Donne ai margini. Tre vite del XVII secolo – DAVIS (BC)

DAVIS, Natalie Zemon. Donne ai margini. Tre vite del XVII secolo. Bari: Laterza, 1996. 372p. Resenha de: COCILOVO, Cristina. Il Bollettino di Clio, n.9, p.70-72, feb., 2018.

Tre donne introdotte da un’intervista impossibile, che le costringe a prender vita in un libro e a confrontarsi, loro così lontane nella religione (rispettivamente ebraica, cattolica, luterana). Ma al dunque, grazie alla caparbietà dell’autrice Natalie Zemon Davis, riescono nella simulazione a trovare il fondamento della loro identità comune: l’affermazione della loro autonomia, del loro talento, della loro intraprendenza. Eccezionale per un’epoca caratterizzata dal “silenzio” delle donne, dall’assenza di loro tracce, nella ricostruzione selettiva della storiografia ufficiale.

Glikl Bas Yehudah Leib, ebrea askenazita cioè di origine tedesca, a differenza delle altre donne del suo tempo non disdegna il lavoro. Nonostante una numerosa famiglia, collabora con l’attività dell’amato marito, commerciante di gioielli e prestatore di denaro, che a seconda del momento può portare a vistosi arricchimenti come a repentine rovine. Glikl non dà al denaro valore in sé. Non desidera vivere nel lusso. Come la maggior parte degli ebrei abita in una casa d’affitto, non potendo per legge possedere proprietà. Per lei il valore assoluto è l’onore, l’essere considerata degna di rispetto, lei come la sua famiglia. Sappiamo tutto questo da una autobiografia articolata in ben sette libri, in cui Glikl alterna la narrazione della sua vita a vere e proprie parabole, che hanno lo scopo di far comprendere i valori positivi della solidarietà, dell’amore, il senso della sofferenza. Una donna di grande cultura teologica e tecnico – commerciale, rispettata per la sua acutezza nel gestire questioni finanziarie e insieme profondamente religiosa e giusta. Sebbene lei e la sua famiglia abbiano talvolta subito le conseguenze di persecuzioni antiebraiche, che li costringono a trasferimenti forzati, accetta la sofferenza, mai si ribella a Dio che muto e immobile non interviene. Semmai lo interroga e con rassegnata accettazione e cerca di ricominciare ex novo.

Marie de l’Incarnation, se si può considerare per il nostro tempo personaggio singolare, per non dire psichicamente disturbato, è invece perfettamente inquadrabile nell’epoca della Controriforma. Ispirata fin da giovane dalla vocazione divina, trascorre la vita secondo due passioni apparentemente poco conciliabili: un forte trasporto per la vita mistica e una spiccata capacità organizzativa del quotidiano. Divenuta vedova precocemente, percepisce il potente richiamo del misticismo come altre “sante” dell’epoca, che trasfigurano in estasi religiosa le pulsioni del proprio corpo, ma nel contempo gestisce con molta maestria, quasi con piglio imprenditoriale, l’azienda commerciale della sorella e del cognato, che la ospitano insieme al figlioletto. Per il resto della sua vita vivrà questa difficile dicotomia. A circa trent’anni decide di prendere i voti come suor Orsolina, separandosi dal figlio adolescente e disperato. Vive in clausura, mortificando con sofferenze fisiche il suo corpo secondo l’esempio di Teresa d’Avila, finché non ha l’occasione di poter educare al pensiero cristiano i “selvaggi” del Nuovo Mondo. Si trasferisce in Canada, dove lavora con efficientismo invidiabile nelle difficili condizioni di una Missione delle suore Orsoline. Qui lei, che rifiutava il suo corpo, si accosta alla corporeità degli altri e tocca, cura, pulisce, insegna, impara le lingue locali, converte indios in un’opera pastorale a tutto campo. Soprattutto ha una ultra decennale corrispondenza con il figlio Claude, che a sua volta aveva preso i voti, e scrive testi religiosi per le genti locali nella loro lingua e scrive anche la sua autobiografia. Il figlio raccoglierà con devozione gli scritti della madre, ma li correggerà adattandone il linguaggio ingenuo allo stile sospettoso della Chiesa dell’epoca, per pubblicarli in un’opera postuma, “Vie”, dove però non inserisce gli scritti teologici di Marie in lingua irochese, algonchina e urone, utilizzati nella sua azione pastorale in Quebec.

