Alemanha e o papel da ciência da história no contexto da crise da cultura contemporânea, a partir da experiência da desconstrução e da reconstrução alemãs entre 1880 e 1930 (vol. 7). O fenômeno da mídia — em particular da crítica social no cinema — e seu impacto na concepção do pertencimento social é o tema estudado por Gertrud Koch, professora de cinema em Berlim, ainda a ser publicado (vol.8). Wittgenstein e Adorno como representantes de dois formatos de crítica filosófica no século 20: a analítica, formal, que não se manifesta sobre o inverificável, e a dialética, engajada, que não admite que não se manifeste sobre o inefável e o subentendido são os objetos de Rolf Wiggerhaus, filósofo e jornalista (vol. 9). Bernhard Waldenfels, professor de filosofia prática e fenomenologia em Bochum, desenvolve uma forte e consistente crítica à alienação do projeto (incompleto) da modernidade por causa de seu individualismo pretensioso que concebe o global como projeção de si — e por isso mesmo compromete a racionalidade como faculdade do indivíduo e como liame do coletivo (vol. 10). O historiador Hans-Ulrich Wehler, um dos chefes de fila da escola de história social de Bielefeld, faz um balanço comparativo dos resultados obtidos pela reflexão historiográfica na segunda metade do século 20 — por exemplo, acerca do caráter “ocidental” das grandes conquistas políticas, como o estado de direito e o sistema parlamentar e eleitoral universal —, e os parcos efeitos que esses conhecimentos tiveram, até o presente, sobre a crítica social, política, econômica e cultural do mundo contemporâneo (vol. 11). O contraste inquietador que as culturas não-européias provocam nas sociedades de feitura européia é uma espécie de enigma adicional que intriga e mesmo atemoriza a “matriz” européia. A longa experiência das sociedades européias (ocidentais) e da norte-americana de ver as demais sociedades ser-lhes submissas ou ao menos delas discípulas, leva Ludwig Ammann, especialista em islamismo e jornalista, a sistematizar as circunstâncias do nascimento do islã (o aparecimento de Maomé e de sua pregação do monoteísmo, à maneira de um messias) e o choque que provoca nas tribos politeístas árabes e nas respectivas relações sociais, ao enunciar a necessidade da conversão como o sentido de uma missão transcendental instituída por revelação divina — e de como foi possível o fenômeno da islamização das culturas árabes a partir do século 7o (vol. 12).

Duas reflexões se impõem, diante da variedade e da complexidade dos temas abordados pelos textos da série. A primeira é relativa ao caráter pioneiro de abrir espaço de discussão e de contraponto, no âmbito de culturas tradicionalmente avançadas e extremamente seguras e cheias de si, como a alemã. Essa iniciativa do KWI se entende bem pela forma característica de Jõrn Rüsen de conceber o papel da reflexão histórica como um dos fatores relevantes na interculturalidade da comunicação social. Trata-se de uma contribuição de importância tanto para incrementar o arejamento do debate público e científico alemão e europeu como para resistir à crescente intolerância para com o outro e o diferente, que distorce as relações intra- e intersociais, em um mundo cada vez mais marcado pela produção e pela circulação ilimitada de informações. Essa abertura científica e cultural protagonizada pelo KWI reveste-se de duas qualidades adicionais: coragem pública e exemplaridade.

A segunda reflexão refere-se à utilidade de publicações desta natureza para sociedades multiculturais, como a brasileira. A dupla constatação de que há fissuras (bem-vindas) na torre de marfim do eurocentrismo e de que se toma consciência da necessidade de apreender o outro não para reduzi-lo a si é uma perspectiva alvissareira de fecundação da ciência pratica no Brasil. A história é um eixo de constituição da identidade que incorpora, à luz de estudos críticos como os desta série “Conferências sobre Ciências da Cultura”, a dimensão do processamento intelectual e cultural da diversidade como integrantes dialéticos do retorno a si mediante a afirmação do outro, e não por sua eliminação. A leitura historiográfica da cultura e da sociedade pode enriquecer-se com os pontos de vista da interculturalidade, superando assim a constante tentação do nombrilismo nacionalista.

Estevão C. de Rezende Martins – Universidade de Brasília.


RICOEUR, Paul. Das Ráísel der Vergangenheit. Erinnern — Vergessen — Vençiben. 1998. 156p. Resenha de: MARTINS, Estevão C. de Rezende. Cultura, multiculturalismo e os desafios da compreensão histórica. Textos de História, Brasília, v.10, n. 1/2, p.225-230, 2002. Acessar publicação original. [IF].