Nonostante gli attacchi di misticismo e autoflagellazione, Marie ha un aspetto che la avvicina alla nostra sensibilità, per la relazione che ha creato con i “selvaggi”. Il suo scopo non è quello di emarginarli, ma di includerli nel mondo dei cristiani, in una visione universalistica, secondo cui non esiste differenza fra esseri umani, se questi abbracciano la parola di Cristo. Marie, mentre cerca di convertirli, educa gli indios al rispetto dell’igiene, della lettura e della scrittura. Qualora essi fuggano per l’innato desiderio di libertà di vivere nella natura, lontano da un convento di clausura, Marie li comprende e li perdona, riscoprendo il ruolo di madre generosa, che non aveva saputo assumere con il figlio al momento dell’abbandono.

Maria Sibylla Merian, luterana, originaria di Francoforte, figlia d’arte di un famoso incisore, non visse una vita familiare e borghese, come le sue condizioni le consentivano, allineandosi così alle stranezze delle altre due donne del libro. Si trasferì nel corso della vita in diversi luoghi, in seguito a scelte di vita radicali. La sua vita si potrebbe definire una metamorfosi, mimando il titolo della sua opera più famosa “Metamorfosi degli insetti del Suriname”, una raccolta di incisioni artistico-scientifiche che rappresentano la stupefacente natura tropicale. Acquisita fin da giovane una certa notorietà, grazie al suo talento di incisore1, diventa famosa dopo la pubblicazione nel 1679 del libro in due volumi “I bruchi. Le meravigliose metamorfosi dei bruchi“, in cui affianca a un centinaio di splendide incisioni di bruchi e insetti, descrizioni basate sulle sensazioni soggettive provate nell’osservazione degli aspetti naturali. Nell’organizzazione dei libri, rifiutò ogni criterio classificatorio, ritenendolo inadeguato. Non seleziona i viventi distinguendoli in catalogazioni di piante, bruchi e insetti; la sua osservazione ruota attorno a una foglia di cui si nutrono simultaneamente bruchi ed altri insetti, mentre le crisalidi si trasformano in farfalle. Evidenzia la vitalità delle relazioni fra gli esseri di un medesimo habitat. Tuttavia la sua visione della natura è profondamente religiosa, perché vi individua la straordinaria onnipotenza divina.

Morto il padre, probabilmente in crisi con il marito, si separa e sceglie di andare a vivere con le due figlie in Frisia, presso la comunità luterana dei Labadisti, che praticavano una fratellanza mistica. Qui rinuncia a ogni bene terreno e tronca le relazioni con l’esterno. Dopo pochi anni vissuti come cristallizzati in quella realtà, ecco la metamorfosi di Maria. L’eccessiva mortificazione, il distacco dalle cose del mondo e della natura, persino il ripudio del suo orgoglio di creatrice di oggetti artistici la spingono a un nuovo cambiamento.

Abbandona la comunità e si trasferisce ad Amsterdam per ricostruire la vita sua e delle figlie, ritornando all’arte incisoria, intraprendendo la strada dell’insegnamento e costruendosi una solida vita borghese, in piena autonomia di scelte anche economiche. Grazie poi al genero, che commercia con le colonie del Suriname, incuriosita dalla ricchezza di vita di quei luoghi, vi si trasferisce per due anni con la figlia minore.

In seguito a quella esperienza, pubblicò la sua opera più originale “Metamorfosi”, in cui riaffermò la sua visione della natura come un insieme di relazioni dinamiche tra viventi, che mutano nel tempo e a seconda del luogo in cui si realizzano. Consultò, senza i pregiudizi coloniali del tempo, indios e schiavi neri, che le diedero preziose indicazioni sulle caratteristiche di piante e animali del luogo, oltre alle loro abitudini di vita. Informazioni che riportò nel libro, anticipando aspetti delle attuali ecologia e antropologia. Tornata in patria, ottenne fama e riconoscimenti.

Che cosa hanno in comune queste tre donne così diverse tra loro, vissute in un periodo storico che condannava al silenzio le figure femminili?  La cultura innanzitutto. Tutte e tre abitanti di città hanno realizzato importanti opere nel loro campo specifico con una cultura libera da schemi. Tutte e tre hanno superato radicali cambiamenti, hanno impostato un rapporto profondo con la divinità che prospettava una vita migliore, per superarla e trovare riscatto nel lavoro. Tutte e tre erano esperte contabili, avevano indubbio talento per gli aspetti organizzativi del lavoro e non mancavano di spirito d’avventura.

Ma vivevano ai margini. In che senso? Perché lontane dal potere politico ed economico, perché la loro era una cultura da autodidatta, non costruita nelle accademie. Grazie alla loro intraprendenza riuscirono però a dare significato originale alle loro opere.

Cosa ci resta di loro? L’autobiografia di Glikl ebbe diverse edizioni e una certa diffusione nel mondo ebraico, finché non fu dichiarato libro “velenoso” dal nazismo. Fortunatamente l’autrice ne ha ritrovato una copia alla biblioteca di Berlino.

Le opere in lingua algonchina, irochese e urone di Marie forse andarono disperse dai missionari che si avventurarono all’ovest. Invece è rimasto come testo di riferimento per le Orsoline la sua “Vie” curata dal figlio.

Maria Sibylla ebbe più fortuna. Le sue opere vennero utilizzate e citate da Linneo e la sua raccolta postuma di incisioni fu acquistata da Pietro il grande. Oggi fa bella mostra di sé nella Kunstkammer dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, mentre il suo libro delle Metamorfosi è considerato patrimonio nazionale dal Suriname.

Le storie ritrovate delle tre donne potrebbero rientrare nella storia scolastica per ricostruire quadri d’insieme: la vita di ebrei askenaziti in Germania, il rapporto contorto con la religione controriformista di sante in estasi mistica, le relazioni contraddittorie con le genti del Nuovo Mondo, la faticosa affermazione del metodo d’osservazione scientifica.

Per gli studenti il libro costituisce probabilmente una lettura impegnativa, ma in un laboratorio storico di 17/18enni può essere interessante delineare temi come quelli accennati attraverso la costruzione di tre biografie femminili. Potrebbe diventare un’operazione capace di dare una luce diversa a queste tematiche e insieme di valorizzare i contributi ignorati di tre grandi donne del passato.

[Notas]

1 Significativo che in italiano non esista la versione femminile del termine incisore.

Cristina Cocilovo

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[IF]

História moderna | Paulo Miceli

Na introdução do livro, Paulo Miceli começa com uma divagação sobre a distância, mencionando a vagareza com a qual as notícias corriam ao longo do século XVI, mesmo que para reportar eventos grandiosos. Na sequência, o autor discorre sobre as grandes navegações, referindo-se à empreitada inicial dos portugueses na conquista de Ceuta, ocorrida em agosto de 1415. Em termos estratégicos, esta conquista implicava a posse de um “miradouro natural”, pois através dele seria possível vigiar a navegação que cruzava o estreito, na direção do Mediterrâneo e do Atlântico. A manutenção do território recém ocupado foi dispendiosa, devido ao estado de guerra constante, tornando-o pouco atrativo aos olhos dos portugueses. Em 1434, Gil Eanes foi responsável por ultrapassar o cabo Bojador, avançado rumo à tão mal afamada Zona Tórrida, que despertou temores na Antiguidade e Idade Média, por tratar-se de um limite a partir do qual as águas do mar ferviam, impossibilitando a manutenção da vida. Como bem lembra Paulo Miceli, a superação destas fronteiras possibilitava o aprimoramento do “desenho da Terra”: as novas rotas oceânicas ofereciam a possibilidade de se desbravar o desconhecido e de vencer antigos temores. Ao ultrapassar o cabo das Tormentas no ano de 1488, Bartolomeu Dias, pressionado pela tripulação que vivia maus bocados, retornou a Portugal, naufragando em sua segunda tentativa de ultrapassá-lo, no ano de 1500, comandando um dos navios da esquadra de Cabral. Leia Mais

Magallánica | UNLP | 2014

Magallanica

Magallánica, Revista de Historia Moderna (Mar del Plata, 2014-) es una publicación de acceso abierto editada por el Grupo de Investigación en Historia de Europa Moderna de la Facultad de Humanidades de la Universidad Nacional de Mar del Plata-Argentina.

Magallánica…publica trabajos originales e inéditos, resultado de investigaciones científicas procedentes de las Ciencias Sociales y Humanas, sobre el período definido como Modernidad Clásica (siglos XVI-XVIII). Los artículos son evaluados por especialistas, locales y extranjeros, externos al Comité editorial, en las diversas temáticas a través del sistema de doble par ciego (peer review). Por este medio, se garantiza que los trabajos cumplan con los requisitos fundamentales de rigurosidad y objetividad científica al momento de que éstos sean presentados a los lectores, sean académicos o cientistas especializados como público en general.

Periodicidade semestral.

Acesso livre.

ISSN 2422-779X

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Clio and the crown: the politics of history in Medieval and Early- Modern Spain – KAGAN (HH)

KAGAN, Richard K. Clio and the crown: the politics of history in Medieval and Early- Modern Spain. Baltimore: The Johns Hopkins University Press, 2009, 376 p. Resenha de: SILVEIRA, Pedro Telles da. Qual o lugar da história oficial na história da historiografia? História da Historiografia. Ouro Preto, n. 7, p. 338-344, nov./dez. 2011.

Sublinhar que o panorama da produção historiográfica na Idade Moderna é mais variegado do que durante muito tempo se tendeu a imaginar não deixa de ser uma espécie de lugar-comum nas obras – não tão recentes assim – dedicadas ao tema. De fato, já nos ensaios e conferências de Arnaldo Momigliano1 tal apelo era feito, e ele se repete e se complexifica nos livros de Donald R. Kelley (KELLEY 1991, p. 14-15) e Anthony Grafton (2007), para ficarmos apenas com alguns dos mais conhecidos nomes associados ao estudo desse tipo de historiografia. As obras destes e de outros autores procuram todas resgatar a vivacidade, a diversidade e a pertinência dos debates historiográficos anteriores à formação da historiografia enquanto disciplina científica, processo que ocorre, grosso modo, no decorrer do século XIX. E, mesmo assim, aspectos importantes dessa produção continuam negligenciados, como é o caso da história oficial. É tendo em vista esta situação que se insere Clio and the crown, de autoria do historiador norte-americano Richard L. Kagan.

Afiliado ao influente grupo da atlantic history, tendo editado junto com Geoffrey Parker, um volume em honra a John H. Elliott,2 Richard L. Kagan fez sua carreira estudando a Espanha dos séculos XVI e XVII e a administração de seu então poderoso império. As marcas dessa atuação aparecem logo no início do primeiro capítulo, onde afirma que apesar de muito da historiografia produzida nos reinos espanhóis nos séculos que lhe interessam terem sido objeto de estudos recentes, estes têm como foco as características estilísticas e retóricas destes textos, e não suas funções e seus usos (KAGAN 2009, p. 18). Também a filiação institucional de Kagan, professor na universidade Johns Hopkins, permite compreender o amplo recorte temporal que o livro abarca. Partindo das primeiras crônicas escritas em vernáculo em Castela no século XIII, o livro se fecha na passagem do século XVIII para o XIX, quando a falência da Real Academia de la Historia em cumprir seus objetivos indica que a era da história oficial chegara ao fim. Com esse recorte em mente, Richard L. Kagan paga tributo a dois de seus colegas de departamento, Gabrielle Spiegel e Orest Ranum, que já atacaram questões semelhantes a respeito, respectivamente, da historiografia francesa medieval e da historiografia seiscentista deste mesmo reino.3 Para Kagan, história oficial é a historiografia produzida visando a defesa dos interesses tanto de um governante quanto de uma autoridade religiosa, de uma corporação urbana etc. Para o autor, esse tipo de historiografia é um instrumento que visa divulgar uma imagem positiva daqueles nela interessados – do mesmo modo, ela também pode ser escrita para contradizer uma narrativa previamente formada (KAGAN 2009, p. 3). Seu caráter agonístico, portanto, tornou o número de narrativas e contra-narrativas produzidas por cronistas, historiógrafos e outras personagens protegidas por um ou outro mecenas extremamente alto; como o próprio autor indica, adaptando a expressão de um dos autores debatidos, trata-se de um “mar de histórias” (KAGAN 2009, p.42). Essas mesmas características, argumenta o autor, frequentemente impediram uma consideração mais atenta a esta historiografia, facilmente rotulada como derivativa, pouco inspirada ou outras qualificações menos lisonjeiras (KAGAN 2009, p. 4-6). Trata-se de um dos méritos do trabalho que Richard L. Kagan consiga desfazer estes estereótipos com uma obra ao mesmo tempo sintética e informativa, que analisa a fundo seu objeto sem perder de vista os processos mais amplos nos quais ele se insere.

Esta mirada simultaneamente ampla e detalhada marca o primeiro capítulo, no qual o autor traça um quadro da historiografia hispânica entre o final da Reconquista e o reinado de Isabel e Fernando, os reis católicos. Destaca- -se, no texto, a estreita relação entre os projetos imperiais acalentados pelos mais diversos governantes castelhanos e a as características da historiografia por eles patrocinada. Serve particularmente a estes propósitos o trabalho do taller historiografico organizado por Afonso X, responsável pelas crônicas produzidas durante seu reinado, em especial a “General estoria”, uma crônica da história universal até o século XVIII, a qual apresenta a narrativa da criação de um imperium hispânico através da inserção dos feitos ocorridos na Península Ibérica numa história mundial. A visão de um império que reina sobre a Espanha mas também se alastra pelos territórios dominados pelos mouros direciona também muito das crônicas produzidas sob o reinado de Sancho IV, demonstrando a imbricação entre historiografia e projeto político.

Richard L. Kagan direciona, portanto, ainda que de maneira um tanto quanto breve, sua argumentação em direção ao debate acerca da importância da própria historiografia em período tão recuado quanto o da Reconquista.

Para o autor, ao contrário do que uma de suas interlocutoras – Gabrielle Spiegel – argumenta, o nascimento de uma historiografia em vernáculo na Espanha teve menos relação com a criação de narrativas que legitimassem as pretensões da nobreza do que “com a determinação de Afonso X de aumentar sua autoridade real e [com] seus esforços de fazer o castelhano (i.e., espanhol) a língua oficial tanto da administração quanto da lei”. O rei sábio, dessa forma, antecipou em cerca de dois séculos a preocupação de Antonio de Nebrija de que língua e império deveriam andar lado a lado (KAGAN 2009, p. 24).

O segundo capítulo, por sua vez, trata justamente de um desses governantes influenciados pela visão de império cuja semente foi plantada no século XIII, Carlos V. A historiografia oficial elaborada sob a proteção deste monarca indica um caso bastante acentuado da dinâmica que, para o autor, é uma das características da historiografia oficial hispânica: a tensão entre uma historia pro persona, centrada nos feitos do rei, e uma historia pro patria, cujo foco está nas conquistas realizadas pelo reino como um todo. O capítulo também desenvolve uma outra tensão que atravessa a história oficial, e não apenas a de matriz hispânica, qual seja, a entre as demandas de um governante, as funções de um cargo – o de cronista, no caso espanhol – e as características da formação dos letrados, personagens recrutadas para escrever essas mesmas histórias. No caso de Carlos V, a pretensão de glorificar o próprio nome choca- -se com a ojeriza de humanistas como Juan Ginés de Sepúlveda e Paolo Giovo ante os projetos imperiais e dinásticos do governante, atravancando e, no fim, impossibilitando a escrita de uma crônica de seu reinado enquanto o próprio governante vivia. A tensão entre os governantes e aqueles que compunham suas histórias indica também as transformações por que passa a historiografia, que se aproximava cada vez mais da política e da concepção de Quintiliano segundo a qual à história interessava mais a persuasão que a instrução (KAGAN 2009, p. 88).

O autor, dessa forma, insere-se diretamente no debate acerca da escrita da história na passagem do século XVI para o XVII, colocando em questão a conotação muitas vezes negativa dessa mesma passagem.4 Richard L. Kagan faz questão de frisar a impossibilidade de se separar as razões pelas quais a história é escrita das formas que ela irá assumir e, por conseguinte, também a indistinção entre forma e conteúdo da narrativa da historiográfica. Como afirma, “as negociações do imperador com Giovio tratavam tanto da substância […] quanto do estilo, ou seja, da maneira particular na qual os fatos eram apresentados” (KAGAN 2009, p. 89).

A tensão entre a historia pro patria e a pro persona e a difícil relação os monarcas e seus escribas enquadra a discussão dos três capítulos seguintes, não por acaso dedicados à historiografia durante o reinado de Filipe II. No terceiro capítulo, o autor aborda a recusa do monarca de patrocinar uma obra de história com os contornos de uma historia pro persona, laudatória de sua figura; a atitude, muitas vezes interpretada como sinal de modéstia, na verdade indica que frente ao “mar de histórias”, Filipe II procurava escapar à natureza agonística da história oficial. Para isso, segundo Kagan, o rei espanhol apoiava a escrita de uma história que celebrasse os feitos antigos dos espanhóis e, ao mesmo tempo, defendesse a unidade de seu reino resultando dos acontecimentos passados.

Não deixa, portanto, de se situar no âmbito dos projetos imperiais, como já abordara anteriormente. A recusa de Filipe II, entretanto, não pôde se estender à totalidade de seu reinado, já que frente aos ataques à sua monarquia, ele passou a se inclinar em direção ao apoio de uma história de sua própria época. Essa transformação no pensamento de Filipe II, objeto do quarto capítulo, é enquadrada, no quinto capítulo, no debate relativo às possessões hispânicas na América e na Ásia.

Richard L. Kagan estuda a criação do cargo de cronista das Índias tendo em vista justamente o pano de fundo dos ataques à monarquia universal de Filipe II, argumentando mais uma vez pela ligação entre as políticas relacionadas à história e a própria produção historiográfica. Significativamente, tendo em vista as preocupações do monarca espanhol em sustentar uma historiografia que não fosse mera rival de suas contemporâneas, o próprio cargo de cronista das Índias demonstra a união entre preceitos políticos e os princípios elaborados pelos historiadores para certificarem e justificarem suas histórias. Segundo o autor, o ocupante do cargo não se dedicava apenas ao registro das ações que tomassem lugar no Novo Mundo, pelo contrário, pois

seguindo os trabalhos de de historiadores tão influentes como Francesco Guicciardini e os ditados do gênero da ars historicae, ele [o cronista] também tinha de refletir sobre as causas dos eventos e sobre os motivos por trás das ações individuais e incluir, por motivos didáticos, exemplae de vários tipos (KAGAN 2009, p. 151).

A conjunção de todas estas preocupações – à maneira peculiar que lhe era possível de realizar tendo em vista ocupar um cargo oficial – está presente no trabalho do primeiro cronista das Índias, Antonio de Herrera y Tordesillas, personagem central deste quinto capítulo.

É neste momento que a proposta do autor rende mais frutos, pois Kagan consegue tecer de modo mais detido a trama entre todos os fios de sua obra: o imperativo dos monarcas, as necessidades de um gênero e as capacidades – tanto intelectuais quanto políticas – daqueles dele encarregados. Se na introdução de seu livro o autor afirma que, no cenário intelectual da época, era o historiógrafo a pessoa mais autorizada para escrever sobre o passado, pois apenas ele tinha acesso aos documentos necessários para tal (KAGAN 2009, p. 6), a análise que faz da obra de Antonio de Herrera, cronista das Índias entre 1596 e sua morte, em 1626, permite justamente compreender como trabalhava esse mesmo historiógrafo. Taxado muitas vezes de plagiário (KAGAN 2009, p. 172- 173), a fina análise de Kagan permite reconstruir a imagem do autor como um leitor judicioso das obras que utilizava para compor sua própria história – mais do que como um investigador em busca de informações novas; simultaneamente, permite compreender que a tarefa à qual se dedicava enquanto cronista não era tanto a escrita de uma nova história quanto a reelaboração das narrativas já existentes, de modo a adequá-las à defesa daquele para quem escreve. Se se tornou um tanto quanto comum fazer o paralelo da figura do historiador com aquela do juiz, Richard L. Kagan, através do exame do trabalho de Herrera, faz um sonoro argumento a favor da comparação – que já aparece na introdução de seu livro (KAGAN 2009, p. 6) – entre o historiógrafo e o advogado. Para ambos não se trata nem de garimpar informações novas nem de inventar fontes, isto é, de revolver os materiais da história imbuído de má fé; pelo contrário, o que está em questão é utilizar as possibilidades do trabalho histórico para manipular seus enunciados a favor ou contra aqueles a quem a narrativa se endereça (KAGAN 2009, p. 5). Tarefa que, mostra Kagan, depende tanto das regras de verificação do discurso histórico, então objeto de um intenso debate, quanto qualquer outra narrativa pertencente ao mesmo gênero. Ressalta, também, a compreensão da obra do historiador oficial como uma empresa coletiva mais do que resultado da iniciativa individual, algo que também a historiadora francesa Chantal Grell destaca em obra recente (GRELL 2006, p. 13).

A trama dessas tensões constitui, sem dúvida, o aspecto mais importante do livro, e é apenas de lamentar que, por vezes, tentando costurar entre os mais diversos autores e contextos, Richard L. Kagan aborde demasiado rapidamente estes temas, sem reproduzir análise como a que faz a respeito de Antonio de Herrera. Mesmo assim, ele é feliz ao tratar, no sexto capítulo, a incapacidade de Filipe IV e de seu ministro, o conde de Olivares, de controlarem a circulação de obras históricas no interior da fronteira de seu próprio reino como indício da existência, já no século XVII, de uma opinião pública capaz de contradizer a propaganda oficial (KAGAN 2009, p. 204). A intersecção entre a legitimação perante o público e a atividade do historiógrafo adiciona outra camada de significação ao trabalho do autor no livro.

Também no sétimo e último capítulo o autor aborda parcela dessa dinâmica, ao demonstrar que a proposta de uma renovação intelectual feita pelos novatores e pela Real Academia de la Historia acaba por sucumbir às pressões e às intrigas da vida cortesã. A assimilação das pretensões críticas desta última instituição ao funcionamento da máquina administrativa da qual a história oficial faz parte resultou na própria perda de sua importância. Ao cabo, a Real Academia de la historia foi ultrapassada – assim como a história oficial (GRELL 2006, p. 16) – pela evolução da própria historiografia.

A dinâmica entre a história oficial e as demais províncias da história é o aspecto que garante a relevância da obra de Richard L. Kagan. Para além da preocupação com o estudo da historiografia do período – uma área particularmente forte no meio historiográfico de língua inglesa –, Clio and the crown também se insere, como se tentou demonstrar aqui, num debate que começa a ganhar corpo a respeito das relações entre a história dos historiógrafos e a narrativa de constituição da própria historiografia. Para Kagan, autores como Grafton e Kelley acabam por definir de forma demasiado rígida a linha divisória entre a historiografia oficial e a daqueles autores não ligados a qualquer cargo.

Em passagem carregada de ironia, na qual faz um inventário dos celebrados historiadores que foram também historiógrafos – uma lista que vai de Fernão Lopes a Voltaire –, Kagan destaca a dificuldade de situar a fronteira entre a historiografia “acadêmica” – isto é, motivada pela comunidade de historiadores e destinada a ela – e a historiografia “polêmica”, ou seja, a história oficial, direcionada a leigos e submetida a inúmeras flutuações políticas (KAGAN 2009, p. 4). Da mesma forma, ser um historiador oficial não significava necessariamente ser um mau historiador.

Conforme a historiografia avança para a era dos cronistas e historiógrafos, a obra de Richard L. Kagan lembra que para analisá-la não é o bastante reproduzir os limites disciplinares modernos como conceitos analíticos da historiografia passada. Se a necessidade de situar os discursos em seus contextos é cada vez mais premente, perguntar-se pelo que há de oficial ou patrocinado em muitas das obras historiográficas do período moderno pode ser maneira de historicizar o próprio trabalho do historiador. À medida que a historiografia brasileira avança, por sua vez, rumo ao século XVIII, é interessante perguntar como conectar uma história do método histórico a uma história social da historiografia, preocupações por vezes tão distantes. Seja qual for a pergunta, considerar o lugar da história oficial na história da própria historiografia passa pela resposta que Richard L. Kagan acabou de dar.

Referências

GRAFTON, Anthony. What was history? The art of history in early modern Europe. Cambridge: Cambridge University Press, 2007.

GRELL, Chantal. Les historiographes en Europe de la fin du Moyan Âge à la Revolution. Paris: Presses de l’Université Paris-Sorbonne, 2006.

KAGAN, Richard L. Clio and the Crown: Writing History in Habsburg Spain. In: KAGAN, Richard L.; PARKER, Geoffrey. Spain, Europe, and the atlantic world: essays in honor of John H. Elliot. Cambridge: Cambridge University Press, 1995, p. 73-99.

KELLEY, Donald R. Versions of history from Antiquity to the enlightenment. New Haven: Yale University Press, 1991.

MOMIGLIANO, Arnaldo. As raízes clássicas da historiografia moderna. Bauru: EDUSC, 2004.

SPIEGEL, Gabrielle. Romancing the past: the rise of vernacular prose historiography in thirteenth-century France. Berkeley: University of California Press, 1993.

RANUM, Orest. Artisans of glory: writers and historical thought in seventeenthcentury France. Chappell Hill: University of North Carolina Press, 1980.

Notas

1 Para ficar numa obra de fácil acesso pelo leitor brasileiro, ver MOMIGLIANO 2004.

2 A contribuição de Kagan ao volume compartilha o título com o livro aqui analisado, demonstrando a permanência das preocupações do autor ao longo de sua atuação, muito embora a ênfase e a extensão temporal do capítulo – restrito ao reinado de Filipe II – sejam muito mais limitadas que no livro que publica cerca de quinze anos depois; ver KAGAN; PARKER 1995, p. 73-79.

3 Refiro-me a SPIEGEL 1993 e também a RANUM 1980.

4 Como transparece, por exemplo, no trabalho já referenciado de Anthony Grafton, para quem, no século XVII, a história era uma narrativa política escrita por estadistas ou funcionários – historiógrafos profissionais –, dos quais muitos poucos preocupavam-se com as maneiras a partir das quais escolher, justificar e examinar as evidência (GRAFTON 2007, p. 230-231).

Pedro Telles da Silveira – Mestrando da Universidade Federal de Ouro Preto. E-mail: [email protected] Rua Novo Hamburgo, 238 – Passo d’Areia 90520-160 – Porto Alegre – RS.

Escuela de Historia Virtual | UNC | 2010

Anuario UNC

Anuario de la Escuela de Historia Virtual (Córdoba, 2010-): órgano de divulgación científica de circulación semestral de la Escuela de Historia de la Facultad de Filosofía y Humanidades (Universidad Nacional de Córdoba).

Publica contribuciones originales e inéditas resultados de investigaciones sobre temas referidos a la problemática histórica (en cualquiera de sus áreas: arqueología, antigua, medieval, moderna, contemporánea).

El Anuario de la Escuela de Historia Virtual intenta ser un órgano de difusión de los resultados de investigación, metodologías y propuestas teóricas así como de debates académicos desarrollados por docentes y alumnos tanto de la Escuela de Historia como de cualquier parte del mundo.

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Acesso livre.

ISSN 1853-7049

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